È trascorso più di un anno dalla prima chiusura delle scuole: era l’inizio della primavera del 2020 e allo stesso tempo l’inizio di un’esperienza inaspettata e traumatizzante, che ha cambiato inevitabilmente le nostre vite. Ci siamo scoperti fragili e soli. La malattia è diventata sinonimo di solitudine, isolamento, chiusura, allontanamento. Abbiamo dovuto fare i conti con questi termini così difficili da sperimentare e da sopportare e siamo ancora qui, come reduci, ma ancora su un campo di battaglia, con un futuro incerto e un presente complicato.
La scuola è stata inevitabilmente sopraffatta, aggredita dall’impossibilità di trovare soluzioni che potessero coniugare salute e istruzione, due diritti fondamentali dell’essere umano. Scuola chiusa, scuola aperta, scuola “socchiusa”, scuola a distanza, didattica digitale integrata, legami educativi a distanza: quanti nuovi aggettivi nati per declinare un luogo che ha cambiato volto, dimensione, ma mai anima.
La scuola continua, nelle diverse modalità possibili, sforzandosi di spezzare l’idea della didattica nozionistica che vede “teste ben piene”, cercando di non cadere nella facile funzione di contenitore di conoscenze da riversare attraverso un monitor. Abbiamo imparato, a nostre spese, che la scuola ha bisogno di corpo e la sua funzione non potrà mai esaurirsi nel mondo digitale, che ci rende presenti sì, ma crea anche distanze difficili da colmare.
Abbiamo imparato che lo sforzo dei docenti deve essere quello di attivare le menti, piuttosto che riempirle, attivare sentimenti, piuttosto che spegnerli. I ragazzi e le ragazze, privati delle più semplici esperienze tipiche dell’età scolare, presenteranno lividi da curare.
“La scuola ci salverà” (Solferino), ci racconta Dacia Maraini nel suo ultimo libro: la scuola dovrà avere il coraggio di entrare nelle ferite, anche quelle invisibili, quelle nascoste, quelle più difficili da rimarginare. “Perché sacrificare la scuola quando si potrebbero ridimensionare molte altre costose spese pubbliche? La scuola è il nostro domani. Ma qui sembra che la parola domani diventi sempre più povera di significati, sempre più indigente e impaurita di fronte alle esigenze esorbitanti dell’oggi”.
Futuro: un altro termine con cui fare i conti e che spaventa. Se da un lato l’arrivo, seppur esiguo, dei vaccini, apre spiragli importanti di ripresa, dall’altro, siamo ancora in piena terza ondata e siamo immersi nelle problematiche presenti. Il domani è una flebile lucina, di cui nessuno sembra occuparsi e preoccuparsi.
Invece è il tempo più importante, è il tempo che appartiene ai nostri figli, ai nostri alunni e alunne. “L’istituzione dell’insegnamento nazionale ha bisogno di investimenti, questo è chiaro – continua Maraini – ma oltre agli investimenti economici, alla scuola servono fiducia, entusiasmo, amore per il grande potere della conoscenza”. “Gli insegnanti che creano vita e futuro sono coloro che credono in ciò che fanno, che hanno il coraggio di rischiare, che danno il meglio di sé anche in un ambiente ostile e precario, che praticano la maieutica socratica indagando e scovando i talenti e le energie dei giovanissimi”. La scuola, dunque, può fare la differenza, soprattutto dopo una grande crisi, come quella che stiamo affrontando.
Senza la presenza e con l’isolamento si è creato inevitabilmente un depotenziamento delle capacità relazionali e sociali. Da questo bisogna ripartire per rilanciare il rapporto educativo, da un’empatia che non è solo comunicazione, ma è far sentire l’altro al centro del nostro pensiero.
La dimensione della cura degli alunni deve essere una verità imprescindibile per ogni insegnante, sia nella didattica in presenza, ma ancor più in quella a distanza perché la pandemia ci ha riportato in modo brutale al pensiero pessimistico di essere frangibili ed è un pensiero insopportabile per gli adulti. Per i più giovani e per i bambini è proprio insostenibile. La sfida della scuola salvifica è questa: riuscire a riconoscere le ferite, le fragilità che questa pandemia ha lasciato come eredità pesante, e ripartire dalla relazione.
«Gli insegnanti lavorano col futuro e il futuro è misterioso, a volte buio come le notti senza luna. Ma chi crede nel futuro è capace di attendere che dietro quelle nuvole rispunti la luce, ed è quello di cui ha bisogno la scuola in questo momento». Dacia Maraini, attraverso i suoi racconti raccolti nel suo libro, testimonia il suo impegno in difesa dell’insegnamento e la sua idea di scuola, filtrata dagli occhi di scrittrice, di intellettuale, di docente. La scuola ci salverà e, come sempre, salverà anche sé stessa.
“Ragazzi mi sentite? Ragazzi mi vedete?” chiede la professoressa agli studenti. E poi aggiunge: “Accendi la telecamera, per favore”. La risposta è spesso la seguente, vera o supposta che sia, “Prof, ho problemi di connessione”. E poi fa ingresso prepotente un nuovo gergo “Prof, sei laggato” per indicare velocemente una connessione a scatti. Queste frasi sono ormai diventate di uso comune e raccontano la quotidianità della didattica da più di un anno a questa parte.
