Il meglio e il peggio di un anno sulla disabilità

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Un anno fa di questi tempi ci siamo lasciati qui con un senso diffuso di alleanza, pronti a realizzare desideri impossibili e a navigare insieme nel mondo così eterogeneo della disabilità. In realtà, a un anno di distanza, tra questo gruppo di portatori d’interesse non è successo poi molto, chi preso dall’immobilità della continua emergenza sanitaria e chi dalla quotidianità impellente, non siamo riusciti ad incontrarci e in pochi hanno dato seguito ad alleanze e buoni propositi insieme.

Credo sia giusto però ripercorrere gli eventi che nel 2021 hanno caratterizzato questo nostro piccolo mondo e a cui ancora oggi i grandi media non danno la giusta risonanza: all’insegna della trasparenza, così come ci hanno insegnato le ultime opere d’arte di ZeroCalcare e Marracash.

Partiamo dalla rappresentazione delle persone con disabilità nei media: continua il crescente ruolo dei social media per diffondere informazioni ed educare, quello che il report Think Forward promosso da we are social definisce come ‘In feed syllabuses’: oggi più che in aula o sui libri di testo ci si fa un’opinione e si crea cultura attraverso il ‘casual learning’, e le diverse persone con disabilità che fanno sentire la propria voce in campagne di attivismo sono sempre più agevolate dall’accessibilità di tutte le principali piattaforme social. In particolare troviamo un affermarsi di posizioni divergenti su tematiche di attualità che riguardano le persone con disabilità su Instagram: le fazioni tra genitori di bambini autistici e persone autistiche sono un esempio lampante di come sia difficile stabilire alleanze e parlare con toni generalisti che includano tutti e tutte.

Anche gli spot pubblicitari sono tornati a fare cultura, dal pluripremiato ‘Hiring chain’ promosso da Coordown per l’inclusione lavorativa delle persone con Sindrome di Down, fino alla recente campagna di Parent Project ‘Poteva andarmi peggio’, che ha polarizzato la discussione su quanto faccia più o meno bene associare il mondo delle disabilità ad altri stereotipi negativi. E’ aumentata infine la rappresentazione delle persone con disabilità nelle campagne più generaliste, non si capisce bene ancora se con intenti di attivismo performativo o washing-qualcosa, o se genuinamente qualcuno ha cominciato a pensare che il 15% della popolazione mondiale possa davvero essere un target di consumatori interessante.

Una cosa di cui faremmo invece a meno per i prossimi anni sono le onorificenze date alle persone con disabilità con una pacca sulla spalla: facciamo che dai prossimi anni assegniamo medaglie, ambrogini&co a chi compie un’impresa epocale, innova un mercato, raggiunge un traguardo sportivo o genera equità sociale per tutti e non a chi ha salvato un gattino sull’albero.

Passiamo al mondo delle norme, le istituzioni, il lavoro: è interessante il punto di vista di Francesca Bonsi Magnoni, disability manager di Unicredit, che racconta: “La pandemia ha modificato le abitudini di tutti, nessuno escluso ed ha inciso in maniera determinante sulla vita di alcuni. Ad esempio le persone sorde, per Ie quali le espressioni del volto e la labio lettura rappresentano elemento fondamentale per la comunicazione, improvvisamente hanno perso il diritto di comunicare, perché la mascherina ha tolto loro ogni possibilità’ di interagire con il mondo, isolandoli. La pandemia ha anche consentito un’accelerazione digitale creando nuove opportunità’ per comunicare che, insieme allo smart working, hanno garantito a molti la possibilità di lavorare da remoto senza perdere il lavoro”.

