La testimonianza che segue è stata raccolta assieme alla videomaker di origine bielorussa Tatsiana Khamliuk, come quelle ai dissidenti bielorussi e ceceni e ai rifugiati ucraini.
Mentre dal sito di informazione indipendente sulla Russia, Meduza, trapela la notizia di un referendum per “fondere” la Bielorussia con la Russia, il prossimo 11 settembre – in programma, nelle intenzioni di Putin, anche in Donbass e Kherson e in Ossezia del Sud – Konstantin Yakovlev ci risponde dal fronte ucraino.
Noto ex allenatore della squadra di pallamano universitaria bielorussa di Vityaz e uno dei più brillanti rappresentanti della Free Association of Athletes, si trova oggi a militare tra le file di Kastus’ Kalinovskij, il battaglione di cittadini bielorussi al servizio delle forze militari ucraine. Ma a Kiev ci è arrivato ben prima dell’invasione russa. Era l’estate del 2021, quando dopo essere stato accusato di aver organizzato un evento di massa non autorizzato a Minsk, incarcerato per 15 giorni e processato a porte chiuse nel centro di detenzione temporaneo dove era recluso, ha deciso di espatriare. “Le persone che prendono queste decisioni – commenta amaramente il 36enne – non sono riconosciute da nessuna parte del mondo fuori dal loro Paese, le loro azioni sono considerate illegittime”.
Qual è stata la sua colpa?
Non sono riuscito a rimanere indifferente, a girarmi dall’altra parte, assistendo a quello che succedeva per le strade di Minsk all’indomani delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, evidentemente truccate, in cui Lukashenko e’ risultato vincitore assoluto. Non potevo stare in silenzio. Le proteste hanno paralizzato la città. Decine di migliaia di persone sono uscite per manifestare e le forze dell’ordine hanno risposto in maniera molto forte. Solo nei primi giorni sono stati arrestati più di 10000 persone. Si sono verificati numerosi casi di violenza dalla parte della polizia, molti sono stati picchiati, alcuni sono spariti, ci sono stati dei morti.
Tra gli atleti non ero certo il solo. Oltre 2000 atleti bielorussi hanno espresso il loro disaccordo verso le azioni del governo e tutti quanti abbiamo firmato una lettera pubblica a favore di elezioni libere e corrette. Io sono stato uno dei primi a firmare, senza pensare a cosa avrebbe comportato. Non ci ho pensato neanche un attimo, era il minimo che potessi fare.
Quali sono state le conseguenze?
Nel settembre del 2020 non mi hanno rinnovato il contratto con la mia squadra, che stavo allenando. Ho cercato, comunque, di portare avanti il lavoro senza contratto, senza stipendio. Per me era importante continuare. Ma dopo quello che è successo a Elena Levchenko, l’atleta di pallavolo più famosa di Bielorussia, ho capito che non potevo continuare. Elena è stata fermata e messa in prigione per 15 giorni, a causa delle sue idee politiche. Cosi, per protesta, durante il campionato bielorusso io e la mia squadra abbiamo deciso di abbandonare il campo. Siamo stati eliminati dal campionato. Non potevamo più allenarci, perché ci hanno proibito di entrare in sala di allenamento. Oggi la mia squadra sportiva non esiste più. Ma questo ormai non ha alcuna importanza.
Si è sentito costretto a lasciare il Paese?
Non volevo andarmene dal mio Paese. Ma ho deciso di farlo dopo essere stato fermato dalla polizia e aver trascorso 15 giorni in prigione. Mi minacciavano. Poi ho saputo dalla mia ex moglie che anche lei e i miei bambini erano stati intimiditi sulle conseguenze che avrebbero patito a causa della mia attività. Dall’alto è arrivato l’ordine di lavorare sul mio profilo, così da potermi incriminare in quanto promotore delle manifestazioni di protesta, cosa che non corrispondeva a verità. Il punto è che ero uno degli organizzatori della Free Association of Athletes, che ha il dovere di aiutare gli sportivi perseguiti dallo Stato. In quel momento, io stesso ero perseguito e dovevo decidere se mettere a rischio la mia vita o espatriare.
Perché ha scelto l’Ucraina?
Diverse volte avevo ero stato in Ucraina per lavoro. Culturalmente, noi bielorussi siamo molto simili agli ucraini. Ma qui puoi fare di più, puoi dire di più. Quel giorno, nell’estate 2021, a Minsk ho preso l’autobus con destinazione Kiev. Con me avevo solo una borsa presa da casa, un paio di scarpe e un paio di pantaloni. Alcune persone in autobus mi hanno riconosciuto, perché soprattutto dopo le proteste mi ero esposto parecchio. Mentre attraversavo i confini, sentivo lo spirito della libertà ancora più forte. Ero molto teso, ma per fortuna tutto è andato bene. Sapevo di avere già la casa all’arrivo a Kiev. Mi hanno aiutato i miei amici della Fondazione della solidarietà sportiva.
