Serve un cambiamento culturale, ce lo diciamo sempre, per sconfiggere la piaga della violenza sulle donne. E se sulla cultura è necessario incidere affinché di violenza di genere non sia più necessario parlare, di donne uccise per mano di di compagni, ex o familiari non sia più necessario raccontare la storia, allora sono gli strumenti culturali che vanno utilizzati perché il messaggio sia davvero efficace. A partire dal teatro: “Il teatro non è solo una performance, è una vera e propria esperienza collettiva, ci aiuta a connetterci in un’unica emozione e apre a una serie di domande, di interrogativi a cui, insieme, possiamo dare delle risposte. Così si crea quel contagio reciproco, si creano gli anticorpi che concretamente possono contribuire a sostenere il cambiamento rispetto ad alcune storture che sono sotto gli occhi di tutti“. Cinzia Spanò è attrice e drammaturga, ha messo in scena la violenza sulle donne in più occasioni e ha creato il collettivo Amleta nel 2020, perché se il cambiamento ci deve essere è dagli stereotipi e dai pregiudizi che si deve partire.
Tra gli spettacoli di Spanò sul tema della violenza, a maggio 2019 ha debuttato “Tutto quello che volevo”, prodotto dal teatro Elfo Puccini, dedicato alla Giudice Paola di Nicola e alla sua sentenza riguardante un famoso caso di prostituzione minorile. Nella sentenza si stabiliva che il danno alla dignità di una ragazzina coinvolta nel giro di prostituzione minorile ai Parioli di Roma dovesse essere risarcito non in denaro ma in libri. Una sentenza che ha molto da insegnare sulla vittimizzazione secondaria, sugli stereotipi e sui pregiudizi “e sulla necessità di collocarsi dentro la propria storia per diventare pienamente ciò che si è“. Lo spettacolo ha vinto il Premio Milano Donna. “Dopo una delle messe in scena – racconta Spanò – ci hanno aspettato delle ragazze molto giovani, per dirci che finalmente, quella sera, avevano capito cosa volevano diventare, cosa volevano fare delle loro vite: le magistrate“. Le vie che percorre il discorso teatrale sono altre rispetto a quelle della sola razionalità, più complesse e profonde: “Certo – riflette Spanò – io posso leggere un saggio sulla violenza sulle donne e sarà utilissimo, ma negli esseri umani funziona il coinvolgimento, serve passare dentro unna storia, per comprenderla fino in fondo, per farla propria e agire un cambiamento nel proprio quotidiano“.
La sfida, quindi, è quella di riuscire a parlare di violenza di genere in un modo che coinvolga e renda direttamente partecipi: “Non dimentichiamoci che la violenza sulle donne è un problema che riguarda gli uomini – sottolinea Giulia Morello, presidente dell’associazione Dire Fare Cambiare – è necessario riuscire a costruire un percorso che porti un pubblico anche maschile ad avvicinarsi ai temi della violenza. Le platee – racconta – sono ancora troppo spesso a prevalenza femminile, ma il linguaggio teatrale ha la capacità e tutte le possibilità per parlare a quegli uomini che vogliono essere a fianco delle donne“.
Con “Secondo atto” sul palco la vittimizzazione secondaria
Ha debuttato invece a Udine, al Festival Vicino Lontano a maggio 2022 la piece teatrale “Secondo atto” (foto in alto), ideata e realizzata a cura dell’associazione M.A.S.C. nell’ambito del progetto europeo Never Again (di cui Il Sole 24 ore è partner con Alley Oop) proprio per mettere l’accento sulle situazioni in cui le donne colpite dalla violenza maschile si trovano nuovamente vittimizzate proprio da quelle istituzioni che dovrebbero aiutarle. “Abbiamo voluto portare il teatro dentro i corsi di formazione del progetto Never again“, dice la registra Giulia Corradi. I corsi sono dedicati ai professionisti e alle professioniste che più hanno a che fare con le donne vittime di violenza e con le loro storie: avvocati/e, magistrati/e, giornalisti/e e via dicendo. “Volevamo aumentare il loro coinvolgimento – dice Corradi – ed effettivamente ha funzionato. Abbiamo scelto di ridurre la durata prevista iniziale della piece da 50 a 30 minuti perché abbiamo voluto lasciare spazio alla riscrittura del testo, così da far interventire direttamente i partecipanti nella narrazione“. Le situazioni narrate: una denuncia in caserma, un incontro protetto di una bambina con il padre violento e un femminicidio premeditato, in cui non c’è stata una adeguata valutazione del rischio. “Ci siamo resi conto – racconta Corradi – che nella fase di riscrittura per molti era più facile cambiare le parole della vittima, della donna, che quelle del carabiniere che la interrogava in maniera ri-vittimizzante, per esempio. Era la donna a dover cambiare la sua narrazione… anche per chi è attento al tema e si sforza, spesso è difficile adottare il punto di vista della donna vittima. Siamo impregnati di una cultura profondamente maschilista, una mentalià difficile da sradicare“. Lo spettacolo, dopo Udine, è già andato in scena a Cosenza e a Napoli, proseguirà e sarà anche a Milano, il 20 settembre 2022.
