Olimpiadi di Tokyo, fra storia e presente la rincorsa delle donne

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I Giochi delle donne. Tokyo, edizione storica al di là di ogni risultato per come ci si è arrivati dopo il Covid, milioni di morti e il fardello del dolore, è casa delle donne. A Rio del Janeiro 2016, le atlete rappresentavano il 44% del totale dei partecipanti. Ora siamo vicini alla parità, come dimostra anche il team Italia.

La rincorsa delle donne inizia lontanissimo: dall’affresco del Toreador, proveniente dal Palazzo di Cnosso e conservato al Museo archeologico di Candia, a Creta. Un acrobata maschile compie un volteggio su un toro ed è aiutato da due giovani donne. L’opera, datata intorno al 1500 a.C., elegante testimonianza della civiltà palaziale minoica, è ricordata nel documentato saggio “Le protagoniste. L’emancipazione femminile attraverso lo sport”, firmato da Eva Cantarella, storica dell’antichità, ed Ettore Miraglia, giornalista del Corriere della sera e della Gazzetta dello Sport.

La prima parte del volume, tutta storica, ricorda la presenza delle donne delle poleis nelle attività fisiche: a Sparta corrono la corsa non agonistica di tipo iniziatico dedicata a Elena, la “migliore di tutte noi”; ad Atene le ragazze si dedicano all’attività fisica durante le feste Arkteia, in onore di Artemide, e a Olimpia, Ippodamia, moglie di Pelope, fondatore delle Olimpiadi, crea i giochi Heraia, raccontati anche da Pausania, nei quali le donne corrono nello stadio e sono insignite di premi e gloria.

Pure le fonti latine, compresi i mosaici di Piazza Armerina (III secolo d.C.), testimoniano che le donne praticavano l’attività fisica, fino a fare perfino le gladiatrici. Ma – sottolinea Cantarella – “forse, fra le tante eredità che i nostri lontani antenati ci hanno lasciato, insieme ai molti debiti nei loro confronti, ci sono anche le radici delle discriminazioni legate alla concettualizzazione di una presunta ‘natura’ femminile subordinata e mai competitiva”. Tanto che a fine Ottocento, quando il barone Pierre de Coubertin fonda i Giochi olimpici moderni, scrive: “Ai Giochi il ruolo della donna dovrebbe essere soprattutto di incoronare i vincitori. Una Olimpiade femmina sarebbe non pratica, non interessante, antiestetica e non corretta”.

Ma già nel 1900, a Parigi, le atlete si cimentano e Charlotte Cooper, che vince il torneo olimpico di tennis, apre la strada a tutte le sue sorelle e a un futuro ancora da conquistare. Ettore Miraglia ne racconta decine, con garbo e precisione, contestualizzando al meglio – e questo è un’ottima bussola di lettura – le loro gare nel periodo di riferimento. Ci sono Alfonsina Strada, prima e unica donna ad aver partecipato al Giro d’Italia nel 1924, le super vincenti, come Elizabeth Robinson col suo oro vinto alla stazione, o il cobra Valentina Vezzali.

La conquista della parità passa anche dalla conquista dell’acqua. Annette Kellerman, che di fatto inventò il nuoto sincronizzato col suo balletto acquatico nel 1907, fece mettere a verbale a sua difesa questa frase: “Non posso nuotare con più abiti di quanti ce ne stiano su un filo per stendere i panni”. D’altra parte, in quegli anni la nudità del corpo femminile destava scandalo e faceva chiedere piscine divise per sesso.

Particolarmente interessante e di grande attualità il capitolo che affronta il tema dell’identità di genere, dalla storia di Dora Ratjen, quarta nel salto in alto a Berlino 1936, che ammetterà di essere un uomo e sentirsi tale, tanto da diventare Heinrich Ratjen, fino alla più recente vicenda di Caster Semenya, che ha dominato la scena per un decennio nel mezzofondo, vinto due ori olimpici ed è stata fermata dalla giustizia sportiva perché affetta da iperandroginismo (eccessiva produzione di ormoni maschili).

Le storie di questo saggio sono infinite e fanno la Storia di tutte le donne.

