Bambini e adolescenti, 2021 cruciale perché la “vita da pandemia” resti una parentesi

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Flavia, 7 anni: il suo più grande desiderio per il 2021 è che la Befana si porti via il Covid, come per magia. Tommaso, 9 anni:  anche per lui il sogno per l’anno appena iniziato è che il Covid venga sconfitto. Poi ci ripensa: “No, meglio mettersi al sicuro e chiedere che tutte le malattie vengano sconfitte…”. L’anno scorso i sogni di Tommaso, Flavia, Giulia, Davide, erano ben altri e differenziati tra di loro. Ora la pandemia ha agito come una livella, rendendoli tutti partecipi delle stesse grandi paure.

Il virus ha fatto tabula rasa anche della spensieratezza, dei giochi all’aperto, delle compagnie e delle feste. L’importante, sottolinea la psicologa Anna Oliverio Ferraris, è che questa “vita da pandemia” non diventi un’abitudine per bambini e adolescenti.  Gli effetti dell’emergenza vissuta nel lungo periodo? Troppo presto per dirlo, ma è una domanda che dobbiamo porci, a un anno dall’allarme Covid. Intanto, anche il presidente Sergio Mattarella, nella Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ha affermato che in questo momento particolare della pandemia è necessario “tutelare i più piccoli e i più fragili”. Pensare al loro avvenire.

Save the Children: 34mila adolescenti a rischio di abbandono scolastico

A pagare uno dei prezzi più alti è stata la scuola. I bambini, avverte Arianna Ugolini del Coordinamento genitori democratici di Roma,  “sono quelli che meglio si sono adattati alla nuova realtà fatta di mascherine, regole e distanziamento fisico. Ma hanno anche pagato un prezzo alto in termini di socialità che difficilmente potrà essere recuperata”. Ora, aggiunge Ugolini, “auspichiamo che il governo garantisca il diritto all’istruzione uniforme da Bolzano a Lampedusa, abbiamo invece assistito a un incremento delle diseguaglianze, tra le regioni e anche nello stesso Comune, derivato da decisioni difformi adottate dalle scuole nell’ambito dell’esercizio della loro autonomia”. Anche nella fascia tra i 14 e 18 anni i problemi non sono mancati.

Secondo i dati diffusi oggi da Save the Children,  Il 28% dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni dichiara che dall’inizio della pandemia almeno un compagno nella propria classe ha smesso di frequentare la scuola. Tra le cause principali delle assenze durante la Dad, ci sono la difficoltà di connessione e la mancanza di concentrazione. Più di uno studente su 3 si sente impreparato e il 35% quest’anno deve recuperare più materie dell’anno scorso. Stanchezza (31%), incertezza (17%) e preoccupazione (17%) sono i principali stati d’animo che gli adolescenti dichiarano di vivere in questo periodo. Sulla base dei dati dell’indagine, possibile stimare che almeno 34mila studenti delle superiori, a causa delle assenze prolungate, potrebbero trovarsi a rischio di abbandono scolastico. Con l’impoverimento delle famiglie, per molti lasciare la scuola significa divenire facile preda di sfruttamento lavorativo. In questa situazione, secondo Save the Children, è  “necessario agire subito per garantire una forma di ‘ristoro’ educativo a tutti gli studenti colpiti direttamente dalla crisi”. I giovani, in questo scenario, guardano con interesse al pacchetto Next Generation Eu (di cui hanno sentito parlare 7 ragazzi su 10), per avere maggiori opportunità per il loro futuro, in particolare per l’ingresso nel mondo del lavoro (30%).

Il ritorno a scuola è una priorità, anche contro la dispersione scolastica

La didattica a distanza rischia di peggiorare una situazione già complessa per l’abbandono e la dispersione scolastica. Chi viene da situazioni di maggiore fragilità economica e sociale ha sicuramente meno possibilità di veder garantita una adeguata formazione. I dati ufficiali sono quelli europei e ancora non fotografano la situazione post-Covid ma certo lanciano già l’allarme: la percentuale di persone tra 18 e 24 anni che non ha un diploma superiore e non è inserita in alcun percorso di studio o formazione in Italia è del 14%, ben al di sopra dell’obiettivo europeo del 10% per il 2020.

Ma l’Italia vede situazioni molto differenziate, con ben 5 Regioni (Sardegna, Sicilia, Puglia, Calabria e Campania) che superano questa percentuale. “Il ritorno a scuola in presenza deve essere una priorità assoluta per il benessere psicologico e fisico delle nuove generazioni. Ci sono zone in Italia – dice la psicologa e psicoterapeuta Oliverio Ferraris – dove le scuole sono praticamente chiuse da marzo e la didattica a distanza non è una soluzione praticabile per tutte le famiglie: questo è un rischio altissimo, che non possiamo sottovalutare“.

La classe, lo stesso contesto scolastico “sono motivanti per l’apprendimento, la socializzazione, l’interazione. Le mura scolastiche sono la cornice di tutto questo, contengono tutto questo“. Non solo: “La didattica a distanza ha aiutato – ricorda la psicologa – ma non possiamo dimenticare che per i bambini e i ragazzi è molto faticosa, richiede un tempo di attenzione che non è fisiologico, soprattutto per i bambini più piccoli e aumenta tutti quei rischi legati a un eccesso di sedentarietà che già prima della pandemia ci riguardavano da vicino“. Anche perché le conseguenze di questa situazione le vediamo già: l’Italia ha il record in Europa di Neet, ragazzi e ragazze che non studiano e non lavorano, sono 2 milioni. E con la pandemia rischiano di aumentare.