I docenti – e la scuola tutta come istituzione – si sono confrontati quotidianamente con la tecnologia, che ha modificato in maniera sostanziale la didattica e le relazioni. La pandemia ha – diciamo così – “forzato la mano” verso un cambiamento che era necessario e non più evidentemente rimandabile. Certo, la didattica in presenza è un’altra cosa, lo sappiamo bene, ma immaginate il connubio tra quest’ultima e l’uso di strumenti e applicativi per allargare i confini e gli orizzonti dei saperi della classe: i risultati possono essere davvero sorprendenti. Lo spiega in maniera assai efficace un agile saggio della psicologa Barbara Volpi “Docenti Digitali – Insegnare e Sviluppare nuove competenze nell’era di Internet”, adatto a docenti e genitori, per entrare più a fondo nelle dinamiche di questa nuova prassi, nei cambiamenti psicologici e relazionali che questa nuova modalità ha determinato.
Ci sono schede di approfondimento e testimonianze per approfondire questa svolta che si può definire epocale. È “una scuola che non molla mai il processo educativo – scrive Volpi – nemmeno nelle sue estenuanti messe alla prova, come emerge dalle parole di Giuliana, insegnante nella scuola primaria: ‘Non ho mai voluto usare la tecnologia a scuola, ero assolutamente contraria perché i miei bambini ne fanno un uso smodato tutti i giorni e non va bene. L’emergenza del blocco della didattica per fronteggiare la pandemia mi ha fatto ricredere. Abbiamo creato un gruppo di studio tra noi maestre, abbiamo provato prima a fare lezione tra noi, abbiamo selezionato il materiale e devo dire che siamo riuscite a prendere metaforicamente per mano anche nella distanza dello schermo i nostri cuccioli, partendo sempre dall’indicazione chiave che abbiamo condiviso come un mantra didattico: cerchiamo sempre di guardarci negli occhi. E in quegli stessi occhi ci siamo ritrovati'”.
La tecnologia, dunque, non è sempre di ostacolo, e l’integrazione tra scienza e innovazione, come illustra Volpi, può aumentare e sviluppare nuove potenzialità nei ragazzi e nelle ragazze, allargare i loro orizzonti cognitivi e creare un nuovo modo della condivisione del sapere. Non bisogna nascondere le insidie in agguato, però, alcune forme di disagio come la “continua interazione con i device, il controllo ossessivo delle notifiche, lo scambio smodato di screenshot che rimbalzano in rete erodendo il senso di fiducia e di appartenenza al proprio gruppo” fino ad arrivare a derive più estreme. La scuola, anche in questo caso, conferma il suo ruolo di osservatrice speciale di queste relazioni e di alcune dinamiche, in una cornice di necessaria alleanza con le famiglie che aiuti gli studenti a crescere consapevoli e responsabili.
La scuola è presidio di cultura, avamposto per la formazione dei cittadini del domani. Nel giorno dell’anniversario dell’attentato a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, e ai tre uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, non si può fare a meno di evidenziare questo legame profondo, di sottolineare quanto sia necessario raccontare ancora e ancora questa pagina drammatica della nostra storia più recente alle giovani generazioni perché ne traggano ispirazione e fondamento per costruire le loro esistenze. Oggi, infatti, si celebra #PalermochiamaItalia per ricordare la Strage di Capaci del 23 maggio 1992.
Le autrici de “La stella di Andra e Tati” , Rosalba Vitellaro e Alessandra Viola, tornano a dialogare con i lettori più giovani con una storia tutta da leggere – “Giovanni e Paolo e il mistero dei pupi” (De Agostini), con la prefazione di Lucia, Fiammetta e Manfredi Borsellino – dove due giovanissimi amici, Giovanni e Paolo, appunto, guidano un gruppo di coetanei in una missione avventurosa per liberarsi di un mago cattivissimo e temibilissimo che ha soggiogato la città e i suoi abitanti, riducendoli a burattini nelle sue mani, incattiviti e induriti dall’esposizione a questo male tremendo. È una favola avvincente e non priva di colpi di scena, che si richiama drammaticamente alla realtà di diversi luoghi e paesi, soggiogati da medesime dinamiche e forze oscure: Giovanni e Paolo sono coraggiosi, schietti e si muovono sapendo cosa fare. Ci piace pensare che i due magistrati che hanno pagato con la vita il servizio allo Stato giocassero così spensieratamente da bambini, rincorrendosi tra le strade di Palermo, addentando un cannolo e preparandosi ai festeggiamenti per santa Rosalia. Vispi, allegri, ma saggi.
(A cura di Antonella Bonavoglia ed Enza Moscaritolo)
***
Titolo: “La scuola ci salverà”
Autrice: Dacia Maraini
Editore: Solferino
Prezzo: 16 euro
Titolo: “Docenti Digitali – insegnare e sviluppare nuove competenze nell’era di Internet”
Autrice: Barbara Volpi
Editore: Il Mulino
Prezzo: 14 euro
Titolo: “Giovanni e Paolo e il mistero dei pupi”
Autrici: Alessandra Viola e Rosalba Vitellaro
Editore: DeAgostini
Prezzo: 14,90 euro
***
La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.