Anche Carlo Pittis, ceo della società benefit Movimento, ci fa soffermare su una svista normativa che ci ha tenuto impegnati nel 2021, l’ipotesi di togliere la pensione d’invalidità a chi con almeno il 74% di disabilità ha un lavoro anche part-time: “La mia esperienza diretta mi dice che ho avuto un arbitrario 60% che non da’ diritto a praticamente nulla, ed essendo arrivato al mondo della disabilità in età avanzata posso assicurare che fino a pochi anni fa fare il mio lavoro era decisamente meno faticoso di ora. Eppure dovrò lavorare come se nulla fosse successo sino a 67 anni (o più?) per avere una pensione. A me forse non interessa andare in pensione prima, ma che lavorare con una disabilità sia un fattore ‘usurante’ mi pare evidente tutti i giorni”.

Uno scollamento insomma tra ciò che si decide in alcune stanze e la vita vera e i bisogni delle persone, questa sembra davvero essere una costante nel mondo della disabilità in Italia: pensate all’emendamento al decreto fiscale presentato dal senatore Comincini per le startup che assumeranno persone con autismo e che avranno per questo benefici fiscali e contributivi. E se l’azienda assume una persona con condizioni di disabilità diverse dall’autismo, cosa fai, gli aumenti le tasse? O il rinnovato interesse per la mobilità sostenibile nelle nostre città: qualcuno si sarà posto il problema di bambini che non impareranno mai ad andare in bici, che dovranno vivere le città in maniera sicura anche con i loro deambulatori o carrozzine sulle piste ciclabili?

Il tema disabilità viene sbandierato a destra e a manca per raccogliere voti in campagna elettorale ma poi di fatto sono state pochissime le persone competenti su questa tematica che sono salite al governo o nei vari consigli comunali: ancora oggi nelle principali città italiane manca la figura di riferimento del Disability Manager, previsto nelle amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti e che potrebbe davvero fare da raccordo tra politiche e risposta ai bisogni.

E poi il 2021 è stato anche referendum online, su eutanasia e cannabis legale, due temi molto vicini a questa parte della popolazione che ha finalmente potuto esprimere la propria voce grazie allo spid e senza spostarsi da casa; l’anno della Legge Zan, che poteva essere un’occasione per parlare anche della discriminazione multipla contro le persone disabili; l’anno in cui nessuna città italiana ha vinto il premio Access City Award e l’anno in cui la Commissione Europea ha scelto l’Italia come paese pilota in cui lanciare la tessera europea d’invalidità.

Parliamo di scuola, perché il 2021 è iniziato all’insegna di un ricorso al TAR di un gruppo di associazioni riunite sotto l’hashtag #noesonero, per contestare il Decreto Interministeriale n.182 del 29 dicembre 2020 che aveva dato il via all’adozione del nuovo modello di PEI (Piano Educativo Individualizzato) e stabiliva le modalità per l’assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità in Italia. Con l’inizio della scuola il TAR ha accolto il ricorso nella sua interezza, dichiarando illegittimo il DI 182/2020 e tutti i suoi allegati. In particolare è stata dichiarata illegittima la possibilità di esonero degli alunni con disabilità da alcune attività della classe, con partecipazione ad attività di laboratorio separate: niente classi differenziali e laboratori d’orto, per ora, ma la storia va avanti.

