Nasdaq, arrivano le quote di genere pena l’espulsione dal listino

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Eppur si muove!

Non è una rivoluzione, ma una lenta trasformazione quella che sta portando la diversity come valore anche nel business, oltre che nella società civile (non senza rigurgiti di nazionalismo che ci ricordano che è una maratona e non uno sprint ottenere cambiamenti culturali). In questa trasformazione, l’Europa sembra essere più avanti degli Stati Uniti in termini di politiche pubbliche, mentre gli Stati Uniti sembrano essere più avanti in termini di advocacy (supporto attivo e la promozione da parte di individui che mirano ad influenzare le politiche pubbliche) nel settore privato e grassroots movements (movimenti dal basso).

L’Europa, infatti, si è mossa per prima in termini di leggi a supporto delle così chiamate “quote rosa”, mentre, negli Stati Uniti solo la California lo scorso settembre ha passato una legge sull’obbligo di quote di genere nei board delle aziende con head quarter nello stato. Al momento, per altro, non sembra seguita da alcuno dei 50 stati federali che formano “the United States of America”.

L’Europa, in genere, ha anche politiche sociali che supportano maggiormente le donne che lavorano: da un maggior numero di nidi e scuole materne pubblici rispetto agli Stati Uniti (dove sono un’eccezione!) a un diritto al congedo parentale esteso (che negli Stati Uniti non ci sogniamo neppure). Nonostante ciò, la battaglia per la diversity, di cui la gender equality è solo una delle dimensioni, sembra sempre una battaglia combattuta prima e innanzittuo negli Stati Uniti: dalle prime rivendicazioni e marce al più recente movimento del “me too”; dalle lotte per i pari diritti e inclusione dei Lgbtq alla Marcia delle Donne nelle principali città americane.

Ogni azione che nasce negli Stati Uniti ha sempre una risonanza maggiore rispetto ad azioni simili o anche migliori che nascono in Europa. Forse è la grande scala del mercato a fare da cassa di risonanza, ma forse è anche una migliore capacità di essere “story teller”, di creare il pathos intorno alla notizia, di fare marketing delle proprie azioni.

Di pochi giorni fa  la notizia che il Nasdaq, società che gestisce il listino tecnologico americano, ha inoltrato una richiesta alla Sec, l’autorità statunitense che vigila e regola sui mercate, l’autorizzazione per imporre alle società quotate sul proprio listino una maggiore presenza femminile nei consigli di amministrazione: le aziende inadempienti non solo dovranno spiegare le motivazioni, ma rischieranno anche l’esclusione dall’indice. Nei cda dovranno essere presenti almeno una donna e il rappresentante di una minoranza.

Anche se si tratta solo di una proposta, quella del Nasdaq di imporre almeno un “diverse director” sul board entro 2 o 3 anni (dipende dalla dimensione dell’azienda) dal possibile passaggio della proposta a regola, ed almeno 2 “diverse directors” entro 4 o 5 anni (a seconda della dimensione dell’azienda) ha attirato molta attenzione, soprattutto da parte dell’Europa e dei suoi lettori.

E’ sicuramente una lodevole e sempre utile iniziativa, soprattutto quando fatta da una infrastruttura chiave dei mercati finanziari, ma a mio parere sta ricevendo più plausi di “innovatore” di quanti nei fatti non ne meriti. Già l’85% delle aziende quotate al Nasdaq rispettano i requisiti indicati nella proposta. Lo scorso gennaio Goldman Sachs annunciò, ad esempio, che non avrebbe lavorato all’Ipo di società che non avessero almeno un membro rappresentativo di minoranze sul board. Due anni prima, Larry Fink, chairman e ceo di BlackRock , nella sua annuale lettera agli amministratori delegati delle società in cui investe, aveva chiaramente e inequivocabilmente indicato che, senza traduzione in fatti dell’attenzione all’ ESG e in primis alla diversity, Blackrock non avrebbe potuto continuare a considerare come investimenti interessanti quelle aziende.

Sicuramente la proposta fatta ora dal Nasdaq è importante e va lodata e supportata senza riserve perché sancisce un altro passo nella giusta direzione, ma mi pare che sia una proposta “adattiva” o al limite “preventiva” in termini di market positioning, più che una proposta innovativa e disruptive come alcuni media l’hanno descritta.
Il NASDAQ si e’ posizionato come “listino tech” e piu’ “millennial friendly” del NYSE.

Con la grande liquidità ,che si è generate con il covid-19 negli Stati Uniti, e con l’accelerazione del business delle aziende digital native, nei prossimi anni si vedranno molte quotazioni in Borsa di società fondate e guidate da millennials, ovvero da coloro che sono stati cresciuti a “pane e diversity” negli Stati Uniti. Posizionarsi come listino sensibile alla diversity è un’eccellente mossa di business, oltre che essere la cosa giusta da fare.

Chi fa e può fare la vera differenza accelerando il cambiamento sono gli investitori. E più grandi e importanti sono, più le loro azioni pesano. La posizione presa da BlackRock già nel gennaio 2018 mi pare ricevette meno attenzione mediatica in Italia rispetto alla proposta attuale del Nasdaq, ma, a mio parere, fu una presa di posizione molto più innovativa e disruptive della posizione che oggi ha proposto il listino tecnologico statunitense e che, nei fatti, riprende le ragioni già evocate nella lettera ai ceo di Larry Fink.

Al di là dei toni con cui si parla di questa proposta, la cosa importante è, comunque, che il sistema si stia muovendo, seppure con relativa lentezza, nella giusta direzione. Ed è anche importante notare che il Nasdaq ha una ceo dal 2017 (Adena Friedman), mentre i suoi comperititors (Nyse, Dow Jones, CBoe Global Markets, Lseg), che non hanno ancora preso posizioni simili o avanzato simili proposte, hanno tutti amministratori delegati uomini. Come scriveva nella sua lettera Larry Fink quasi 3 anni fa: la diversity porta a migliori decisioni di business.