Il mondo del lavoro è in continuo mutamento, soprattutto negli ultimi anni, e la ricerca di profili professionali STEM aumenta. È più che mai chiaro che la costruzione del futuro passa attraverso l’acquisizione di competenze scientifico-tecnologiche, e anche percorsi di studio umanistici è sempre più probabile che convergeranno verso professioni digitali e tecnologiche. Le scelte dei percorsi di studio delle giovani e dei giovani stanno andando in una direzione consapevole della trasformazione tecnologica?
La seconda edizione dell’Osservatorio STEM: “Rethink STE(A)M education”, ha presentato lo studio condotto da Fondazione Deloitte e DCM Public Policy Program, che mira a identificare soluzioni concrete per sostenere le scelte degli studenti verso percorsi educativi in ambito STE(A)M. I laureati STEM continuano a essere meno del 30% nei Paesi europei oggetto della ricerca (Italia, Spagna, Malta, Grecia, UK, Francia e Germania) e in Italia solo il 24,5%, mentre tra le laureate solo circa il 15%. Il risultato è che nel nostro Paese il 44% delle imprese ha già avuto difficoltà a trovare candidati con formazione STEM, un trend che si riconferma a livello europeo raggiungendo il 55% di imprese che dichiarano la stessa difficoltà. La domanda a cui occorre rispondere oggi è: come attrarre talenti e interessi verso lo studio delle discipline scientifiche?
La ricerca è stata presentata il 14 luglio nel corso di un evento patrocinato dal Comune di Milano, che ha visto la partecipazione delle istituzioni politiche e universitarie, oltre a rappresentanti di Deloitte, per cercare di rispondere ai quesiti emersi creando una sinergia di intenti e politiche. La parola d’ordine da cui partire è “ibridazione”, come ha sottolineato subito la Ministra dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa:
“L’elemento di ibridazione delle competenze è molto forte per i giovani che hanno perso gli schemi che avevamo noi, e ragionano in maniera molto più trasversale. Sia le modalità di apprendimento che il futuro, li vedono in maniera molto più variegata e non definitiva. Il sistema universitario si deve adattare a questo, senza perdere di qualità: questo è il senso delle riforme dei corsi di laurea. Sebbene uno dei punti principali per cui credo che le studentesse in modo particolare si iscrivano meno ai corsi Stem, viene dalle competenze apprese a scuola e dall’orientamento. I ragazzi sono particolarmente disorientati oggi, la pandemia ha agito sulle giovani generazioni in maniera molto pesante. È importante aiutarli a trovare la propria strada dando forza anche alle discipline scientifiche”.
Quali difficoltà nel percorso scolastico?
C’è naturalmente un tema culturale: lo studio osserva che gli ostacoli sulla strada verso le STEM iniziano a presentarsi nei gradi di istruzione inferiore e si riflettono in particolare nel passaggio dalla scuola superiore all’università: il 41,6% degli studenti e il 40,9% dei Neet, lamenta la mancanza di adeguate figure di riferimento per l’orientamento. In assenza di una “guida”, le giovani e i giovani scelgono soprattutto in base alle indicazioni dei familiari, che spesso, però, si basano sull’esperienza di conoscenti o parenti e non su una oggettiva informazione relativa al mercato del lavoro o sul possibile contributo che potrebbero dare alla società. È così che molti ragazzi e ragazze rimangono intrappolati in stereotipi culturali e di classe, e persino nei bias di genere: persiste l’idea che le materie STEM non siano adatte a tutti e in particolare non alle ragazze. Il 50% delle studentesse intervistate riconosce la presenza di stereotipi di genere che disincentivano le donne a un percorso di studi in ambito STEM, mentre il dato scende al 24% per gli studenti maschi.
Maria Chiara Carrozza, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, interviene ricordando che nel corso dell’ultimo G20 si è trattato il tema dell’impatto dell’agenda digitale sull’equità e le disuguaglianze a livello planetario: “L’agenda digitale è una grande opportunità di introdurre democrazia, trasparenza, accesso, però alla base ci deve essere una distribuzione e un investimento sulle competenze che se non viene compiuto rende la transizione un’ulteriore amplificazione dei divari di cui oggi soffriamo”.
L’investimento sulla formazione e sull’orientamento dei giovani è una condizione fondamentale per lavorare in questa direzione. Continua Carrozza: “Nel corso dell’esperienza di governo feci una proposta di legge sull’insegnamento dell’informatica a partire dalla scuola primaria. Può sembrare un passaggio simbolico, ma è un cambiamento di mentalità: è riconoscere che l’accesso alle strutture di pensiero alla base dell’agenda digitale è fondamentale per formare le competenze e i comportamenti. C’è però il fatto che l’effetto delle riforme scolastiche, soprattutto quelle relative alle scuole primarie, si vede nell’arco di anni e anni, occorre un ciclo scolastico per osservare un impatto”.
Per questo motivo sono importanti non solo le politiche a lungo termine, ma anche i sistemi di incentivi che accelerino il cambiamento, come osserva il rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta: “Il Covid è stato un acceleratore inevitabile di trasformazione, e sono le politiche (dell’università, della scuola, delle imprese, del governo) che possono valorizzare questa fase per cogliere le opportunità. Politiche a lungo termine, certo, ma si può anche drogare il sistema, usando degli incentivi. Quando devi accelerare delle trasformazioni che hanno dinamiche lente servono degli incentivi”.
La sfida è importante e non può essere evitata. In un momento in cui la crisi sanitaria è stata sostituita da una crisi socio-economica, la Dad ha accentuato le disuguaglianze all’interno dell’ambiente scolastico mentre il lavoro da remoto in molti casi lo ha fatto all’interno delle dinamiche familiari, è più che mai urgente una call to action per i giovani, come sottolinea ancora Carrozza: “Le masse giovanili sono attratte profondamente dal tema dell’equilibrio del pianeta. Dobbiamo trasformare questa attrazione in un’azione pratica. Per la prima volta potete essere significativi, nello studiare tecnologia, scienza ma anche scienze umane, per osservare l’impatto sociologico delle migrazioni dovute al cambiamento climatico”.
Conclude Guido Borsani, presidente di Fondazione Deloitte: “Per incentivare le giovani e i giovani ad avvicinarsi alle STEM, istituzioni pubbliche, mondo dell’istruzione, imprese, famiglie e organizzazioni del terzo settore devono essere i primi a fare un passo nell’aprire la strada al cambiamento. Tutti possono dare un grande contributo nell’abilitare soluzioni concrete finalizzate a promuovere il progresso e l’equità sociale, dentro e attraverso le STEM. Le aree di intervento su cui agire, come illustrato nel nostro studio, sono tre: aumentare la consapevolezza sulle STEM, eliminare le barriere socio-economiche e ripensare il talento in ottica di ibridazione STEM delle competenze”.
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