Come è stato accolto?
La prima settimana a Kiev è stata davvero fantastica. Sapevo che il mio caso suscitava interesse , ma non pensavo fino a tal punto. Mi chiamavano nelle trasmissioni a parlare della Bielorussia… avevo due tre interviste al giorno. Mi ha telefonato Dmitrij Kuleba, il ministro degli Affari Esteri. Ero sorpreso nel vedere così tanta solidarietà nei miei confronti e mi sono reso conto di quanto l’Ucraina fosse molto più democratica della Bielorussia. Sono profondamente grato a questo Paese. Non mi sono mai pentito di essermi trasferito qui. Da quando è scoppiata la guerra, lo capisco ancora di più e sento il dovere di fare tutto il possibile per aiutare la sua gente.
Dov’era quando la Russia ha attaccato l’Ucraina?
Erano le 5 del mattino del 24 febbraio, quando un amico mi ha chiamato. Stavo dormendo e non ho risposto, ma la telefonata mi ha svegliato e ho sentito un brutto presentimento. Poi, sono iniziati i bombardamenti. In quel momento, ho realizzato che era iniziata la guerra. Fino al giorno prima suonavo la chitarra con i miei amici, andavo in palestra. Poi, da un giorno all’altro, è finito tutto. Il primo pensiero che mi è passato per la testa è stato come potevo rendermi utile. Nonostante avessi la possibilità di andare via assieme ai miei figli, ho deciso di rimanere. Non so cosa sia più difficile, se trasferirsi in Polonia ad esempio o rimanere, perché devi lasciare la tua casa per la seconda volta. Tanti bielorussi rifugiati politici come me hanno deciso di rimanere nel paese, perché non vogliono più scappare. Alcuni, invece, hanno preferito andare via. Ognuno ha fatto la sua scelta.
Qual è stata la sua reazione?
Dopo aver messo in salvo le mie figlie, che in quel momento erano assieme alla loro madre a Odessa, in una zona sicura, ho deciso che non potevo stare ad ascoltare le notizie senza far nulla. Sono andato a Lviv per arruolarmi. Lì ho visto le file dei volontari ucraini in attesa di essere reclutati per andare a combattere. Io avevo il passaporto bielorusso, ma non è per questo che non mi hanno preso. I miei amici mi prendono in giro perché con i miei due metro di altezza, sarei un bersaglio facile…! Seriamente parlando, tutti mi hanno suggerito di occuparmi della comunicazione, mettendo a frutto il seguito che ho sui social. Così ho iniziato a fare i post sulla guerra. I primi erano piuttosto forti. Ero molto arrabbiato e buttavo giù tutto quello che pensavo.
Crede che il popolo russo sia consapevole di quello che sta avvenendo?
Sono russo a metà. Mia sorella abita in Russia e ha criticato quello che scrivevo sui social e da allora non ci parliamo. Per fortuna, i miei genitori capiscono e sono molto preoccupati della situazione, ma sulla maggior parte dei russi, purtroppo, funziona la propaganda: i problemi del paese hanno perso d’importanza come le critiche rivolte a Putin sino a ieri. Oggi conta solo l’idea che la Russia è un grande nazione che deve prevalere sugli altri. “Faremo vedere agli ucraini qual e’ il loro posto!” pensano. Io non condivido questa idea, ma non voglio convincere nessuno. Quindi ho preferito rompere i legami con la famiglia in Russia, sperando che un giorno capiranno.
Vede delle analogie con il popolo bielorusso?
Nel 2020, in Russia si parlava male della situazione in Bielorussia. Ma forse la colpa è anche nostra, perché’ fino alle ultime elezioni presidenziali, non ci siamo posti troppe domande. Ad esempio, sul perché’, nonostante siamo bielorussi, abbiamo sempre parlato in lingua russa e sul fatto che la cultura russa prevale nel paese. Oggi, addirittura, nelle scuole, non studiamo più la lingua bielorussa, solo quella russa. Credo che ci sia una responsabilità da parte nostra, del popolo bielorusso, perché’ abbiamo permesso che il paese venisse manovrato in questo modo da Putin.
Era possibile fare altrimenti o il livello di oppressione e controllo in Bielorussia è tale che non è possibile un rovesciamento del regime?
