L’anno della pandemia porta a una crescita record delle richieste di aiuto al numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking. Richieste arrivate per telefono ma anche per chat, visto che anche solo fare una telefonata durante il lockdown poteva rappresentare un problema, in contesti di violenza domestica. Crescono le violenze da parte dei familiari e le richieste di aiuto da parte di ragazze con meno di 24 anni e donne con più di 55 anni e si conferma il ruolo fondamentale dei centri antiviolenza.
I dati diffusi dall’Istat motrano che nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%). Il boom di chiamate si è avuto a partire da fine marzo, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2 rispetto a maggio 2019), ma soprattutto in occasione del 25 novembre, la giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, anche per effetto della campagna mediatica. Nel 2020, questo picco, sempre presente negli anni, è stato decisamente più importante dato che, nella settimana tra il 23 e il 29 novembre del 2020, le chiamate sono più che raddoppiate (+114,1% rispetto al 2019).
La violenza segnalata quando si chiama il 1522 è soprattutto fisica (47,9% dei casi), ma quasi tutte le donne hanno subito più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%). Rispetto agli anni precedenti, sono aumentate le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni di età (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020; 18,9% nel 2019). Riguardo agli autori, aumentano le violenze da parte dei familiari (18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019) mentre sono stabili le violenze dai partner attuali (57,1% nel 2020).
Nei primi 5 mesi del 2020 sono state 20.525 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza (Cav), per l’8,6% la violenza ha avuto origine da situazioni legate alla pandemia (es. la convivenza forzata, la perdita del lavoro da parte dell’autore della violenza o della donna). Dopo il calo di utenze, in corrispondenza del lockdown di marzo 2020, i centri hanno trovato nuove strategie di accoglienza (il 78,3%). Solo sei Cav hanno dovuto interrompere l’erogazione dei servizi. Essenziale è stato il ruolo della rete territoriale antiviolenza per supportare i Centri nel loro lavoro. Nella maggioranza dei casi (95,4%) i Cav hanno supportato le donne tramite colloqui telefonici, nel 66,5% dei casi hanno utilizzato la posta elettronica mentre nel 67,3% i colloqui sono stati in presenza nel rispetto delle misure di distanziamento.
Per quanto riguarda le case rifugio, nei primi 5 mesi del 2020 sono state ospitate 649 donne, l’11,6% in meno rispetto ai primi 5 mesi del 2019. Le case hanno, infatti, segnalato più difficoltà dei Cav a organizzare l’ospitalità delle donne e a trovare nuove strategie (55,3% dei casi). Per il 6% delle donne accolte, le operatrici hanno segnalato che è stata la pandemia ad avere rappresentato la criticità da cui ha avuto origine la violenza.
Antonella Veltri è presidente di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, che riunisce 82 organizzazioni di donne che gestiscono oltre un centinaio di centri antiviolenza in tutta Italia. Veltri trova una conferma nei dati Istat, rispetto a quanto segnalato dai centri nel corso dell’anno. “Anche quando non fisicamente accessibili – dice Veltri – i centri hanno sviluppato altre modalità di sostegno: online, al telefono, via chat, email, avendo particolare cura nel garantire la sicurezza dei colloqui, individuare modalità che non mettevano a rischio le donne e assicurare l’anonimato”. Sulle difficoltà dell’accoglienza nelle case rifugio, Veltri ricorda che “solo un terzo delle prefetture si è attivata per reperire alloggi alternativi per effettuare la quarantena. Di fatto i centri della rete si sono arrangiati con le proprie risorse e con i contatti già esistenti nel territorio”. Sicuramente a favorire le richieste di aiuto è anche l’attenzione dei media, che ha contribuito ad incoraggiare “un numero crescente di donne a interrompere relazioni violente”, nota in la presidente di D.i.Re. “Questo conferma dunque quanto il fenomeno della violenza maschile contro le donne sia ancora sommerso e davvero molto più vasto di quello che finora raccontano i dati”, conclude Veltri.
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