Diritto d’asilo: tener conto delle violenze sessuali è un’urgenza

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Una scena di “Le dernier refuge”, docufilm di Ousmane Zoromé Samassekou

“La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951, non è più uno strumento al passo con i tempi. Bisogna allargare il dibattito, tenere conto dei rifugiati climatici, delle sistematiche violenze sessuali sulle rotte migratorie”.

A utilizzare queste parole  durante il dibattito dal titolo Droit d’asile: la prise en compte des violences sexuelles est une urgence, svoltosi nel corso dell’ultima edizione del Fifdh, il festival del cinema e forum sui diritti umani di Ginevra (il più importante al mondo, che si tiene in concomitanza con il Consiglio dei diritti umani), non è un’attivista femminista-ambientalista, ma Liselotte Barzé, responsabile delle questioni legate al genere presso la Segreteria di Stato della migrazione, l’ente che stabilisce a quali condizioni una persona può immigrare, vivere e lavorare in Svizzera e decide chi può ricevere protezione dalla persecuzione. Non ci si aspetterebbe da lei una posizione così critica verso le norme nazionali e internazionali che è suo compito far applicare, eppure le sue parole sono chiare e taglienti.

La situazione è molto più che drammatica. Per le donne migranti lo stupro è ormai quasi sistematico, specialmente lungo alcune rotte, come quelle che passano per la Libia. Eppure le violenze sessuali subite nel tragitto non sono realmente tenute in conto durante la valutazione per l’assegnazione del diritto d’asilo. Oltre al trauma, quando vengono rispedite nel Paese d’origine, le donne e gli uomini violati sono spesso soggetti a gravi discriminazioni, è difficile che possano trovare un lavoro o farsi una famiglia, e a volte rischiano anche la vita.

Quel che accade ai migranti va molto al di là della nostra possibilità di comprensione, a volte abbiamo l’impressione di non farcela più neppure noi ad affrontare tutto questo” afferma Nelly Staderini, responsabile medica dell’Unità della salute femminile e infantile di Medici senza frontiere, denunciando le scelte politiche che tengono le persone in balìa delle violenze sessuali. Violenze che avvengono lungo le rotte migratorie, nei campi di detenzione in Libia, ma anche nei campi profughi europei, come quello affollatissimo di Lesbo, dove le decisioni volte al  contenimento dei richiedenti asilo hanno bloccato, fino a data indefinita, oltre 9mila persone, di cui un terzo costituito da minori, in una struttura pensata per accoglierne  poco più di 3mila. Qui le persone hanno attraversato l’inverno dormendo senza riparo e senza cibo, con un accesso limitato alle cure mediche.

Bisogna innanzitutto rendere sicure le rotte di migrazione, e invece questo è esattamente il contrario di quel che accade oggi – prosegue Staderini -. Prendiamo ad esempio la Libia: i governi europei conoscono perfettamente i crimini commessi dalle autorità libiche contro le persone in fuga. Conoscono gli stupri sistematici che avvengono nei campi di detenzione. Eppure lavorano mano nella mano con loro. Forniscono loro un sostegno finanziario e materiale perché impediscano ai migranti di attraversare il Mediterraneo. I contribuenti europei hanno già versato 57 milioni di euro alle istituzioni libiche preposte al controllo delle frontiere (e in generale hanno speso oltre 455 milioni di euro per il controllo delle frontiere e i rimpatri, ndr). La strategia adottata dai Paesi europei e dalla Ue ha come conseguenza diretta l’aumento delle violenze sessuali, la loro responsabilità in questi crimini è innegabile. Anche i rimpatri illegali sono ben documentati. E’ necessario porre fine urgentemente a questo sistema. Le persone non sono vulnerabili, sono messe in situazioni di vulnerabilità! Questo è stato deciso e pianificato, è il frutto di decisioni politiche. La conseguenza è uno tsunami“.

Nella realtà dei fatti, nei Paesi membri le violenze che le donne subiscono sulle rotte migratorie nella non sono prese in conto quando si tratta di concedere il diritto d’asilo – afferma Sofia Amazzough, responsabile della protezione legale nei centri federali per i rifugiati per la Caritas svizzera -. Ci si limita a guardare cosa è accaduto nel Paese di origine. L’obiettivo è infatti rispedire le persone da dove sono venute nel più breve tempo possibile, e non si tiene conto delle sevizie che hanno subìto nel tragitto, o comunque questo è un argomento molto difficile da far valere caso per caso, si mettono molti ostacoli, bisogna portare delle prove, si richiedono certificati non evidenti da ottenere in breve tempo, non si tiene conto che di questo tipo di violenze è molto difficile parlare“.

Il dramma che affrontano le donne che vogliono scappare dal loro Paese e che si trovano quasi sistematicamente stuprate è evocato con delicatezza da Le Dernier refuge un docufilm di Ousmane Zoromé Samassekou, con le sue grandi inquadrature dei corpi esuberanti di due timide adolescenti del Burkina Faso decise a emigrare per inseguire il desiderio di libertà e di realizzazione personale, ma che per arrivare alla meta non hanno altra via che quella di passare attraverso alla distruzione fisica e psichica dello stupro. “L‘avventura comincia quando vuoi e finisce quando non ne puoi più“, commenta amaro un compagno di strada.

All’origine della fuga dal proprio Paese, all’origine della richiesta di asilo, sono spesso proprio le violenze sessuali e sessiste verso le donne o le persone LGBTIQA+. Bisogna semplicemente riconoscere tale fatto. Queste persone si trovano sistematicamente esposte alla violenza e allo sfruttamento durante tutto il percorso migratorio, e nel caso in cui siano costrette a tornare indietro, vi saranno nuovamente esposte“, afferma Staderini.

Servono rotte di migrazione sicure e legali, l’origine della sofferenza è questa, le persone si fanno sfruttare e stuprare nei Paesi di transito perché non ci sono vie legali per arrivare.  Dimentichiamo  continuamente di aprire delle vie di immigrazione legale” aggiunge Amazzough, affermando anche che non è giusto discriminare i richiedenti asilo e invocando – a partire dalla crisi Ucraina – un trattamento più umano per tutti i richiedenti asilo.

E’ come la legge sull’aborto, così come se rendiamo legale l’aborto questo non implica che tutte le donne si metteranno ad abortire, non è che se rendiamo possibile l’asilo tutti si metteranno a migrare” conclude Staderini.

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