Lavoro, la nuova professione di diversity & inclusion manager

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Un nuovo ruolo per i Diversity & Inclusion manager. L’inserimento nel PNRR di un riferimento alla certificazione della parità di genere è solo l’ultima conferma di come il tema della diversità e dell’inclusione sia ormai importante per le aziende, all’interno della propria strategia di business sostenibile.

I manager a capo di questa nuova funzione,  “Head of Diversity” – in base ad un’analisi di Linkedin – sono più che raddoppiati (+107%) a livello globale negli ultimi cinque anni (2015-2020), ma l’aumento riguarda in maniera trasversale molti ruoli all’interno di un’organizzazione, sia in ambito HR che comunicazione (+71%). Un tema che sta prendendo piede anche in Italia: l’Istat stima che, nel 2019, il 20,7% delle imprese abbia adottato almeno una misura non obbligatoria per legge con l’obiettivo di gestire e valorizzare le diversità tra i lavoratori legate a genere, età, cittadinanza, nazionalità e/o etnia, convinzioni religiose o disabilità (dati Istat).

Il nuovo standard internazionale introdotto ufficialmente un mese fa – l’ ISO 30415:2021  Human Resources Management Diversity and Inclusion – consente ora alle aziende di dimostrare attraverso parametri oggettivi e misurabili il proprio impegno nel valorizzare la diversità e l’inclusione sul lavoro. E implica quindi un ruolo ancora più strategico, meglio definito per i D&I manager.

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Già perché cosa fa esattamente – almeno cosa ha fatto fino ad ora – un D&I manager?  Felizitas Lichtenberg, global head of diversity and inclusion dell’azienda fintech SumUp, lo riassume efficacemente in 5 punti:

  1. Ascoltare all’interno e comunicare all’esterno l’identità aziendale. Per la manager, è fondamentale partire dall’engagement interno attraverso l’analisi della rappresentazione della diversità quantitativa, ma anche l’ascolto qualitativo delle persone con focus group, stimolando la nascita di reti di discussione attive sulle diverse tematiche, per rendere l’intero processo di inclusione trasparente e partecipativo. Solo questo renderà la comunicazione esterna dell’azienda, dalla pubblicità al lavoro sulla stampa, condivisa da tutto il team e, soprattutto, autentica.
  2. Impegno 365 giorni l’anno. Quello sulla diversità è un lavoro costante da svolgere durante tutto l’anno, affrontando tematiche identitarie differenti e definendo una vision di lungo periodo: non è sufficiente, né sano impegnarsi ed esprimersi su questi temi soltanto allo scadere di ricorrenze in cui si ha maggiore esposizione mediatica. Bisogna, invece, strutturare le attività quotidiane dell’azienda per aumentare l’inclusione rispetto a molteplici punti di vista.
  3. Alleanze trasversali. Secondo Felizitas Lichtenberg “è necessario mostrare coesione su tutti i livelli, soprattutto quelli di leadership, coinvolgendo founder, executive e tutta la community interna, affinché l’inclusione diventi una expertise diffusa e, al contempo, chiunque possa coprire un ruolo di leadership quando si parla di inclusione“. A livello di management, è importante stimolare la diffusione di una cultura dell’ascolto e dell’ accettazione orientata all’apprendimento di nuove tematiche (come il razzismo e le diverse abilità), e mettere alla prova comportamenti non appropriati. Chi si occupa di marketing e valorizzazione del brand dovrebbe – secondo la manager – essere coinvolto in questa discussione, così da poter veicolare attraverso le campagne di comunicazione una rappresentazione il più possibile inclusiva, mentre chi si dedica alla relazione con i clienti deve essere sensibilizzato all’uso del linguaggio più adatto per trasmettere un messaggio di accettazione e creare empowerment nei confronti della community di esercenti.
  4. Impegno globale, iniziative locali. Soprattutto nei casi di grandi aziende che operano a livello internazionale, è importante sviluppare in primis un approccio globale, ma, contestualmente, anche una strategia locale, che vada quindi a considerare le specificità delle culture nazionali, sia dal punto di vista della rappresentazione etnica e di genere all’interno della specifica popolazione, che dal punto di vista normativo.
  5. Esercizio continuo. Bisogna, secondo la manager, mettere regolarmente in discussione il proprio punto di vista, come azienda e come individui, e mettere alla prova la propria definizione e percezione di cosa sia “normale”, “giusto”, “sbagliato”. Inclusività significa, infatti, rispettare le scelte di ciascuno e consentirgli di vivere.

Un ruolo a tutto tondo che con il tempo è cresciuto e si strutturerà sempre di più tra hard e soft skills necessarie.

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