“Quella mattina veniamo accerchiati, io vengo allontanata e trattenuta. Per 4 ore mio figlio grida: voglio la mamma, voglio stare a casa mia. Alla fine sale sull’ambulanza. E in quel momento penso: tutto è perduto”.
Questo è quanto avvenuto il 5 ottobre 2021 a Somma Lombardo. A raccontare i fatti è Mamma T., nei video si vede Miki – 11 anni – che urla e si dimena. Ora si trova in comunità, la madre non sa dove. Una storia simile è accaduta circa un mese fa a Casalmaiocco, dove Gabriele, 9 anni, viene portato via mentre sua mamma è in comune. D., 6 anni, viene invece prelevato mentre è a scuola.
Miki, Gabriele, D. (nomi di fantasia) sono bambini che ora si trovano lontano dai loro affetti, dalle mamme, dalle persone con cui hanno sempre vissuto. Il motivo: garantire la bigenitorialità sancita dalla legge 54 del 2006 e avvicinarli a padri che non li volevano e hanno chiesto alle donne di abortire, non li hanno visti per anni, hanno minacciato e a volte percosso. Minori prelevati anche con allontanamenti forzosi, che “sono da stigmatizzare“, sottolinea l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, la quale ha firmato a maggio un protocollo con il Ministero degli interni e il Consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali.
“L’obiettivo è creare linee guida e uniformità su tutto il territorio nazionale, da utilizzare nei casi più gravi in cui è necessario l’allontanamento di un minore dal nucleo famigliare, allontanamento che è sempre da considerare l’ultima spiaggia”, ricorda la Garante. Evitando i prelievi forzosi. Il 21 luglio si è tenuto il primo incontro del tavolo di lavoro, in cui sono stati definiti i contenuti di massima delle nuove linee guida, partendo dalle buone prassi. Il protocollo nasce da un’idea della direzione centrale Anticrimine, guidata dal prefetto Francesco Messina, che lo ha fortemente voluto proprio alla luce delle criticità rilevate in sede di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dei minori, nonostante fosse stata già emanata una circolare, indirizzata ai questori, nell’agosto 2021, con la quale venivano fornite modalità operative.
“L’obiettivo era creare un protocollo che coinvolgesse tutti gli attori coinvolti, al fine di condividere le linee di intervento più vicine alle fondamentali esigenze del minore – ci spiega il prefetto – l’auspicio è produrre una base utile alla formulazione di un intervento normativo per disciplinare gli allontanamenti che richiedono l’intervento della forza pubblica e rendere l’interdisciplinarietà una regola”. In sostanza, serve una legge che cristallizzi i meccanismi di intervento a carattere multidisciplinare, con modalità di cooperazione tra le forze dell’ordine e i servizi sociali. Per fare questo “saranno coinvolti gli enti locali, a cominciare dai sindaci”, continua Messina, secondo il quale bisogna “tutelare i diritti dei bambini e degli adolescenti, anche nei contesti difficili che li portano in contatto con le forze di polizia, al fine di fare tutto quello che è necessario per non causare mai nulla che crei un vulnus nel minore e nella sua famiglia”. La competenza dell’esecuzione dei provvedimenti civili dell’autorità giudiziaria – ricorda il prefetto – è del servizio sociale, le forze di polizia intervengono solo se richiesto dal Tribunale competente.
LE STORIE
Il 5 ottobre 2021 a Somma Lombardo Miki – 11 anni – viene allontanato dalla mamma su disposizione dei giudici. Il tribunale di Busto Arsizio – con decreto del 21 gennaio 2021 confermato dalla Corte d’appello – ha stabilito che il ragazzo, il quale ha sempre vissuto con la mamma, deve andare in comunità. Nell’udienza Miki ribadisce al giudice che non vuole stare col padre e ha il timore di andare in comunità, ma secondo il tribunale il ragazzo in assenza del contatto materno è adeguato, mentre alla presenza della madre diventa ostile, ripetitivo, diffidente. Per questo superare il collocamento materno – scrive il giudice – è l’unica soluzione per garantire il diritto a una famiglia bigenitoriale e avvicinarsi al padre. Un padre che per i primi 5 anni non c’è stato ed è stato condannato a un risarcimento per lesioni nei confronti di mamma T, la quale però viene ritenuta da servizi sociali e consulente tecnico d’ufficio ostacolante, con un rapporto simbiotico col figlio, come se tra loro non ci fosse una differenziazione. I servizi sociali evidenziano problematiche negli incontri padre – figlio non in relazione all’andamento in sé, ma in relazione al disagio che vive il minore prima e dopo tali incontri. Il bambino comunque non è pronto agli incontri in autonomia con il padre, confermano gli operatori. Finora – in nove mesi – la madre lo ha incontrato pochissime volte in presenza.
