Se le aziende guardano alla salute mentale dei dipendenti

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La gente è sopraffatta ed esausta eppure sente di dover dare ancora di più”, Amelia Nagoski, direttrice d’orchestra e autrice.

Non siamo ancora fuori dalla pandemia e già è chiaro che molto probabilmente questa non sarà l’ultima crisi a mettere in discussione la vita che conoscevamo. Non possiamo dire come e quanto profondamente cambieranno le regole. Ma sembra chiaro che la salvaguardia della salute mentale ha iniziato a penetrare in certo modo la cultura delle aziende: il superamento di questa difficile fase storica passa anche dalla ridefinizione di vecchi parametri.

Di burnout parlavo già qualche tempo fai: la sua definizione “tradizionale” non sembra cogliere tutte le sfaccettature evidenziate da questo periodo. Però a guardare all’ambito del lavoro dipendente, sugli altri, appare altrettanto chiaro che sempre più organizzazioni, realtà produttive e governi stanno cercando risposte alle necessità conseguenti al suo dilagare.

Le prime reazioni sono arrivate immediatamente a inizio 2020, principalmente imposte dal rispetto del distanziamento sociale: dallo smart-working alla revisione delle modalità del lavoro, fino alla parziale flessibilità concessa agli orari d’ufficio. Ma se alcune di queste ridefinizioni sono apparse gradite, oltre che imposte magari confusamente nella situazione iniziale, con il passare dei mesi non tutte le proposte si sono dimostrate condizioni sufficienti o risolutive.

L’allontanamento fisico da certe abitudini d’ufficio tossiche ha, infatti, in molti casi acuito il senso di inadeguatezza e sopraffazione, la percezione di dover essere costantemente connessi e reattivi. “Avere più tempo” non corrisponde quindi sempre a una gestione più equilibrata tra bisogni personali e professionali. Lavorare da remoto non è la soluzione per tutti, e non lo è poi soprattutto se non viene accompagnata da altre riflessioni e interventi specifici.

Non solo giorni di vacanza extra

In questa situazione, una nota positiva è il diffondersi dei tentativi da parte di alcune aziende (più o meno capillari e più o meno estemporanei) che stanno mostrando un’attenzione diretta all’esaurimento dei proprio dipendenti. È successo a Mozilla: la società che produce il browser Firefox questa primavera ha chiuso tutte le sue attività per una settimana di…”wellness”. Sempre in USA PepsiCo e Verizon hanno promesso di mantenere alcuni benefit sviluppati specificamente per i periodi di lockdown, come un supporto economico per la cura di bambini o parenti anziani. In Canada, la società di e-commerce Shopify, per tutto questo mese di agosto re-introduce i “Rest & Refuel Fridays”, lanciati l’estate scorsa. Altre aziende puntano a definire in modo quasi personalizzato orari e luoghi di lavoro con i propri dipendenti.

Marlena Edwards, chief people officer della HLK, società di marketing di St. Luis spiegava questa tendenza al Washington Post: “le persone desiderano […] avere la flessibilità di poter consegnare un lavoro ma svolgendolo secondo il proprio stile di vita. Che il proprio orario sia dalle 9 alle 5, o da mezzogiorno alle 7, credo che permettere di pianificare le giornate secondo quello che sta succedendo nelle proprie vite personali, aiuta contro il burnout perché permette di gestire meglio il proprio tempo invece di essere obbligati” a orari prestabiliti. One size does not fits all.

Verso una migliore qualità del lavoro?

Il trend, visibile un po’ ovunque, dalle Fortune 500 fino alle realtà piccole o al mondo del no-profit, sembra rimarcare la necessità di cambiamento. Che è figlio forse anche di una maggiore consapevolezza delle possibilità e dei bisogni sia delle aziende che dei dipendenti. Per esempio appare chiaro come, per quanto sia un inizio importante non c’è solo bisogno di giorni di vacanza extra. Ma anche di ragionare sulla qualità del luogo di lavoro.

Duramente colpiti dalla crisi sanitaria, certi modelli aziendali che abbiamo conosciuto fino a qui si sono rivelati, in generale, un pericolo per la salute mentale. Molti degli esperimenti introdotti per contrastare lo stress puntando nella stessa direzione, e sembrano offrire delle prospettive interessanti in questo senso.

Per prevenire condizioni patologiche, alcune azioni o tendenze sembrano offrire, tra le altre, maggiore efficacia:

– lavorare su una maggiore e migliore comunicazione tra persone e posizioni all’interno dei gruppi di lavoro;

– intervenire sulla cultura della “performance a tutti i costi”;

– dialogare, per sentirsi parte di un sistema. I leader dovrebbero essere chiari nelle loro richieste e aspettative. E i membri dei team comprendere e specificare le proprie necessità anche già a partire dalla pianificazione del “back-to-the-office” post pandemia;

– evitare di normalizzare o, addirittura, premiare la quantità del tempo speso lavorando. E incoraggiare attivamente, invece, vacanze e periodi di pausa;

cambiare prospettiva: cercare di individuare gli aspetti più rischiosi sul posto di lavoro, invece di pensare di “sistemare” i propri collaboratori o dipendenti.

Non ne va solo della salute mentale delle persone o delle aziende coinvolte, ma interessa anche, più in prospettiva, i costi per la società intera.

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