I moscoviti e la paura di pronunciare la parola guerra

Foto IPP/Evgeny Odinokov / Sputnik Mosca - Russia - 06.03.2022 nella foto  Gli agenti di polizia antisommossa arrestano due ragazzi che stavano partecipando ad una manifestazione di protesta contro la guerra militare russa in Ucraina  - WARNING AVAILABLE ONLY FOR ITALIAN MARKET - Italy Photo Press - repressionoe a Mosca - diverse persone arrestate durante una manifestazione di protesta contro la guerra in Ucraina da parte della polizia

Mosca – Gli agenti di polizia antisommossa arrestano due ragazzi che stavano partecipando ad una manifestazione di protesta contro la guerra militare russa in Ucraina

Il presidente Putin ha emanato una nuova legge che modifica il codice penale, che limiti la diffusione di fake news nella federazione. La Russia, lo ripete ormai da giorni, sta mettendo in atto “un’operazione speciale”, non si tratta di guerra. La legge approvata dalla Duma introduce, quindi, una responsabilità penale e chi osa diffondere notizie false che minino la stabilità del Paese rischia fino a quindici anni di carcere. Proprio per questo le tv internazionali, compresa la Rai, hanno deciso di far rientrare in patria i propri corrispondenti. Anche per loro c’era il rischio dell’arresto e della detenzione.,

Nei giorni scorsi migliaia di persone sono state arrestate nelle grandi città russe, perché pacificamente manifestavano contro la guerra, come ci hanno riportato agenzie e fotografi. Lentamente le testate anche più coraggiose, che finora si era apertamente espresse contro il presidente, hanno cominciato a smorzare i toni.  L’ha confermato Dmitry Muratov, direttore del giornale ‘Novaja Gazeta’ che nel 2021 è stato insignito del premio Nobel per il lavoro di libera informazione, in un post instagram: “Siamo costretti ad eliminare materiali su questo tema dal nostro sito e momentaneamente chiudiamo i commenti. Non abbiamo il diritto di rischiare la libertà dei nostri colleghi“.

“Non si può pronunciare la parola ‘guerra’, o dire ‘voglio la pace, perché queste parole sono vietate e rischio di essere arrestata, quindi dopo cancellerò immediatamente questi messaggi”

mi scrive Caterina, 45 anni di Mosca.

Vuole comunicare solo in italiano, anche se fa fatica, sebbene gli organi di stato abbiano sicuramente mezzi per tradurre i nostri messaggi. Caterina è una pubblicista, suo marito Ivan è giornalista presso una testata controllata dal governo. Qualche giorno fa lei gli ha chiesto di lasciare il suo lavoro perché: “E’ troppa la vergogna di supportare in questo momento chi sta spargendo sangue. Significa esserne complici“.

Ora ne è meno sicura, perché bisogna anche pensare al futuro dei loro due figli, futuro in cui non crede più. Dopo anni a pianificare: “Ci tocca dire addio a tanti traguardi, diremo addio a internet, ai risparmi di questi anni, ai nostri progetti. Adesso dobbiamo pensare al qui e ora, a cosa comprare subito e a cosa rinunciare per un tempo indeterminato. Per questo abbiamo fatto una riunione di famiglia e ne abbiamo parlato. Lo so voi aiuterete l’Ucraina, è normale. Noi diventeremo come l’Iran o la Corea del Nord’.

Il 31 gennaio del 1990 veniva inaugurato il primo Mc Donald’s a Mosca: 900 posti a sedere. La Perestrojka aveva segnato la fine di un tempo e l’inizio di un’apertura verso il mondo occidentale. A seguito delle sanzioni verso la nazione di Putin, quasi tutte le maggiori multinazionali internazionali hanno chiuso in Russia. Qualche giorno fa i moscoviti hanno preso d’assalto Ikea, perché aveva annunciato la chiusura. Volkswagen, Lego, Netflix, Toyota, Samsung, Coca Cola e nel campo dei social TikTok hanno emulato il colosso svedese. Sabato 5 marzo anche Visa e Mastercard hanno annunciato la sospensione delle operazioni in Russia. Il giorno della festa della donna anche McDonalds ha comunicato la chiusura dei suoi ristoranti.

La Russia di Caterina e Ivan sta compiendo un salto indietro nel tempo. All’inizio del novembre del 1917 il governo bolscevico firmò un decreto sulla stampa, che vietata ogni articolo ‘borghese’ che lo criticasse. La censura dopo qualche anno si inasprì, tanto da impedire ai cittadini sovietici di leggere grandi classici della letteratura russa come il ‘Maestro e Margherita’ di Bulgakov o ‘Il dottor Zhivago’ di Pasternak. Per non parlare dei libri scritti dagli scrittori emigrati: non si poteva leggere le opere di Vadimir Nabokov o di Ivan Bunin. Un destino che potrebbe a breve essere applicato da Putin anche alla Russia di oggi, se davvero internet verrà sostituito da intranet e il Paese del Cremlino deciderà per una disconnessine dalle reti globali.

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