A volte capita di ripetersi le stesse domande perché si fa fatica a riconoscere una risposta anche se è semplice e a portata di mano, o forse proprio per quello. Può capitare per esempio quando si parla di leadership, mettendo a confronto vecchi e nuovi modelli. C’è un vecchio modello sempre di moda, che ha dato forma in gran parte al modo in cui lavoriamo e veniamo misurati, il cosiddetto “comando e controllo”: frequentato dalla specie umana da diversi millenni e quindi familiare, sicuro, ma con dei limiti chiari. Sappiamo, infatti, che in un mondo veloce e interconnesso come il nostro di oggi è insostenibile pensare di dare il comando a pochi: non potranno mai saperne abbastanza né agire abbastanza in fretta per “salvarci tutti”. Aumenta così il potenziale di autonomia ed efficacia di una leadership diversa, più distribuita, che però poggia su basi radicalmente nuove. E una di queste basi sono le relazioni: la qualità delle relazioni, il modo in cui riusciamo a far crescere gli altri mentre cresciamo anche noi.
Ma le relazioni sono governabili solo fino a un certo punto, non vanno quasi mai, in modo semplice, da un punto A a un punto B. Ed è forse questo che fatichiamo a riconoscerle come chiave di volta della leadership, perché vorrebbe dire tollerare che molto sia destinato a restare indefinito e fuori dalle mappe. Ma come si fa a fare i leader, così? Come si fa a guidare poggiando i piedi su un terreno ricco e mobile come quello delle relazioni umane?
Un articolo di Forbes del 16 maggio scorso dava su questo tema alcuni spunti preziosi. Per creare una connessione empatica con le persone, che le faccia sentire libere di crescere, di occupare spazi di autonomia e di esprimersi al meglio, la capacità da esercitare – non solo una tantum, ma come abitudine costante – è quella della “presenza”. Ma fin qui siamo ancora nel terreno dell’ineffabile, al confine con concetti come mindfulness, spiritualità, connessione profonda: modalità relazionali che suonano come un lusso nella quotidianità frenetica del nostro lavoro d’ufficio. E invece no: l’articolo di Forbes traduce la capacità di presenza in un dialogo tra manager e collaboratore in tre comportamenti così concreti che basta ascoltarli una sola volta per comprenderli e mettere in atto, semplicemente, una naturale leadership empatica.
Eccoli:
1) non distrarti. Quando sei con un’altra persona, stai con lei. Non guardare le email, togli gli alert da whatsapp, non buttare l’occhio al cellulare. Stai lì. C’è una ragione per cui in inglese si dice “paga attenzione”, l’attenzione è una vera e propria valuta (preziosa) nelle relazioni: costa e vale più del tempo. Meglio quindi 5 minuti di attenzione di 30 di semi-attenzione. A proposito, la semi-attenzione non esiste, il nostro cervello su questo non fa sconti: o ci sei o non ci sei.
2) Arriva preparato. Aristotele ha detto: La libertà si ottiene attraverso la disciplina. Se ti prepari prima sul tema dell’incontro, non perderai tempo per comprenderlo durante la riunione stessa: avrai così una mente più libera e spaziosa.
“Quando sei preparato, puoi ascoltare pienamente l’altra persona, invece di sprecare parte della tua capacità di ascolto dietro al ruminare interrogativo che si svolge intanto nella tua testa”.
3) Parcheggia la tua agenda. Questo è il più difficile dei tre comportamenti: vuol dire non entrare nel 1:1 con l’obiettivo di portare a casa qualcosa.
“Se ti presenti con la tua agenda, non sei lì per guidare la persona ma per gestire dei compiti. Il leader presente sa invece fare domande e poi restare a proprio agio nel silenzio che segue”.
Se non hai un’agenda, potrai permetterti di essere curioso. La parola curiosità ha la stessa radice della parola cura (e della parola coraggio!): tutte e tre vengono da cor: cuore. Le più recenti ricerche indicano che la pratica della curiosità – una vera e propria soft skill di nuova generazione? – fa compiere meno errori nel prendere decisioni, produce meno conflitti e una comunicazione più aperta, generando una migliore performance di team.
Prestare attenzione, arrivare preparati, essere curiosi: se pure sono comportamenti che possono sembrare in antitesi con la velocità richiesta dal mondo del lavoro, di certo li frequentiamo in qualche ambito della nostra vita e “sappiamo come si fa”. Usarli nelle relazioni con i nostri collaboratori, colleghi (e clienti!) fa di noi dei leader empatici: che fanno stare bene gli altri e ne attivano le risorse migliori.