Scuola, studiare canzoni e pubblicità per comprendere il linguaggio di genere

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Discriminazione, violenza e inciviltà sono nei gesti ma anche, troppo spesso, nelle parole. Lo sanno bene a Follonica, dove la scuola media Arrigo Bugiani ha promosso un progetto di comprensione a valorizzazione del linguaggio di genere. La II D dell’istituto, guidata dalle prof.sse Laura Parisi e Monica Grandi, ha ideato “Le parole sono sassi”. Gli studenti, già nel periodo di DAD (Didattica a Distanza) e poi durante le ore scolastiche in presenza, hanno creato una presentazione con lo strumento Padlet sul tema. Ognuno ha analizzato pubblicità, musica ed espressioni sessiste, evidenziando quanto spesso venga utilizzato un linguaggio sbagliato. L’idea, quindi l’obiettivo raggiunto, era riflettere sull’importanza delle parole in ogni situazione o contesto.

“Lavoriamo su questa tematica ogni anno in modi sempre diversi” ci ha raccontato la prof.ssa Laura Parisi, docente responsabile del progetto, proseguendo: “Nell’ultimo anno, non potendo fare nulla in presenza (lo scorso anno abbiamo lavorato anche a teatro e con esperti del settore) abbiamo pensato che questo potesse essere un modo adatto per stimolare gli studenti durante la DAD. Il risultato è stato sorprendente soprattutto per i ragazzi e le ragazze, che si sono resi conto di non aver mai fatto caso ai messaggi nascosti e sessisti in pubblicità ma anche nei testi dei loro cantanti preferiti (come alcuni noti rapper). Quel che forse mi ha sorpreso di più è che a rimanere colpiti e a riflettere più approfonditamente sono stati i bambini più delle bambine e questo, se da una parte fa piacere, dall’altra spaventa. Viene il dubbio che le ragazze nascano già con delle convinzioni errate e con la certezza che alcune cose siano giuste.”

Con l’espressione linguaggio di genere si fa riferimento all’utilizzo del genere femminile nella declinazione del linguaggio, sia specifico di determinati campi che generico. L’uso di forme al femminile, per esempio circa la professione delle donne (come “ministra”, “ingegnera” ecc) è oggetto di continue polemiche e rivendicazioni. C’è chi sottolinea, ad esempio, una genericità e universalità delle forme maschili per non ricorrere alle declinazioni al femminile. Ma certe convinzioni sono errate e la questione è molto più ampia di quel che sembra.

La legge 107 del 2015 stabilisce che l’offerta formativa di ogni scuola debba “promuovere l’educazione alla parità dei sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Iniziative come quella di Follonica non solo rientrano nella direttiva data alle scuole, ma compiono un passo in più. La parità di genere, che forse negli istituti viene ancora poco trattata, parte e passa anche dal linguaggio. Insegnare cosa una parola sia, perché un’espressione debba essere utilizzata al posto di un’altra non è solo insegnare a non usare correttamente la propria lingua, ma anche a non discriminare.

“Le resistenze all’uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali o ruoli istituzionali ricoperti da donne sembrano poggiare su ragioni di tipo linguistico, ma in realtà sono, celatamente, di tipo culturale; mentre le ragioni di chi lo sostiene sono apertamente culturali e, al tempo stesso, fondatamente linguistiche.” Questo spiegò Alma Sabatini già nel 1987, quando la questione era molto discussa a livello politico, in un saggio pubblicato dalla presidenza del Consiglio dei ministri e intitolato “Il sessismo nella lingua italiana”.

Si tratta a tutti gli effetti di una questione linguistica, prima ancora che politica e sociale. La conoscenza della lingua, che di fatto può e deve partire dalla scuola, è tra i principali strumenti per conoscere e vivere la società. Analizzare il linguaggio di genere vuol dire quindi comprendere il mondo in cui viviamo, rispettarlo davvero mentre si onora anche la nostra lingua.

Per lavorare su questo tema abbiamo fatto una formazione specifica e approfondiamo la tematica di genere ogni anno” ci ha raccontato anche la prof.ssa Monica Grandi, responsabile di plesso della scuola toscana, aggiungendo: “I messaggi negativi che passano in forma silente sono tantissimi, purtroppo anche all’interno dei libri di testo delle scuole primarie. Abbiamo deciso quindi di lavorare costantemente e intensamente per combattere violenza e discriminazione di genere.”

Partire da quel che si dice per arrivare quindi a rendere giusto e naturale quel che si fa. Porre l’accento sull’utilizzo di un linguaggio sessista, come ha fatto la II D dell’istituto Bugiani, significa aprirsi ad un’ampia riflessione di cui i giovani possono e devono essere protagonisti. Se imparano da subito quanto importante sia parlar bene per agire bene sapranno anche costruire una società lontana dagli errori che quella attuale compie. Sbagli e discriminazioni, quelli di oggi, che quindi sono anche frutto di un equivoco, di confusione tra piano politico-sociale e linguistico, sconosciuto ai più.

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Sui social e negli ambienti letterari ancora oggi se ne parla moltissimo, anche grazie all’impregno di enti come l’Accademia della Crusca. Quello che si cerca di far comprendere è, quindi, come la lingua italiana preveda grammaticalmente una declinazione di genere. Il neutro latino non c’è più, l’espressione italiana può e deve essere quindi o al maschile o al femminile. I principali vocabolari italiani, a partire dallo Zingarelli, prevedono e spiegano la declinazione al femminile dei nomi e già questo potrebbe far riflettere su quanto l’uso comune del linguaggio declinato unicamente al maschile sia quello sbagliato.

Le parole sono sassi”, titolo che, come ha spiegato la prof.ssa Parisi “ha fatto capire ai ragazzi che ogni parola ha un peso enorme e può fare la differenza”. Proprio per questo, il progetto della scuola Bugiani si è concluso con riflessioni anonime dei ragazzi che hanno messo in luce quanto il lavoro abbia aperto nuovi scenari nel loro percorso. Per esempio L. ha commentato “Di questo progetto, mi sono rimaste impresse molte cose, come guardare il mondo da due prospettive diverse, sia dalle parti visibili sia dalle parti invisibili anche se a volte non è facile riconoscerle, ma soprattutto avere il coraggio di dirlo e accusare”.

La scuola di Follonica è solo un esempio di come in Italia gli istituti scolastici stiano seminando una nuova cultura per il nostro Paese. Per farlo è necessario anche formare gli insegnanti. In questa direzione va il progetto “A-STER – A caccia di STEReotipi“, un corso di formazione sulla lotta agli stereotipi e alle discriminazioni di genere rivolto ai docenti di istruzione superiore dell’area metropolitana, promosso dalla consigliera di parità della Città Metropolitana di Cagliari, Susanna Pisano, e organizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Cagliari.

In questo periodo è stato ripetuto a gran voce: la scuola per la formazione di bambini e ragazzi è fondamentale e non solo per le nozioni che insegna loro.

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Il progetto padlet dei ragazzi dell’Arrigo Bugiani