Bonetti: con uso della sola Dad impoverimento educativo, puntare su materie Stem

La chiusura delle scuole, sottolinea con Alley Oop la ministra per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti, e l’utilizzo della sola Dad “hanno avuto come conseguenza l’impoverimento del percorso educativo dei bambini e adesso in modo prolungato degli adolescenti. Abbiamo chiesto al gruppo emergenza Covid all’interno dell’Osservatorio sull’infanzia e l’adolescenza di fare valutazioni specifiche dell’impatto sugli adolescenti per attivare iniziative di recupero che siano incisive e d efficaci”. Secondo Bonetti, “per quanto straordinario lo sforzo fatto da docenti e studenti per innovare la didattica“, la Dad non può essere sostitutiva di una didattica esperienziale, fatta di relazione comunitaria e di partecipazione attiva al processo di apprendimento. Il rischio, tra gli altri, è che a essere penalizzate “siano le competenze matematico-scientifiche, già materie che ci vedono sotto la media europea e che corrispondono a disuguaglianze per genere e territori. Ora, per la ministra, “è, dunque, fondamentale investire in modo straordinario in iniziative educative e formative sulle materie Stem, partendo dalla matematica, in particolare in contesti che presentano disagio sociale e rischio di dispersione scolastica“.

Muoversi per crescere, fisicamente e non solo

Oliverio Ferraris sottolinea con forza che il movimento, l’attività fisica è centrale nei delicati meccanismi di crescita di bambini e ragazzi. “È dimostrato – dice Ferraris, che è stata per molti anni Professoressa Ordinaria di Psicologia dello sviluppo alla Sapienza di Roma – che il bisogno di movimento nell’infanzia è fondamentale per garantire non solo il benessere fisico ma anche psicologico. Almeno due ore al giorno in movimento sono fondamentali e adesso siamo ben lontani: è come se la pandemia avesse legalizzato uno stile di vita, un’esistenza chiusa in quattro mura”. Senza considerare che il movimento non è necessario solo per combattere l’obesità e mantenersi in salute “ma va considerata come un’esigenza della crescita, del corpo come del sistema nervoso. Serve per apprendere, sviluppare i diversi tipi di intelligenza, è esperienza, apprendimento. Insomma, Maria Montessori che lo ha insegnato già molto tempo fa”.

Non lasciamo che i bambini si abituino alla “vita da pandemia”

Se nel lockdown di primavera stare chiusi in casa era l’unica soluzione, il punto è non prolungare a tempo indeterminato quella che doveva essere, appunto, una soluzione emergenziale. Il rischio, sottolinea la psicologa, è che la “vita da pandemia” diventi un’abitudine. Non dimentichiamoci che molti bambini già nel corso della prima ondata hanno sviluppato “profonde paure. Quando si è potuto uscire, molti non volevano farlo, da un lato per la paura di incontrare estranei e infettarsi, dall’altro perché si erano abituati a questo stile di vita”.

In questa situazione, spiega la professoressa Oliverio Ferraris – c’è il “rischio oggettivo di depressione e, per i più piccoli, di sfiducia nel vedere che gli adulti non riescono a risolvere i problemi”. È necessario, quindi, tranquillizzarli, limitare le informazioni con toni allarmanti, i bollettini drammatici più volte al giorno, ma ribadire che stiamo vivendo una situazione “eccezionale e temporanea, non permanente”. Attenzione, con i più piccoli, alla tv accesa tutto il giorno e all’angoscia delle notizie: “Se anche lì per lì i bambini non sembrano reagire, troviamo traccia di questi stati angosciosi nei loro sogni, nei disegni”.

Per gli adolescenti “rischio Neet”

Per i ragazzi e le ragazze più grandi, privati anche della socialità della scuola, il rischio è di abituarsi a stare chiusi in casa, a relazionarsi solo online, a non avere obiettivi e scopi durante la giornata. “Molti adolescenti – spiega Ferraris – privati della scuola e della vita sociale, vivono come se fossero anziani o malati. E il fatto che questo isolamento si stia prolungando è rischioso: il rischio dell’abitudine è che poi diventa irreversibile”. Per la psicologa, poi, c’è un altro aspetto fondamentale da tenere presente: “Gli adolescenti in casa tornano sotto il controllo totale dei genitori. Genitori che diventano iper-controllanti, proprio in quell’età in cui dovrebbe esserci lo svincolo dalla famiglia, la distanza, l’autonomia. Invece fanno un passo indietro, tornano a essere bambini sotto l’ombrello protettivo e onnipresente di madre e padre, vediamo un processo di infantilizzazione, che certo non è positivo”. Per gli adolescenti è necessario che si recuperi “una prospettiva, un obiettivo” di uscita, di svincolo appunto. Perché, conclude Ferraris, “lo sappiamo che ‘troppa famiglia fa male’. La famiglia – spiega – va bene se è equilibrata dagli amici, dalla scuola, dalla rete sociale”.

(Ha collaborato Chiara Di Cristofaro)