“Questa generazione si merita di sapere come fare a rialzarsi, perdere, vincere, ad affrontare i suoi limiti e paure: raccontiamo loro che cosa significa essere pugili, diamogli l’occasione di trovare la forza per lottare sempre”
A scrivere queste righe è Federica Guglielmini, 36 anni, educatrice d’infanzia, poetessa e scrittrice dal sangue metà riminese e metà milanese. Federica è la co-autrice, insieme alla giornalista Virginia Perini, di un libro di recente uscita dal titolo “A corta distanza”, il primo in Italia a trattare di boxe e ad essere stato scritto da due donne. Parliamo di una raccolta di interviste alle figure del mondo dei guantoni: da quelle principali che dominano la scena del ring fino a quelle nelle retrovie. Ognuna di loro con una storia e una visione romantica ed educativa della nobile arte.
“A corta distanza” è un “colpo al fegato” (per usare da subito un termine pugilistico), tra le tecniche più efficaci per provocare il Ko in poco tempo. Perché più che un semplice libro, le 248 pagine edite da Tabula Pati sono portatrici di un messaggio educativo forte, poetico, artistico e culturale nella società italiana odierna; un knockout a difesa di sé stessi, dei propri diritti e di quelli degli altri: “Il libro è un restituire ciò che ho ricevuto dalla boxe – racconta Federica – perché l’incontro con questo sport per me è stato come abbracciare una religione laica. Mi ha rinnovata nel corpo e nell’anima”.
Scrittore e boxeur sono figure molto simili, tant’è che la grande scrittrice, poetessa e drammaturga americana Joyce Carol Oates, tiene a ricordare che il pugilato è la disciplina sportiva più letteraria che esista al mondo. Entrambe queste figure cercano una sorta di immortalità, desiderano essere ricordati per sempre. La poesia della boxe, infatti, sta proprio nel compiere tutte le volte un viaggio introspettivo, fatto dall’assenza di parole e dall’esaltazione di un intenso corpo a corpo che racconta sensazioni e, al tempo stesso, insegna a resistere (e rispondere) ai colpi della vita.
Come è avvenuto il tuo primo incontro con la boxe?
Avevo letto alcuni articoli mentre tornavo da un viaggio a Chicago, durante una fase molto importante della mia vita, e ne ero rimasta incuriosita. Partivo come tutti dallo stereotipo della boxe al maschile. Così, al rientro a Milano, sono andata in una palestra storica della città per saperne di più. In quel periodo volevo cominciare a praticare uno sport che mi svegliasse anche fisicamente. Dopo il classico allenamento di prova, sono rimasta incantata dall’effetto che aveva sortito su di me. E sono tornata ancora una volta. E un’altra. E un’altra ancora. Non ho più smesso. Avevo capito che quel posto poteva darmi le risposte che cercavo.
La donna e la boxe, all’apparenza due poli opposti. Ma nella realtà?
Le donne della boxe stanno avendo successi importanti e credo sia un segnale da non trascurare. La società ci sta parlando. La realtà è che le donne si stanno prendendo quello spazio di azione che gli era stato impedito. Abbiamo sempre dovuto lottare per poterci esprimere. Penso a qualche secolo fa, per esempio, quando una donna che voleva scrivere doveva utilizzare uno pseudonimo. Non mi ha mai stupito una donna che pratica rugby, calcio o qualsiasi altro sport. Lo stupore fa parte del pregiudizio. Perché una donna non dovrebbe praticare boxe se è in grado di provare un dolore come quello del parto?
A proposito di dolore fisico, secondo te, in che modo quello della boxe può essere utile per affrontare i momenti difficili della vita?
Facciamo un passo indietro: il dolore è un qualcosa che paradossalmente ci fa sentire vivi. Se pensiamo all’atto del parto, per esempio, la nascita è di per sé una lotta. Veniamo al mondo attraverso il dolore fisico delle nostre mamme. Kafka diceva che “la letteratura è un pugno che ti sveglia”. Non si entra in una palestra per provare dolore ma per farne occasione di un viaggio interiore. Il colpo del pugilato ti fa capire che sei vivo e la boxe ti conduce all’incontro con il tuo io interiore. Quello antico, presente e futuro.
Le tue sensazioni dopo il primo allenamento?
È stato come se riuscissi a sentirmi davvero parte della specie umana. Ero in una sorta di equilibrio tra corpo e mente, equilibrio di cui tutti abbiamo bisogno per usare la testa e ragionare. La boxe ti educa a usare tutti i sensi e può essere anche una maestra di vita. Quello che regala il pugilato lo si può mettere in pratica nella vita quotidiana. Si impara a stare nei panni dell’altro, a saper leggere le proprie emozioni interiori e a incanalarle. La fatica che fa entrare in palestra è quella che rende la persona migliore. Ogni allenamento è un rimettersi in gioco, corpo a corpo, a corta distanza, per citare il titolo del libro. Ecco perché la boxe educa, riesce a toccare tutte le sfumature del nostro io.
Quindi il titolo del libro deriva da quel corpo a corpo che si sperimenta sul ring?