Per M.A.S.C. (Movimento Artistico Socio Culturale), di cui Corradi è vicepresidente e fondatrice, non è la prima volta che viene affrontato il tema della violenza di genere. “Abbiamo portato nelle scuole ‘Cambiamo camicia’, che affronta il tema della violenza e della disparità – racconta Corradi – lì facevamo anche un dibattito al termine della rappresentazione e una volta ci è capitato che un insegnante ci informasse poi che, nei giorni successivi, tre ragazze si erano rivolte allo sportello psicologico della scuola perché avevano capito che quello che vivevano e vedevano in casa non era normale“. Reazioni forti e dirette, un desiderio di parlare e di venire allo scoperto che la messa in scena aiuta, spinge, favorisce, con l’identificazione e il rispecchiamento. “Abbiamo iniziato a occuparci di questo tema perché alcune delle nostre colleghe, in accademia, avevano vissuto situazioni di violenza in famiglia, di disparità in casa e a lavoro e avevano deciso di usare il loto talento e la loro arte per lavorare sulle loro emozioni. Il teatro – conclude Corradi – è terapeutico non solo per chi lo guarda ma anche per chi lo fa“.
L’esperienza di Cetec Dentro/Fuori San Vittore
Proprio in questo assunto affonda le sue radici Cetec Dentro/Fuori San Vittore, una compagnia teatrale con una storia trentennale che vede impiegate attrici detenute ed ex-detenute, giovani artisti e studenti. “In così tanti anni di lavoro in carcere abbiamo raccolto tante storie di sofferenza e di violenze non riconosciute“, racconta Donatella Massimilla, registra e drammaturga e fondatrice della compagnia. “Il racconto di queste violenze grazie al teatro diventa metafora – dice Massimilla – noi raccogliamo delle testimonianze che poi prendono vita, con una sorta di passaggio di testimone. Le storie, spesso, ci vengono donate, sta a noi restituire dignità alla donna che ha dovuto subire e, con la narrazione, si può dare coraggio ad altre donne per venire allo scoperto e riconoscere il loro vissuto“. Negli anni, la compagnia ha realizzato diverse iniziative sul tema, a partire dal progetto che il 25 novembre 2017 portò in piazza della Scala a Milano le sedie vuote, simbolo delle donne vittime di femminicidio, nell’ambito della campagna nazionale “Il Posto Occupato”, con comuni e municipi in tutta Italia che hanno tenuto una sedia vuota nelle aule consiliari, per ricordare il posto occupato dalle donne che non c’erano più. “Queste sedie pian piano si sono trasformate – racconta Massimilla – sono diventate le sedie delle persone che con corgaggio e con forza hanno trovato la determinazione per denunciare”.
“In questo momento – prosegue la regista – stiamo producendo un nuovo spettacolo insieme all’associazione Libere Sinergie, che sarà rappresentato all’aperto, uno spettacolo itinerante per le panchine rosse di Milano“. Il primo appuntamento è alla panchina rossa dello Spazio Alda Merini, il prossimo 15 giugno 2022. La performance teatrale “Com’eri vestita. Sono vestita di me, di me sono vestita”, diretto da Massimilla e interpretato da Gilberta Crispino e Rossella Raimondi sarà in tournée nelle panchine rosse delle periferie durante l’estate 2022, nel palinsesto “Milano è viva” del Comune. “Le donne vanno protette, credute e testimoniate“, dice con forza Massimilla, che nel 2018 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro del Comune di Milano per il suo impegno con le donne detenute. “Il teatro – conclude – è uno strumento etico, di tutela e protezione, anche per i diritti delle donne“.