Il Governo è completamente corrotto. La Bielorussia dipende completamente dalla Russia a causa degli accordi presi anni fa con Mosca: in cambio della stabilità e della politica accomodante verso la Russia, Lukashenko continua ad essere sostenuto e finanziato dal Cremlino. E, ovviamente, spende una parte importante del budget per garantire al Cremlino la stabilita nel paese. È così è stato da quando è al potere, ovvero dal 1994! In tale situazione è davvero difficile opporsi al regime. Chi ci ha provato è finto per anni e anni in prigione, alcuni politici oppositori sono spariti, soprattutto negli anni 2000. Penso, però, che il popolo bielorusso, anche se è consapevole della difficoltà di ricevere aiuto da altri paesi talmente è forte la presenza russa, ha finalmente capito che con Lukashenko non si può trattare.
Oggi lei fa parte del battaglione Kastus’ Kalinovskij. Chi sono davvero i suoi combattenti?
Da quando si è costituito Kastus’ Kalinovskij, un battaglione formato dai bielorussi che sono al servizio delle Forze militari ucraine, ho iniziato a fare dirette streaming sul loro operato e interviste, per raccontare chi sono, perché sono in Ucraina e perché hanno imbracciato le armi. I combattenti di Kastus’ Kalinosvkij sono persone normali, di tutte le provenienze e professioni, da specialisti IT, che non avevano mai visto un’arma prima, fino a persone che facevano parte dei servizi di sicurezza in Bielorussia. La propaganda russa li descrive come neofascisti. Ho visto un servizio sulla televisione bielorussa, in cui la presentatrice di origine russa ha utilizzato parte di una mia diretta streaming per raccontare ai bielorussi chi sono i loro connazionali che partecipano alla guerra a fianco dell’Ucraina. Ci descrivono come i neonazisti. Mi sono fatto due risate. È ridicolo!
Come si spiega l’accusa di neonazismo?
Ho conosciuto di persona i ragazzi che combattono nel battaglione. Sono persone comuni, che la guerra ha messo davanti a una scelta. Hanno dovuto affrontare la situazione, ma nella vita sono persone con valori e rispetto verso il prossimo. Hanno le loro idee, ma sicuramente per questo non possono essere tacciati di fascismo o nazismo. Il conflitto in Ucraina ha diviso il Male dal Bene, ci sono gli aggressori e le persone che difendono la loro terra. Quindi, ognuno deve decidere da quale parte stare.
Quali sono le reazioni ai suoi video?
Ho iniziato a ricevere feedback positivi, in tanti considerano giusto e utile raccontare questa parte della guerra. È un modo per spiegare che se i bombardamenti arrivano anche dal nostro Paese, la Bielorussia, questo non significa che i bielorussi vogliono o approvano la guerra. Seguo e racconto diverse iniziative che gestiscono i volontari bielorussi, persone costrette a lasciare il loro paese e che oggi continuano ad aiutare gli ucraini, perché capiscono perfettamente cosa significhi perdere la patria e la libertà. Sto cercando fondi, perché’ vorrei realizzare un docu-film per testimoniare tutto questo, ci sono tanti progetti sociali di cui bisogna parlare.
Quale futuro vede per lei e per il suo Paese?
Oggi non posso pensare al futuro, vivo alla giornata. Io credo che, in questo momento, nessuno sa cosa succederà domani. Quello che so è che darò tutto me stesso per contribuire alla vittoria dell’Ucraina. Non so se mai ritornerò in Bielorussia. Molto dipende dal popolo, se i bielorussi saranno pronti a cambiare la loro mentalità, se troveranno il coraggio per un cambiamento di governo. Se dovessero arrivare al comando persone pronte a rispettare i diritti umani, allora sarò felice di ritornare e dare una mano. Ma siamo ancora molto lontani da questo sogno.
Pensa che sia credibile l’ipotesi di un referendum per la fusione della Bielorussia nella Russia, che comporterebbe una perdita di sovranità totale per il suo paese?
Credo che il Cremlino farà di tutto per stringere la Bielorussia in un’unione sempre più “credibile”. Quindi, sì, faranno un referendum, è assolutamente probabile. Del resto, abbiamo visto esempi simili in Ucraina, sui territori occupati dalla Russia a Kherson e Zaporižžja. Anche lì hanno fatto il referendum per l’adesione alla Russia e vogliono rendere questi territori parte della Russia, contro la volontà del popolo. Possono fare la stessa cosa anche con la Bielorussia, ma a parte loro, nessuno potrà mai riconoscere queste decisioni. Per i cittadini ucraini, il loro territorio rimarrà sempre L’Ucraina. Per i bielorussi, le nostre terre riameranno sempre bielorusse!
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