Che cosa rende la vita degna di essere vissuta? È una domanda che ci facciamo di rado: perché lo sappiamo senza nemmeno chiedercelo… oppure perché preferiamo non sapere? Non sapere quanto la vita che abbiamo sia vicina alla risposta che ci daremmo, quanto invece abbiamo dato significato alle cose che abbiamo, piuttosto che cercare cose che abbiano per noi un significato? Bene, pare che le pandemie aiutino a fare queste riflessioni. Le pandemie, oppure altri grandi eventi che ci colpiscono: una perdita, una nascita, una malattia, una scoperta. Rallentano inevitabilmente la corsa e rendono visibili gli ingranaggi nascosti che regolano le nostre vite: visibili e quindi vulnerabili, questionabili, migliorabili. Per questo è particolarmente interessante proprio quest’anno vedere i risultati dell’ambiziosa ricerca del Pew Research Center, che ha intervistato 19.000 persone in 17 Paesi per scoprire “che cosa dà significato alla nostra vita”. Attenzione, non hanno fatto un questionario a risposte chiuse: hanno invece estratto i dati dalle narrazioni ricevute dai partecipanti. Una scelta coraggiosa che la tecnologia oggi rende possibile: non preimpostare ciò che si va a cercare, ma distillarlo dalla complessità della narrazione umana. Scoprendo, così, molto di più.
Ecco la domanda utilizzata, posta allo stesso modo nei 17 Paesi coinvolti, tra cui anche l’Italia:
“Stiamo facendo una ricerca su che cosa significhi vivere una vita soddisfacente. Per favore, prenditi un momento per riflettere sulla tua vita e su ciò che la rende degna di essere vissuta – poi rispondi alla domanda qui sotto nel modo più ponderato possibile.
Che cosa della tua vita trovi attualmente significativo, appagante o soddisfacente? Che cosa ti fa andare avanti e perchè?”
Chissà se, nei giorni successivi alle interviste, i ricercatori del Pew si sono premurati di controllare lo stato d’animo di chi ha risposto a questa domanda. Che poi sono almeno due domande: la prima riguarda “che cosa ci fa andare avanti”, ovvero che cosa ci spinge ogni giorno fuori dal letto, in strada, in ufficio, in viaggio, a lavorare, progettare, spingere, tirare, andare e tornare, senza requie. La seconda riguarda il perché: perché lo facciamo? La ricerca ha comunque finito col mappare una sola categoria di risposta che mette insieme questi due aspetti del senso della vita. Vediamoli, ma ricordiamoci che i punti di vista sono sempre almeno due: il significato di quel che facciamo come un “cosa” e il significato di quel che facciamo come un “perché”.
Al primo posto in quasi tutti i Paesi analizzati, scelta in media dal 38% dei partecipanti – con l’eccezione della Spagna, Corea del Nord, Taiwan e il caso ibrido dell’Italia (!) – un senso alla vita lo dà la famiglia. Dalla famiglia, per qualche motivo, la ricerca separa l’amore romantico, che è invece all’11° posto con un magro 4% di preferenze (in Italia il 7%), battuto, tra gli altri, da natura, hobby, libertà, società e apprendimento. Quindi famiglia intesa come amore “non romantico”: legami di parentela, ma soprattutto figli, il focolare domestico come piccola società autoprodotta, che fa emergere amore e responsabilità, dando un senso a tutto.
Dicevamo: il caso ibrido dell’Italia, dove al primo posto insieme alla famiglia, con il 43% delle preferenze, c’è anche il lavoro, che negli altri Paesi è invece al secondo posto con il 25% delle preferenze. Il lavoro va molto forte in tutti i Paesi coinvolti nella fascia tra i 30 e i 64 anni: età in cui è al secondo posto, mentre scende al terzo posto tra i 18 e i 29 anni e scompare, per fare posto a benessere materiale e salute, oltre i 65 anni. Lavoro come diritto, come manifestazione di cittadinanza, come espressione di sé e possibilità di crescita personale, oltre che fonte di sostentamento. A pensarla come gli Italiani sono anche gli Spagnoli, che lo mettono prima della famiglia (40% delle citazioni), anche se comunque dopo salute e benessere materiale.
Al terzo posto infine, nella maggior parte dei Paesi, concorrono il benessere materiale, gli amici e la salute psicofisica, e anche qui la classifica si colora di informazioni se la si guarda per fascia d’età – l’amicizia per esempio, elemento cardine per i giovani, perde peso con l’avanzare dell’età, e al terzo posto compare la salute, mentre nell’età adulta prevale il benessere materiale. Sembra quasi di vederli: sogni e ambizioni che prendono forma con il passare degli anni, si gonfiano e si sgonfiano davanti alla realtà. Il lavoro che sale dal terzo al secondo posto al compimento dei 30 anni, scalzando le amicizie, per essere a sua volta sostituito dal benessere materiale dopo i 65 anni, mentre nei primi tre si affaccia anche la preoccupazione per la salute. E, in questo movimento, fa impressione come resti quasi sempre salda al primo posto una parola che può voler dire tutto e niente, perché cambia connotazione con la cultura, l’età, le condizioni economiche, la collocazione geografica. La “famiglia” prevale comunque: radici che danno fondamento al motivo per cui qui siamo, ma anche frutti che ci confermano che siamo in grado di esistere oltre il limite di noi stessi, in un futuro che non ci prevede.
Lo sappiamo, allora, che cosa ci fa andare avanti? E sappiamo come ci fa sentire ricordarcelo?
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