Lettera a firma di Elena Perrotta
“Preferisco saperlo morto, che accettare la sua omosessualità, che vada via di casa, non abbiamo altro da dirci”. Commento laconico di un papà deluso dell’orientamento sessuale del figlio maschio, verso cui aveva riposto ben altri progetti e speranze.
La mamma, invece, piange e si dispera. “Dove ho sbagliato? Forse quando ho saputo di aspettare un maschietto, mentre desideravo ardentemente una femminuccia? Forse Dio ha voluto punirmi, per aver abortito, anni fa? Forse si può curare?”. Sa benissimo che che le sue domande non avranno risposte, ma servono a lei, per placare i sensi di colpa e celare la vergogna verso parenti e amici, temendo il loro crudele giudizio.
Ma no, no, no, l’amore per un figlio è immenso e deve essere incondizionato. La mamma decide, pertanto, di entrare nel mondo gay, invitando a pranzo, uno a uno, i nuovi amici del figlio, anch’essi omosessuali. La conversazione dei genitori con i ragazzi, è piacevole, rilassante, serena, in fondo chiedono soltanto di essere amati e accettati.
La partecipazione dei genitori al gay pride è stato un altro grande gesto di amore, e dopo un iniziale imbarazzo, si sono lasciati coinvolgere dall’ilarità colorata con i toni dell’arcobaleno. La mamma sorride, stringe forte il papà, scoppia in un pianto dirompente e liberatorio e dice al figlio: “Non avere mai paura, figlio mio, corri incontro alla vita, in compagnia di vuoi tu”.
Vorrei dire a quei genitori che girano le spalle alla diversità dei propri figli, anzi meglio dire unicità dei propri figli: meglio vederli felici che andare a trovarli al cimitero. Soprattutto, difendiamoli dai pregiudizi, dettati da profonda ignoranza. Viva le famiglie arcobaleno.
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