Tante ne racconta anche il libro “Match Point” di Dario Ricci, voce dello sport di Radio 24 e grande appassionato di sportivi e sportive che racconta da anni nella trasmissione “Olympia”. Ricci propone, come scrive Pierluigi Pardo nella prefazione “una libera antologia delle rivalità”, dove “lo sport riesce a interpretare perfettamente quel confine tra vita e morte, successo e sconfitta, estasi e depressione”. Difficile scegliere fra tante emozioni sportive. Cathy Freeman è longilinea, fa la velocista: è protagonista alla cerimonia di apertura di Sydney 2000 e dell’oro nei 400 metri. Vince per sé e il suo popolo: aborigeni e australiani si avvicinano e il percorso di riconciliazione si rafforza proprio con quella medaglia.

C’è un’altra donna unica nel libro di Ricci: è Steffi Graf, la sola tennista ad aver vinto Grande Slam e oro olimpico nello stesso anno, il 1988. E così via enumerando rivalità di sport che vanno dalla Formula 1 agli scacchi.

Infine, un’altra segnalazione dalla disciplina che più di tutte ha dato allori olimpici all’Italia: la scherma (125 medaglie su 578 vinte complessivamente ai Giochi). Una lama infallibile. “Storia di Germana Schwaiger”, la prima medaglia della scherma femminile italiana è opera di Antonella Stelitano, ricercatrice certosina, che per ripercorrere le vittorie e l’unicità di Germana Schwaiger ha scavato in archivi e biblioteche, fra riviste e giornali, fino a trovare perfino la nipote Carla Onofri per scoprire anche i lati umani dell’atleta.

Trevigiana, classe 1911, Germana è stata la prima schermitrice italiana a vincere una medaglia internazionale: l’argento individuale nel fioretto femminile ai Campionati europei di Liegi del 1930, medaglia seguita nel 1934 da un bronzo nel fioretto femminile a squadre agli Europei di Varsavia. Nella sua bacheca anche 5 titoli italiani nel fioretto (1929, 1930, 1931, 1932, 1934), che la collocano al quarto posto di sempre nella classifica delle atlete che hanno vinto più Tricolori.

Certo, la medaglia di Liegi resta il vertice, che sul quotidiano La Stampa, Nedo Nadi commentava così: “Dopo aver vinto brillantemente la sua semifinale, la signorina Schwaiger è terminata al secondo posto nella gara femminile di fioretto. Ho seguito con qualche interesse alcuni assalti della nostra migliore schermitrice e mi son reso conto che con un po’ più di fortuna avrebbe anche potuto vincere. Devo pur dire la verità. Le donne stanno facendo dei progressi”.

Pioniera in pedana, Germana diventa maestra, va a Roma, dove si sposa con Giorgio Pessina, campione della scherma e maestro pure lui, emigrano in Uruguay. In America Latina, però, la maestra resta sola, abbandonata dal marito, ma sa superare le difficoltà, anche grazie al sostegno economico che le viene dall’insegnamento della ginnastica. Sa essere donna autonoma e vivace, come la ricorda anche la nipote Carla Onofri che è stata fondamentale per riannodare i fili della memoria. Germana muore nel 1999 e Antonella Stelitano è riuscita anche a trovare la tomba a Montevideo. Così, grazie a questa ricerca, Germana è riemersa dalle brume dell’oblio: “È stata – conclude l’autrice – una donna di straordinario talento sportivo, una donna emancipata, capace di affrontare grandi sfide in pedana e fuori”.

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Titolo: “Le protagoniste. L’emancipazione femminile attraverso lo sport”
Autori: Eva Cantarella, Ettore Miraglia
Editore: Feltrinelli
Prezzo: 16 euro

Titolo: “Match Point – Sfide, campioni e momenti che hanno cambiato lo sport”
Autore: Dario Ricci
Illustratore: Daniele Simonelli
Editore: Nomos Edizioni
Prezzo: 24,90 euro

Titolo: “Una lama infallibile. Storia di Germana Schwaiger, la prima medaglia mondiale della scherma femminile italiana”
Autrice: Antonella Stelitano
Editore: Ediciclo
Prezzo: 13 euro

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