Un gap che non può più aspettare di essere colmato. La parità di genere sul lavoro non è solo una questione di uguaglianza di diritti ma è necessaria alla ripresa del Paese, dopo la crisi della pandemia. Serve una svolta, però, in tempi rapidi. Perché nella situazione attuale e senza cambi di rotta serviranno ancora 60 anni per raggiungere la piena parità e per colmare il gender gap sul mercato del lavoro e sono davvero troppi.
A metterlo in evidenza è un rapporto pubblicato dall’Osservatorio mercato del Lavoro e competenze manageriali di 4.Manager. Non solo: anche l’analisi di Asvis sull’attuazione degli obiettivi di Agenda 2030 a livello regionale ci dice che l’obiettivo della parità di genere sul lavoro per l’Italia è ancora molto, troppo lontano da raggiungere. Certo, qualche segnale di miglioramento si è visto negli anni, ma davvero limitato, come dimostra anche l’ultimo censimento Istat.
Istat, l’occupazione femminile al 37,4%, quella maschile al 54,4%
L’Istituto di statistica segnala che, anche se di poco, è in aumento la quota di donne occupate. Se nel 2011 la componente femminile rappresentava il 41,8% degli occupati, nel 2019 sale al 42,4%. La maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro è confermata dalla variazione intercorsa tra il 2011 e il 2019 che è stata per gli uomini pari a +1,7% (+233.895 unità) e per le donne di +4,3% (+410.736). Tuttavia, lo squilibrio di genere permane – sottolinea l’Istituto di statistica – ed è confermato anche dai livelli dei tassi di occupazione (37,4% contro 54,4% per gli uomini), disoccupazione (15,1% contro 11,6%) e inattività (56,0% contro 38,5%).
Senza una svolta ci vorranno ancora 60 anni per la parità sul lavoro
Retribuzioni più basse, pochi ruoli apicali e, in generale, minori opportunità occupazionali: il gap tra donne e uomini sul mercato del lavoro resta ampio e l’obiettivo di colmarlo una conquista ancora lontana. Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia ultimi anni ha messo a segno progressi verso la parità di genere ad un ritmo più sostenuto. Tuttavia, è ancora al 14mo posto per la parità di genere sul lavoro e, se si osserva la velocità di avanzamento degli indicatori, a questo passo e senza “una vera svolta”, occorreranno più di 60 anni per conseguire la piena parità di genere.
Il dato che emerge dal terzo Rapporto dell’Osservatorio mercato del Lavoro e competenze manageriali di 4.Manager, costituito da Confindustria e Federmanager conferma il quadro di una società in cui il cambiamento di passo deve essere forte e visibile, per colmare un gap importante. “La disparità uomo-donna nel mondo del lavoro è atavica ed è arrivato il momento di colmarla – ha detto il vicepresidente di Confindustria per il Lavoro, Maurizio Stirpe – occorre una strategia complessiva per accrescere l’empowerment femminile“. Per Stirpe bisogna intervenire sul “versante dell’incentivazione economica e curare bene la tutela della maternità“.
Non manca solo il lavoro, manca la leadership al femminile
Il divario risulta evidente nell’area della leadership femminile: nel Paese appena il 18% delle posizioni regolate da un contratto da dirigente è occupato da donne, una percentuale che negli ultimi 10 anni è cresciuta soltanto dello 0,3%, rimanendo dunque sostanzialmente invariata. A ciò si aggiunge il fatto che è proprio nei ruoli manageriali che emergono le maggiori differenze di retribuzione.
Il rapporto di 4.manager (che Il Sole 24 ore racconta nel dettaglio qui) sottolinea anche gli ulteriori rischi della pandemia, tra cui quello della fuoriuscita dal mercato del lavoro che per le donne è di 1,8 volte maggiore rispetto agli uomini, anche a causa della difficoltà di conciliare i carichi lavorativi e familiari. La parità di genere sul lavoro, come dicevamo, non è questione di forma ma di sostanza: “È dimostrato che l’equilibrio di genere fa aumentare il fatturato delle aziende e fa crescere il Pil – ha detto Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager – le imprese con governance mista, equamente distribuita tra uomini e donne, sono più competitive e reagiscono meglio nei contesti di crisi. Occorre quindi disegnare un orizzonte in cui merito e talento siano gli unici elementi premianti per la carriera e conseguire nuovi assetti manageriali, in cui le donne possano essere protagoniste del rilancio dell’economia e del Paese“.
L’impegno del governo: un piano integrato per la parità
Su questo fronte, la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo ha annunciato l’impegno del governo con “un piano integrato su cui sta lavorando, che in parte è attuato e in parte verrà attuato con il Recovery plan“. Per Catalfo “sono temi centrali nell’azione del governo e del parlamento“, e ha ricordato alcune misure inserite in legge di Bilancio, come gli sgravi contributivi per le assunzioni delle donne così come dei giovani, quindi per l’inserimento lavorativo ma anche per il mantenimento del posto di lavoro “che – ha proseguito – a volte viene bloccato per la difficoltà di conciliare tempi di vita e di lavoro e cura“.
La ministra ha infatti ricordato gli ultimi dati dell’Ispettorato nazionale del Lavoro, secondo cui 37 mila donne neo-mamme nel 2019 hanno lasciato il lavoro nel primo anno di vita del bambino: “Abbiamo lavorato su una norma presentata in parlamento, un voucher suppletivo nei servizi all’infanzia per consentire la conciliazione nel primo anno di vita del bambino“, ha sottolineato Catalfo.
Il cambiamento culturale serve anche nello sport. La “svolta” del Coni
Di cambiamento culturale necessario ha parlato anche un altro esponente del governo, il ministro per le politiche giovanili e lo sport, Vincenzo Spadafora. Dallo sport praticato sul campo ai ruoli dirigenziali: le donne nello sport sono un valore aggiunto e meritano “pari dignità”. Questo il messaggio del ministro che ha detto di aver caldeggiato nella riforma appena varata dal Consiglio dei ministri e ora in via di approvazione alle Camere, temi come il professionismo femminile e le quote rosa nei ruoli apicali degli organismi sportivi.
Per quanto riguarda l’ascesa di donne dirigenti nello sport, “credo che questo cambiamento potrà avvenire solo se ci sarà un cambiamento culturale“, sostiene Spadafora, secondo il quale attraverso la riforma dello sport “una questione l’abbiamo affrontata e risolta in modo positivo, quella sul professionismo femminile. Con questa riforma dal punto di vista del lavoro, quindi tutele, garanzie, maternità, fiscalità, equipariamo tutti, uomini e donne. Non c’è più una distinzione tra uno o l’altro. Questo ci consente di aver raggiunto la parità di genere“, ha sottolineato il ministro, assicurando che “sicuramente questa riforma dobbiamo aiutarla, altrimenti ci saranno realtà che non ce la farebbero. Noi accompagneremo con misure, compresi anche crediti d’imposta, con almeno due- tre interventi a livello economico finanziario che dobbiamo approvare“.
Intanto, al Coni, Il presidente Giovanni Malagò ha annunciato che nella prossima giunta, che verrà eletta a Milano nel 2021, almeno 4 su 13 saranno donne: e non dovranno essere necessariamente presidenti di federazione, perché lo statuto non lo impone. Quote blindate anche in consiglio Nazionale: sono 74 i membri, 46 sono di diritto quelli eletti delle federazioni. Invece 28 sono votati in consiglio e dieci devono essere donna: oggi sono 8 e arriveranno così almeno a dieci. Novità anche per gli Enti di promozione, qui 1 su 5 dovrà essere al femminile.