La partita per i diritti delle donne si gioca anche sul palco
Passare per la cultura, quindi, per favorire un cambiamento che vada verso la parità dei diritti e dei doveri tra uomini e donne, perché solo la parità può sradicare alla radice il fenomeno strutturale della violenza. Ma la riflessione, proprio per questo e anche nel teatro, è più ampia. La violenza affonda le radici nella cultura patriarcale e se su questa non si lavora non ci può essere cambiamento.
“Il teatro, cosi come la cultura e l’arte in generale, fanno da specchio a una comunità che si vede, si riconosce e si orienta nella vita. Nel momento in cui questo specchio è sbilanciato e storto, ecco che allora anche la capacità di orientraci e di crescere viene compromessa“, mette in evidenza Cinzia Spanò. Nel 2020 Spanò ha fondato insieme ad altre colleghe Amleta , proprio per combattere contro le disparità e le discriminazioni delle donne nel mondo dello spettacolo. Spanò (qui in un’intervista video sul canale Instagram di Alley Oop) lo racconta come un punto di arrivo di un percorso che è stato, prima di tutto, di crescita personale: “Per anni sono stata un’interprete pura – dice – diretta da altri, ma pian piano ho sentito il bisogno di storie più mie, che mi corrispondessero di più“. Anche le narrazioni che vengono portate sui palcoscenici, dice, veicolano stereotipi e di conseguenza violenza, anche perché “le donne sono meno presenti degli uomini come attrici (meno del 40%) ma soprattutto come autrici e registe (meno del 20% sui palcoscenici principali). Questo vuol dire che le narrazioni che vediamo in scena hanno un unico punto di vista, che è quello maschile. Che non è sbagliato, ma è incompleto“. Come attrice, Spanò a un certo punto della sua carriera non si è sentita ascoltata, quella visione “a una sola dimensione” prevaleva: “Una visione della donna e del femminile piena di stereotipi e pregiudizi, lontano dalla realtà… da questo mi sono voluta allontanare e ho voluto raccontare storie che avessero delle protagoniste femminili, basate su eventi reali e con un punto di vista diverso“. Non solo, va considerato il fatto che il 70%-80% dei testi rappresentati è scritto da uomini perché “in passato alle donne non era concesso scrivere, studiare, in alcune epoche neanche recitare o andare a teatro. E’ in questo contesto di narrazioni che ci muoviamo e con cui dobbiamo fare i conti“.
“Manca la voce delle donne“, dice anche Giulia Morello, presidente di Dire Fare Cambiare, associazione di donne che ha promosso tra le altre cose un manifesto per una cultura come bene sostenibile, con la parità di genere come impegno primario, a partire proprio dal settore culturale. “Partendo dall’analisi dei cartelloni teatrali, per esempio, ci si rende conto di quale sia la reale situazione. Noi stesse siamo arrivate tardi a comprendere certi meccanismi, ad aprire gli occhi sulle storture che derivano da stereotipi e pregiudizi. Ce ne siamo rese conto e abbiamo fatto rete, in tante e in tanti hanno firmato il manifesto“. Restituire alle donne il loro punto di vista nelle narrazioni, dunque, per modificare le storture, quelle stesse storture che deviano poi nella violenza. L’associazione ha promosso varie iniziative proprio sul tema della violenza di genere, che ha trovato spazio anche in una tre giorni che ha raccolto diversi linguaggi d’arte, così come nelle Stand Up Comedy al femminile lanciate da Kaos Teatro e partite nel maggio 2022, “anche qui per combattere lo stereotipo secondo cui le donne non fanno ridere, come se anch la comicità fosse una prerogativa maschile“.
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Il Sole 24 Ore, con Alley Oop, è partner del progetto Never again, che ha come obiettivo quello di contrastare e combattere la vittimizzazione secondaria delle donne colpite dalla violenza.
NEVER AGAIN è un progetto co-finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione europea (2014-2020), GA n. 101005539. I contenuti di questo articolo sono di esclusiva responsabilità degli Autori e non riflettono il punto di vista della Commissione europea.