In questi mesi nei posti di lavoro vengono al pettine i nodi che lo stato di emergenza degli ultimi due anni ha fatto passare in secondo piano: vuol dire che tornano a sentirsi più chiari i malumori di colleghi e collaboratori, che aver “tenuto” così a lungo ha creato delle aspettative di cambiamento che adesso tardano a trovare conferma, che essere a metà del guado fa sentire ad alcuni l’urgenza di conoscere il proprio destino professionale e ad altri la necessità di continuare a sentirsi al sicuro, restando immobili dove si è.
Distinguere tra stati d’animo così diversi e trattarli diversamente per continuare a mantenere produttive (e sane!) le persone sembra una missione impossibile, soprattutto perché manager ed HR sono a loro volta persone che stanno vivendo complessità analoghe: gli si chiede di osservare gli altri con attenzione, ma al tempo stesso si sentono i “grandi osservati”, quelli, insomma, col pallino in mano. Le dinamiche in corso nella relazione tra azienda e collaboratori ricordano un po’ quelle di una vecchia coppia, e forse proprio dall’universo dei sentimenti si potrebbe trarre ispirazione per dare un colpo di reni che ci porti oltre tante piccole situazioni di stallo, che tutte insieme rischiano di diventare delle vere e proprie sabbie mobili per la ripartenza “post pandemia”.
L’ispirazione mi viene da un articolo dell’Harvard Business Review dal titolo “Con tante persone che lasciano, non trascurare chi resta” – un concetto anche questo che, facendo il percorso inverso, dal mondo del lavoro si potrebbe applicare con successo alla vita privata. Ecco quindi tre consigli molto pratici che dalla vita di coppia potremmo trasferire alle relazioni professionali:
Non rassegnarsi a un rapporto esausto, per quanto la routine sia rassicurante. A volte la fatica di prendere la temperatura a un rapporto e stabilire se sia sano sembra davvero troppa: diventa più semplice adagiarsi nelle abitudini, farsi rassicurare dalla prospettiva dello stipendio a fine mese, raccontarsi che “è sempre meglio che andare in miniera”. Ma la relazione professionale occupa gran parte della nostra vita e ha diritto a una cura maggiore: dobbiamo aspettarci che sia vitale e preoccuparci se non lo è. La coppia va in crisi quando le persone o le circostanze cambiano e lo sguardo no: quando il tempo passa e le aspettative non evolvono, quando ci si sente visti poco e non si vede più l’altro. Nella crisi si può vivere a lungo, rassegnati a una convivenza fatta di necessità, ma si vive male, si produce poco e si sta solo aspettando che qualcosa di meglio si presenti all’orizzonte per tornare a sentirsi vivi. Come fare per uscirne?
In una relazione si è sempre (almeno) in due. E’ proprio così: spesso i manager e le persone che lavorano nelle risorse umane delle aziende si sentono e si comportano come se l’onere del mantenimento della relazione fosse tutto dalla loro parte. E’ una vecchia scuola e si porta dietro un’idea di gestione delle persone come controllo, ma la prospettiva della coppia ci consente di andare oltre e ci ricorda che la salute di una relazione richiede uno sforzo da parte di entrambi gli attori. Entrambi sono chiamati ad accorgersi se le cose non stanno funzionando, a sentirsene responsabili e a “sbattersi” per rimetterle in carreggiata, se vogliono che la relazione continui. Se funziona, ma anche se finisce, in una relazione si è sempre in due: non c’è un emittente e un ricevente, ma due adulti che hanno deciso di ballare insieme e devono confermare questa decisione ogni giorno, con le parole e con i fatti, anche quando la musica cambia.
Separarsi non è un fallimento. Appunto, poi può finire. Le persone si lasciano, le persone di dimettono. E’ curioso vedere come in alcuni posti di lavoro le dimissioni siano vissute come dei veri e propri tradimenti. Entrano in gioco sentimenti abbandonici, si scatenano reazioni emotive, la separazione viene vissuta come la rottura di un patto. Eppure separarsi è un atto vitale, una scelta precisa, che rompe la routine del rapporto esausto. Fa spazio a nuove possibilità: cambiamenti organizzativi, percorsi di carriera, valutazioni troppo a lungo rimandate perché, seppur parziale, c’era una soluzione a nascondere i problemi. Pesa, certo che pesa. Se quella persona era lì con noi, stava rispondendo a dei bisogni e vi stavamo investendo delle risorse. Ma la crisi è sempre un motore di rinnovamento, forse l’unico veramente in grado di cambiare delle cose che nell’inerzia stavano invecchiando, perdendo di definizione.
Lasciamo andare chi non ci ama più: potremmo accorgerci che avevamo smesso di amarlo anche noi da tempo. E’ l’occasione per guardare meglio chi rimane e, con loro, fare un’alleanza nuova, meno pigra e routinaria, che ci porti a confermare ogni giorno le ragioni per cui amiamo il nostro lavoro.
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