Anche in questa categoria, nessuna divisione tra buoni e cattivi ma è come se i buoni proprio non ce la facessero ad andare d’accordo tra di loro: ad esempio, si promuovono incontri di visionari per costruire la scuola del futuro, si invitano scrittori, ricercatori, ministri e ci si dimentica che i genitori sono parte della comunità educante, come pure gli insegnanti di sostegno dei 300.000 alunni con disabilità in Italia. Una riflessione interessante che getta un ponte sulla scuola è quella di Daniele Regolo, fondatore di Jobmetoo, che nel riprendere i suoi tre desideri del 2020 ci racconta: “1) Siamo ancora lontani dal percorrere una strada che può spaventare, ma che reputiamo al passo coi tempi (ricordo che molti Paesi nel mondo non prevedono l’obbligo, a favore di altre tutele normative) ma il recentissimo Disegno di Legge Delega in materia di Disabilità porta una forte ventata d’innovazione che non possiamo ignorare: la persona non sarà più considerata per la disabilità di cui è “portatrice” ma un soggetto da valutare nella sua complessità, come da anni indica la Convenzione ONU. Certo siamo solo agli inizi di un lungo percorso, ma l’importante era tracciare la rotta.
2) Stiamo parlando sempre più di inclusione e fare inclusione presuppone allontanare ogni discriminazione. Credo sia utile ricordare che, spesso, le persone discriminate non sanno neanche di esserlo, per cui mi auguro che ciascuno di noi diventi un po’ più il “garante” del prossimo. Specialmente se c’è di mezzo una disabilità.
3) Basta iscriversi alle newsletter di qualche portale specialistico per notare la grande attenzione che il mondo della scuola e dell’Università stanno dedicando alla crescita degli studenti e studentesse con disabilità. Questo forse il punto su cui notiamo i più forti progressi. La vera criticità sta ancora nel momento del passaggio dai banchi agli uffici: è su questo ponte ancora in costruzione che concentrerei, oggi, i maggiori sforzi”.

Chiudiamo con lo sport, fonte di grandissime soddisfazioni quest’anno: le Paralimpiadi di Tokyo 2020 (svolte in realtà nel 2021) si sono chiuse con un medagliere da record per l’Italia, ben 69 medaglie; e poi noi tutti che abbiamo cominciato a conoscere meglio per le loro imprese eccezionali gli atleti e le atlete del nuoto, lo sguardo vittorioso di Bebe Vio e le 3 campionesse dell’atletica leggera nei 100 metri femminile. Pure il linguaggio della cronaca sportiva è generalmente cambiato in meglio, troviamo nelle pagine dei quotidiani sempre meno “affetti da” o “costretti su una carrozzina”, anche se ad esempio abbiamo vissuto il buco normativo del riconoscimento delle donne transgender nello sport, con la vicenda dell’atleta paralimpica Valentina Petrillo.

Insomma, anche oggi è il 3/12 e celebriamo insieme la giornata internazionale delle persone con disabilità: speriamo che l’anno prossimo si arrivi tutti un po’ più lontano e tutti insieme, forse la ricetta sta nel racconto di Elena Tantardini, caregiver e madre di Leonardo: È passato un anno da quando abbiamo tutti provato ad immaginare di avere risorse illimitate, da investire per ottenere un mondo più inclusivo. Nessuno di noi le ha avute a disposizione (parlo a nome di tutti, certa di dire il vero), ma ognuno di noi ha vissuto un anno supplementare di esperienze. Esperienze che sono a tutti gli effetti risorse (non so se siano llimitate, ma di certo sono preziose). In questo tempo, io sono giunta alla conclusione che, qualunque sia l’obiettivo che ci si pone, la chiave per raggiungerlo é stimolare l’EMPATIA dei nostri interlocutori. Se mi volto a riguardare le battaglie combattute per mio figlio, insieme a tutta la famiglia, in questo ultimo anno, vedo che il saper raccontare in chiave ‘umana’ e coinvolgente la nostra storia, le nostre vicende e ciò di cui abbiamo bisogno, ha spesso acceso la scintilla che ha aperto un varco al dialogo e a volte perfino al miglioramento. È altresì importante, devo ammetterlo, essere a propria volta capaci di grande empatia, per saper selezionare gli interlocutori più ricettivi, con cui investire con profitto le energie. La mia proposta per il 2022 per rendere il mondo più inclusivo, perciò, è la seguente: impegniamoci ad insegnare ai nostri bambini ad ascoltare con il cuore, a vedere col cervello, a toccare con l’anima, a osservare e comprendere gli altri con tutti gli organi e tutti i sensi. Questo gioverà a tutti, persone con e senza disabilità – ne sono convinta“.

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