Tre ragioni per cui oggi viviamo soprattutto nel tempo

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Parliamo poco del tempo. Non del tempo meteorologico, ma del tempo come il tempo che passa, il tempo in cui siamo. Il tempo è un concetto implicito e sottostante a tutto, che corre il rischio di essere come l’acqua per i pesci: talmente ovvio che non lo vediamo più. Ci sono invece almeno tre ragioni per cui il tempo oggi merita un discorso a sé, una riflessione che ci porti a vederlo in modo nuovo, considerandolo di più.

children-touching-globeLa prima è che, per la prima volta da quando esiste la civiltà, tutto il mondo sta sperimentando lo stesso tempo. Neanche le guerre mondiali avevano coinvolto in questo modo tutto il pianeta: ogni singola area geografica, ogni nazione. In Italia come in Brasile, in Papua Nuova Guinea come negli Stati Uniti: ovunque e con chiunque condividiamo l’esperienza della pandemia. Ci sono state altre pandemie, ma non eravamo in grado di vedere ogni parte del pianeta, non potevamo comunicare con tutti: non era un’esperienza condivisa. Il terzo decennio del terzo millennio ci ha visti definitivamente tutti sulla stessa barca – c’eravamo già, ma illudendoci di avere ognuno diritto a una propria epoca storica. Ha creato un luogo nel tempo in cui siamo tutti, tutti insieme.

niklas-kickl-md9jyz4t9x4-unsplashLa seconda ragione è che la mancanza di disponibilità dei luoghi ha fatto sì che ci incontrassimo nei tempi. Che cos’è una riunione su zoom se non una stanza temporale, il cui spazio è definito dalla durata? Non stiamo insieme nel dove ma nel quando: da questa a questa ora, ognuno in un luogo diverso.

I calendari digitali sono le nostre nuove mappe: stiamo fermi e ci muoviamo da un evento al successivo. Ci muoviamo solo nel tempo. Nel darci un’ora segniamo un punto sulla mappa, tutti d’accordo di vederci “là”. Non in un dove: in un quando. Nel tempo arriviamo non fisicamente ma con la mente, e non è strano che questo sia l’unico movimento consentito a protezione della nostra salute fisica? Nell’ultimo anno abbiamo implicitamente deciso che la salute fisica è più importante, o più fragile, di quella mentale, di quella dell’anima. Viene prima, viene da sola. E così la mente sostiene tutta l’immobilità del corpo.

matt-seymour-9yhz1dit0pg-unsplashQuesto ci porta alla terza ragione per cui potremmo parlare di più del tempo, del luogo che ci è rimasto oggi da abitare. Allo stesso modo in cui oggi definisce le coordinate di un incontro, il tempo di ognuno crea delle distanze che nessuna vicinanza fisica può colmare. Noi siamo sempre in un quando, oltre che in un dove. Un quando che non riguarda solo la data e l’ora, ma il momento che stiamo vivendo: le transizioni della nostra vita.

Possiamo essere nella stessa stanza con qualcuno ma essere lontanissimi nel tempo e non capirci. Il tempo in cui siamo influenza quel che siamo in grado di ascoltare e di comprendere, quel che siamo disposti a essere. Non basta darsi un orario per incontrarsi: bisogna anche accertarsi che siamo lì, presenti, nello stesso momento, o almeno ampliare abbastanza la mappa da comprendere il diverso tempo di ciascuno. Non domandarsi dove sei, ma “quando sei?”. Che momento della tua vita è questo, a prescindere da dove ti trovi?

Tante domande sono cambiate nell’ultimo anno. E’ sempre più difficile chiedere alle persone che programmi hanno, sempre più inutile chiedere dove sono. Ma la domanda “in quale quando sei?” potrebbe aprirci nuovi orizzonti. Perché siamo tutti in una transizione collettiva, che poi ognuno traduce nella propria transizione personale, all’intersezione tra il tempo delle cose quotidiane – le ore e i giorni che passano – e il tempo della nostra vita.