Esattamente, è uno dei nomi per indicare una delle tecniche di combattimento. Ecco perché l’ho scelto come titolo, lo considero un inno. Sul ring, come nella vita, più siamo lontani dalle cose e più facciamo difficoltà a capirle. Ma se ci avviciniamo e accorciamo le distanze, possiamo interagire, capire e trovare anche una risposta. Salire sul ring è come guardare un film dallo stesso inizio ma dal finale sempre diverso. Non sai mai come va a finire. Serve una prospettiva vis-à-vis.
Il primo libro sulla boxe in Italia scritto da due donne
“A corta distanza” nasce dalla complicità di due donne, Federica e Virginia, compagne di allenamento in palestra che hanno condiviso le loro strade ed esperienze proprio grazie all’incontro con il pugilato: “Prima di noi – racconta Federica – solo le scrittrici americane Joyce Carol Oates e Katherine Dunn, animate da una grande passione per la boxe, avevano pubblicato libri sull’argomento. Poi è accaduto che Virginia ha mostrato alcune mie poesie a Bruno Nacci, ex docente di Filosofia alla Statale di Milano e grande appassionato di boxe. Da lì abbiamo deciso di intraprendere questo percorso insieme”.
Qual è il fil rouge?
Il libro raccoglie le storie di chi la boxe la fa e la vive. Non ci sono solo interviste ai pugili ma anche a chi rende possibile la boxe. Questo sport nasce dalle ceneri della lotta tra gladiatori, ma nel corso della storia ha abbandonato quella trivialità e si è trasformato fino ai giorni nostri. L’idea è stata di voler dare voce anche alle figure di contorno rispetto ai pugili, ma non per questo meno importanti: manager, maestri, medici, giornalisti, arbitri, artisti e semplici appassionati. Per ascoltare e capire il perché di questo sentimento per la boxe.
Qualche nome?
Di interviste ce ne sono tante. Mi vengono in mente quella a Nino Benvenuti, Patrizio Oliva, Francesco Damiani, Rocky Mattioli e Maurizio Stecca, per citare qualcuno. Ma anche quelle a Simona Galassi e Valeria Imbrogno. Tra i medici, per esempio, il confronto con Mario Ireneo Sturla per me ha avuto un valore speciale. Lui, come me, crede molto nel potere salvifico e culturale della boxe.
A chi si rivolge il libro?
Fondamentalmente a tutti. Il libro nasce con l’idea di riavvicinare le persone alla boxe come accadeva quarant’anni fa quando il pugilato in Italia era molto in auge. In particolare, però, vuole essere uno strumento educativo per la crescita dei ragazzi che durante la pandemia sono stati messi a dura prova. La scuola non sempre riesce a far fronte alle loro esigenze. Ecco perché stiamo programmando numerosi appuntamenti negli istituti scolastici della Lombardia, licei e medie. La boxe può essere considerata materia multidisciplinare, un’arte e un’occasione per conoscere il proprio io e imparare ad affrontare le insidie che questa generazione si trova a sperimentare nella prima fase della vita. Mi piacerebbe – conclude la Guglielmini – che il progetto potesse essere accolto anche dalle diocesi, come succedeva un tempo negli oratori. La fragilità giovanile dilaga, specie dopo la pandemia. Potrebbe essere una risorsa in più. Qualche anno fa, per esempio, l’Inghilterra ha investito negli sport da contatto per fronteggiare il degrado nei quartieri.
Fai riferimento ai “Colpitori”. Puoi spiegarci chi sono?
Sono i migliori “sparring partners” perché non colpiscono, ma ricevono i colpi con speciali guantoni quadrati che attutiscono tutta la forza sprigionata dai pugni. Spesso il nostro quotidiano è scandito dal linguaggio pugilistico. “Mettere Ko qualcosa o qualcuno”, “colpire duro”, “tirare un gancio” sono solo alcune delle espressioni che quasi inconsapevolmente ci ritroviamo ad utilizzare nel lessico comune. Da questa immagine mi è venuta l’idea di creare un movimento culturale chiamato “Colpitori” e scrivere un manifesto di dieci punti che racchiudono l’essenza del messaggio pugilistico. Il desiderio è di riunire artisti, docenti, scrittori e, ovviamente, i pugili. Credendo nella divulgazione della boxe, credo anche in una cultura che sappia fare quadrato, come il ring.
Senti di aver abbattuto un grande stereotipo nella cultura italiana sportiva?
Decisamente si, perché “A corta distanza” vuole rappresentare anche un progetto che si muove verso una rivoluzione culturale importante, in grado di accorciare la distanza tra la boxe e le arti. Oggi più che mai ritengo si debba riscoprire il messaggio pugilistico, la sua etica e i suoi valori civici, sportivi ed artistici. La boxe può fornire degli strumenti valoriali utili a contrastare il bullismo dilagante sia nelle scuole che nelle città. Vent’anni fa era così. Mi sto impegnando – conclude la giovane scrittrice e poetessa – per far sì che il pugilato torni a essere un punto di riferimento educativo e culturale con il quale crescere.
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Titolo: “A corta distanza”
Autrici: Federica Guglielmini e Virginia Perini
Editore: Tabula Pati, 2022
Prezzo: 14 euro
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