L’Aula della Camera ha approvato all’unanimità (393 sì e nessun contrario) la proposta di legge unificata che punta a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a favorire la parità retributiva tra i sessi. Il provvedimento, che modifica il Codice delle pari opportunità, passa ora all’esame del Senato.
Tra le novità introdotte figura l’ampliamento dell’obbligo di redazione del rapporto sulla situazione del personale alle aziende, pubbliche e private, con più di 50 dipendenti (anziché più di 100, come attualmente previsto) e vengono previsti, tra l’altro, strumenti per favorire la conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro, di un sistema di certificazione della parità di genere.
Vengono poi introdotte, tra le fattispecie che danno luogo a discriminazione indiretta anche gli atti di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro che, modificando l’organizzazione delle condizioni e il tempo del lavoro, mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso. Le nuove norme integrano, quindi, la nozione di discriminazione diretta e indiretta. Nel ‘mirino’, pertanto, finiscono quei trattamenti che, “in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive“, pongono o possono porre la lavoratrice in “posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri” addetti, generano “limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali“, e creano ostacoli riguardo ad avanzamento e progressione nella carriera.
Arriva, poi, dal 1° gennaio 2022, la certificazione della parità di genere, che dovrà attestare, tra l’altro, le misure adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Certificazione accompagnata, peraltro, da un conseguente meccanismo di premialità consistente in uno sgravio contributivo fino a 50mila euro all’anno per ciascuna azienda.
La riduzione del ‘gender pay gap‘, nel nostro Paese, passerà anche attraverso un premio alle aziende private che abbiano un organico all’insegna dell’uguaglianza tra i sessi. Potranno, infatti, godere di sgravi contributivi fino a 50.000 euro. Non solo. Potranno ricevere con più facilità aiuti di Stato per sostenere i propri investimenti. È quanto previsto dal testo approvato ieri, che racchiude iniziative di diversi schieramenti politici.
Il provvedimento, che sarà esaminato in seconda lettura al Senato, va a modificare l’articolo 46 del codice delle pari opportunità del 2006. La relatrice e promotrice dell’iniziativa, la deputata del Pd Chiara Gribaudo, ha voluto ricordare “le 470.000 donne che hanno perso il lavoro durante la pandemia“, evidenziando come, in Italia, le laureate siano pari al 56% del totale di chi ottiene il titolo, “ma solo il 28% dei manager” e che “è ancora possibile per una donna ricevere fino al 20% di stipendio in meno del collega uomo“, con medesime mansioni e ore lavorate.
Per la ministra delle Pari opportunità e della Famiglia Elena Bonetti, quella licenziata alla Camera è “una proposta che si integra con la certificazione per la parità di genere prevista dal Pnrr“, mentre per il collega titolare del dicastero del Lavoro Andrea Orlando il semaforo verde acceso sul provvedimento è “un’ottima notizia” e “un passo in avanti sulla strada” dell’uguaglianza tra donne e uomini.
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