Anche Gabriele – il bimbo di Casalmaiocco – il 29 giugno viene portato via mentre sua mamma Deborah si trova in comune, chiamata dal sindaco per altri motivi e trattenuta mentre portavano via il suo bambino. “Le motivazioni alla base dell’allontanamento del minore dal nucleo famigliare – racconta l’avvocata Donatella Bussolati – è che il bambino non vuole vedere il papà e la colpa sarebbe della mamma, la quale secondo i giudici ha fallito il percorso di avvicinamento del bambino al padre. Una mamma ritenuta alienante, che però ha un’altra figlia, la quale vede regolarmente il papà. Ricordiamo che il decreto del 29 giugno del Tribunale di Lodi richiedeva l’utilizzo delle forze dell’ordine solo nel caso in cui la signora non fosse stata collaborativa, ma noi non siamo stati avvisati. Quel giorno, alle 9 di mattina, eravamo in riunione con i servizi ma la comunicazione del decreto mi è arrivata alle 10, stessa cosa successa alla curatrice. Stiamo facendo l’esposto nei confronti di chi ha disposto e messo in atto modalità anticostituzionali per noi illegittime”. Deborah nel 2017 aveva denunciato il suo ex per violenza domestica. Il pm aveva chiesto 2 anni di reclusione ma nel 2019 il giudice ha assolto l’uomo perché “non è stata raggiunta la prova della responsabilità dell’imputato, in ordine al reato ascrittogli commesso in danno della moglie”.
Un altro bimbo, nei mesi scorsi, è stato portato via dalla mamma, questa volta in provincia di Roma, ha solo sei anni e ha sempre vissuto con lei. Per i primi tre anni il padre non si è fatto né vedere né sentire, racconta Sara, che dopo vari episodi di violenza nel 2016 e 2017 lo denuncia. L’uomo torna per avere l’affido di D., richiesta respinta ad aprile 2019 dal tribunale, che stabilisce l’affidamento in via super esclusiva alla madre, con incontri protetti col padre. Quest’ultimo, nel frattempo, viene rinviato a giudizio. Gli incontri padre – figlio si svolgono regolarmente, poi Sara e il bimbo nel 2020 si trasferiscono a 50 km da Roma. Cambia la città e cambiano anche i servizi sociali.
“Nelle relazioni i servizi continuano a scrivere che la mamma è attenta e adeguata, gli incontri padre figlio vanno bene e il bimbo è sereno e vivace – sottolinea Sara – Anche nell’ultima relazione del 30 settembre l’assistente sociale chiede il proseguimento del monitoraggio. Tre settimane dopo, però, il 22 ottobre alle 11 di mattina il bimbo viene prelevato da scuola dall’assistente sociale e dal padre”. La giudice convoca le parti, nomina la nuova ctu e alla fine D. viene affidato al padre in attesa di giudizio: un mese dopo il prelevamento del bambino, l’uomo viene assolto dalle accuse di violenza. “Il fatto non sussiste“, scrivono i giudici, mettendo nero su bianco le violenze subite da Sara ma il reato non rientra nella fattispecie dei maltrattamenti in famiglia di cui all’articolo 572 del codice penale. Il bambino al momento vive col padre. Sara non lo vede e sente da 9 mesi.
La commissione femminicidi
Anche su casi di questo tipo è al lavoro la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere. Nella relazione sugli affidi, la Commissione ha evidenziato che in oltre un terzo dei procedimenti civili di separazione giudiziale con affidamento di figli minori e dei procedimenti minorili sulla responsabilità genitoriale sono presenti allegazioni di violenza domestica, che in tribunale non vengono prese in considerazione. Così nella maggioranza dei casi i bambini finiscono in affido condiviso anche al padre violento.
“La relazione è stata presentata alla presenza del presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato e della ministra della Giustizia, Marta Cartabia con cui dialoghiamo quotidianamente”, spiega la presidente della Commissione, Valeria Valente. Sui prelievi forzosi, documentati dai video, Valente si augura che “si sia alzata l’attenzione perché il dolore che possiamo arrecare alle donne e soprattutto ai bambini è abnorme e insostenibile e avrà ripercussioni per tutta la vita dei minori. Credo sia inaccettabile che ciò avvenga per mano dello Stato, che invece dovrebbe mettere sopra ogni cosa la tutela del minore e la sicurezza della donna”.
Miki, Gabriele, il piccolo D. sono bambini, come tanti altri, passati da un momento all’altro dai loro affetti alle mura di una casa sconosciuta, con persone sconosciute o quasi, con traumi incalcolabili. L’unico modo per supportarli sarebbe ascoltarli e aiutare le loro famiglie a stare bene, non portarli via.
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Il Sole 24 Ore, con Alley Oop, è partner del progetto Never again, che ha come obiettivo quello di contrastare e combattere la vittimizzazione secondaria delle donne colpite dalla violenza.
NEVER AGAIN è un progetto co-finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione europea (2014-2020), GA n. 101005539. I contenuti di questo articolo sono di esclusiva responsabilità degli Autori e non riflettono il punto di vista della Commissione europea.
Il reportage si può ascoltare nel podcast BAMBINI SENZA VOCE, nona puntata del progetto DONNE IN ROSSO di Radio24 contro la violenza sulle donne a questo link.