Pangea Onlus: in Afghanistan subito corridoi umanitari per le donne in pericolo

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Lavoriamo in Afghanistan da 20 anni, ora abbiamo paura, tanta. Aver lavorato per i diritti delle donne diventa una macchia, una colpa, che può portare a essere violentate, frustate pubblicamente, torturate, fino a essere uccise. E a punire anche i familiari. Per noi è insopportabile questo pensiero, il nostro staff è una parte della nostra famiglia!“. Simona Lanzoni è la vicepresidente di Pangea Onlus e con lei tutta l’organizzazione no profit vive ore di profonda angoscia, con la presa del potere da parte dei talebani.

img_3983Nei giorni scorsi, con drammatici appelli dalle pagine dei social della onlus, Pangea ha chiesto aiuto, ha chiesto di non lasciare sole le donne e i bambini più a rischio, di tenere alta l’attenzione. E da Kabul arrivano gli appelli dello staff, con i timori dei rastrellamenti e la necessità di bruciare tutti i documenti nella sede dell’organizzazione, perché nulla possa mettere a rischio la vita delle decine di migliaia di donne e bambini che Pangea ha aiutato e sta aiutando.

Siamo presenti in Afghanistan dal 2003 – racconta Simona Lanzoni – quando io sono arrivata in Afghanistan era proprio l’8 marzo del 2003. In realtà già lavoravamo con le donne afghane dal 1999 e proprio questo è stato il motivo per cui è nata Pangea: volevamo essere con le donne afghane nella ricostruzione del Paese. Abbiamo iniziato con il progetto Jamila nel 2003. Abbiamo messo su il progetto con due donne afghane oggi è gestito solo da donne afghane. Microcredito, risparmio, educazione, salute diritti, una nuova vita… abbiamo poi fatto progetti di formazione come quello di sartoria e di formazione per parricchiere. Da diversi anni, poi, sosteniamo la scuola per bambine e bambini sordi a Kabul, una scuola per 500 studentesse e studenti”.

 img_0968Cosa sta succedendo in questi giorni, che resoconti avete dall’Afghanistan?L’avanzata talebana era nell’aria da tempo. In realtà, i talebani non sono mai andati via ma il vero problema è che hanno sempre di più, negli anni, preso potere. Negli ultimi mesi ci siamo interrogati spesso su che cosa fare, ma siamo sempre andati avanti con la grinta delle nostre colleghe afghane, con cui abbiamo sempre condiviso l’importanza profonda del lavoro che svolgiamo insieme. Nel giro di pochissimi giorni la situazione è capitolata, anche a causa della politica internazionale. A questo punto non è questione di sapere cosa è stato contrattato o chi ha la responsabilità di tutto questo, ma il vero problema è che in mezzo ci sono tante, tantissime vite umane.

I resoconti che arrivano da Kabul sono terribili, con rastrellamenti notturni, paura, incertezza. Cosa temete di più?
Abbiamo iniziato in maniera straziante ad avere veramente tanta paura per il nostro staff, fatto principlamente di donne ma anche di uomini, che sono accanto a noi e alla nostra mission: fare empowerment. Ci siamo resi conto che questo staff è impegnato nel lavoro quotidiano con noi ormai da 18-19 anni e ora ha bisogno di essere protetto: sarebbe un target privilegiato per i talebani! Aver lavorato per i diritti delle donne, per il loro empowerment economico e sociale nonché culturale diventa una macchia, una colpa, che può portare a essere violentate, frustate pubblicamente, torturate, fino ad essere uccise. E le punizioni possono colpire anche i familiari. Per noi è insopportabile questo pensiero, il nostro staff è come se fosse una parte della nostra famiglia: non possiamo stare a guardare, bisogna agire! 

Lo staff e le operatrici stanno cercando di lasciare il Paese?
Pensiamo che le nostre operatrici afghane abbiano il diritto di essere messe in sicurezza, di essere evacuate con corridoi umanitari, perché hanno lavorato per noi italiani e per tutte quelle persone italiane che negli anni hanno sostenuto Pangea e il nostro lavoro in Afganistan, per vedere un cambiamento. Abbiamo dovuto fermare le attività per il momento perché è troppo pericoloso poterle svolgere.

img_8288Cosa vi aspettate nei prossimi mesi?
Pensiamo che in futuro sarà possibile capire che cosa fare e sicuramente torneremo in Afganistan e continueremo il lavoro che abbiamo iniziato. E se il regime talebano sarà contrario alle donne, come purtroppo penso, continueremo il lavoro con attività clandestine. Le donne non vanno lasciate sole, né quelle che fino ad oggi hanno operato con noi né quelle che rimarranno in Afghanistan. Troveremo il modo. Bisogna però in questo momento vedere come evolvono le cose in loco… diffido del cambio di pelle dei talebani.

Cosa possiamo fare per aiutare le donne afghane in questo momento? E voi cosa chiedete ai governi occidentali e a quello italiano?
Stiamo raccogliendo fondi destinati a questa emergenza perché sappiamo che c’è bisogno e penso che vadano seriamente garantite le possibilità concrete di realizzare corridoi umanitari laici per le giovani donne che vogliono istruirsi, per le donne vittime e a rischio violenza, per le attiviste dei diritti umani le giornaliste. Va messa in atto la
Risoluzione UNSCR 1325 su donne pace e sicurezza. E credo fermamente che non vada riconosciuto il governo talebano. E questo che chiediamo, è questo di cui c’è immediato e urgente bisogno.