Ci salveremo mai dai panel tutti al maschile?

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Un manel, cioè un programma di soli uomini al microfono di una conferenza o di un meeting, oltre a non rappresentare il mondo in cui viviamo, ha conseguenze sulla vita reale. Seppure chi li organizza non agisca esplicitamente (nella grande parte dei casi almeno) per sessismo è ovvio che questa rappresenta una forma di discriminazione. Basata fondamentalmente su abitudini e una cultura del passato, oggi non più rappresentativa.

Quando solo uomini (e spesso uomini appartenenti a uno certo ambiente) vengono proposti come esperti, il messaggio agli altri è che bisogna essere, per esempio, maschi bianchi per venire riconosciuti come scienziati, politici o commentatori”, scriveva The Conversation tempo fa. “Quando viene dato spazio solo a uno specifico gruppo per contribuire alla discussione pubblica, il rischio è che altri gruppi siano lasciati fuori. Questo perpetua stereotipi che possono così venire interiorizzati”.

Mai come in questi ultimi anni stiamo capendo, grazie anche a calcoli accurati, gli effetti positivi di un modello a cui riferirci. Abbiamo dati e studi specifici sul ruolo che un esempio concreto gioca sulle prospettive di crescita personale, sulle scelte di vita delle giovani generazioni, sulla costruzione di società civili e aziende più inclusive.

Non è nuovo il discorso. Non sono nuovi i parametri. Non è nemmeno più una novità, per quanto ancora faccia notizia, vedere un profilo femminile occupare posizioni di prestigio dai poteri decisionali effettivi. Ultima in ordine di tempo, per dire una, la nomina di Alessandra Galloni a capo della Reuters, prima professionista ad assumere tale incarico nei 170 anni dell’agenzia.

Come superare i “manel”

Proprio in un momento storico che ha sconvolto tantissime delle abitudini dell’essere umano, persino nel modo di andare a scuola, di incontrare gli amici per un caffè, di fruire della cultura, è il momento di accelerare contro i manel per una maggiore parità.

In realtà, viviamo in un’epoca contraddistinta da estremi: aumentano i casi di donne ai vertici (che gli si riconosca o meno ufficialmente una poltrona, o che si devano prendere da sé il divano), mentre si acuisce, e di molto, la disparità in generale. Se serve ricordarlo ancora una volta, le stime del WEF allontanano di 36 anni il traguardo della parità che di questo passo si realizzerà tra 135 e rotti anni.

Accelerare come, allora? Siccome le abitudini sono dure a morire (e i manel con esse) bisogna provare a usare “l’artiglieria pesante”: segnalare, raccomandare, proporre. Un po’ su questi passi si muovono iniziative dal respiro nazionale, come l’impegno che l’associazione Minima&Moralia sta portando avanti,

Ma anche a livello internazionale, come, tra le altre, l’attività che sta svolgendo, dal 2018 The Brussels Binder. Grazie alla loro iniziativa BBB (Brussels Binder BEYOND), sono raccolti in una sola piattaforma accessibile, tutti i database esistenti, per un totale di oltre 50mila profili di esperte. L’intento è dare visibilità a nomi in grado di rendere ogni panel, di quasi qualsiasi settore, il più inclusivo e di alta qualità possibile. Così che non ci si possa più nascondere dietro all’affermazione “non ci sono i profili adatti” per giustificare un programma declinato solo al maschile.

È già stato fatto un grande lavoro e continua la raccolta di nomi femminili da poter consultare e sottoporre al bisogno. Raccoglitori, proprio, i binders full of women coniato nel 2021 (non proprio felicemente) da Mitt Romney, all’epoca candidato repubblicano alla presidenza USA, nel rispondere a una domanda riguardo alla parità di salario. Un’uscita talmente rumorosa da essere entrata nel linguaggio e guadagnarsi anche una voce specifica su Wikipedia.

Essere proattivi, contrattaccare. Proponendo specifiche liste di nomi di donne adatte a partecipare come esperte a questa o quella iniziativa. È vero che, dovendo scegliere, tendiamo a preferire profili in cui in qualche modo ci riconosciamo. Ecco allora quanto può essere dirompente e cruciale costruire un programma che rispecchi la realtà, fatta di donne, di uomini, di minoranze.

La cosa importante da segnalare, è che ciascuno può innescare il cambiamento, anche trovandosi dall’altra parte, cioè rispondendo a un invito: se chiamati a partecipare, leggiamo l’elenco degli speaker e domandiamoci quanto sia alto il rischio manel. Farlo presente è una buona idea. Di contro-argomenti da usare, ce ne sono abbastanza. Almeno 50mila.

Cosa sta cambiando in Italia

Dopo Milano, anche a Torino è stata approvata la mozione per la parità di genere negli eventi pubblici. La mozione del consigliere del Pd Enzo Lavolta prevede una serie di linee guida per garantire le pari opportunità nelle iniziative promosse dalla Città, oltre ad azioni che l’amministrazione stessa deve mettere in campo.

Tra le indicazioni in elenco che la lista degli oratori nei convegni sia equilibrata in termini di rappresentanza di genere, così come l’eliminazione delle barriere strutturali alla partecipazione, come le responsabilità familiari: a tal fine il documento chiede di offrire supporto economico per coprire spese aggiuntive per l’assistenza all’infanzia, oppure mettere a disposizione servizi che favoriscano la conciliazione tra l’impegno e l’attività di cura. L’atto chiede di prevedere percorsi di premialità per favorire enti e associazioni che nell’organizzazione di eventi si impegnano a coinvolgere nell’attività, per cui si chiede il finanziamento, un numero congruo di persone di entrambi i generi. E poi chiede a chi organizza le manifestazioni di evitare la facile soluzione di coinvolgere le donne solamente nei ruoli minori, come moderatrici o presidenti di sessione, a includere oratori e oratrici più giovani e a promuovere un ambiente inclusivo.

Nella stessa direzione stanno andando anche le aziende sottoscrivendo volontariamente impegni in questa direzione come ha fatto anche Il Gruppo 24 Ore. Dal pubblico al privato, qualcosa si sta muovendo anche da noi.