Migranti, in Italia i residenti stranieri sono l’8,8% della popolazione

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Invisibili e ai margini. Un “distanziamento sociale” che dura da anni. Un Paese come l’Italia che ha conosciuto in passato molto da vicino il fenomeno della migrazione, interna e internazionale, che non riesce a fare i conti con questa realtà, dimenticando di affrontare il tema dell’integrazione con politiche ad hoc.

La panoramica sul fenomeno migratorio in Italia, contenuta nel rapporto Dossier Statistico Immigrazione realizzato dal Centro Studi e ricerche Idos, in partenariato con il Centro studi Confronti, infatti, evidenzia un quadro chiaro e impietoso che la pandemia ha contribuito ad acuire.

«La parola d’ordine di questo 2020 è “distanziamento sociale”: un’espressione tanto infelice, nella misura in cui mette in discussione il senso stesso di comunità all’interno del Paese, quanto tuttavia “sintomatica” di una mentalità e un clima culturale che hanno preso piede e si sono diffusi molto prima della pandemia. La raccomandazione, se riferita agli immigrati che vivono con noi in Italia, non ha avuto e non ha difficoltà a venire osservata, perché si innesta su un atteggiamento già abbondantemente radicato: con gli stranieri è bene mantenere le distanze e soprattutto tenerli a distanza» ha dichiarato Luca Di Sciullo, coordinatore del Dossier statistico immigrazione e presidente del Centro studi e ricerche Idos, in occasione della presentazione di mercoledì 28 ottobre scorso.

In un quadro pressoché immutato di migrazione mondiale, sostenuta essenzialmente dalle forti disuguaglianze economiche, la pandemia ha contribuito ad aumentare la vulnerabilità dei migranti, e ha fatto al tempo stesso comprendere il ruolo spesso decisivo in alcuni settori chiave dei lavoratori migranti ai quali, però, non arriva un adeguato riconoscimento in termini di diritti e qualità della vita, con crescente esclusione e marginalizzazione socio-economica. Lo abbiamo visto spesso, del resto, nelle baraccopoli e nei ghetti dove si vive in condizioni spesso indicibili e in quello “tsunami di xenofobia” denunciato dall’Onu, mirante a individuare in questi migranti un capro espiatorio. Tra gennaio e aprile 2020 – denuncia Enar – in Europa sono state più di 190 le violazioni dei diritti fondamentali nei confronti dei cosiddetti racialised group.

Qual è la situazione in Italia? A fine 2019 i residenti stranieri in Italia sono in totale 5.306.500 (appena 47.100 in più rispetto all’anno precedente: +0,9%), ovvero l’8,8% della popolazione complessiva. A fronte, dunque, di questo lieve aumento, è, invece, calata la presenza di non comunitari regolarmente soggiornanti, con una diminuzione di 101.600 unità (-2,7%) e giunta così a poco più di 3.615.000 (erano 3.717.000 a fine 2018). Parallelamente, probabilmente anche per effetto del “Decreto Sicurezza” varato quell’anno, si calcola che sarebbe aumentata la presenza di non comunitari irregolari: stimati in 562.000 a fine 2018 (Ismu) sarebbero cresciuti di ben 120-140.000 unità nei due anni successivi (Ispi), mentre a fine 2019 erano già stimati in oltre 610.000 e a fine 2020 avrebbero sfiorato i 700.000 se, nel frattempo, non fosse intervenuta la regolarizzazione della scorsa estate a farne emergere (almeno temporaneamente, in base al numero di domande presentate) circa 220.500, in stragrande maggioranza dal lavoro in nero domestico e solo in minima parte dal lavoro nero in agricoltura.

Secondo i dati presentati nel dossier che da 5 anni è sostenuto dall’8×1000 della Chiesa Valdese, in Italia i migranti stranieri provengono dalla Romania (1.207.919), Albania (440.854), Marocco (432.458), Cina (305.089), Ucraina (240.428), Filippine (169.137), India (161.101), Bangladesh (147.872), Egitto (136.113) e Pakistan (127.101) (fonte Istat). I settori in cui operano in prevalenza sono agricoltura, industria, costruzioni, servizi, commercio, alloggio e ristorazione e lavoro domestico.

«L’integrazione è sparita dall’agenda politica, italiana ed europea, da almeno una dozzina d’anni. Ed è incredibile che un fenomeno strutturale ed epocale come le migrazioni in Italia sia ancora gestito da un impianto normativo vecchio di 22 anni, quando l’immigrazione aveva caratteristiche qualitative e quantitative completamente differenti da quelle di oggi – ha proseguito Di Sciullo –. La mancanza ultradecennale di programmazione degli ingressi per lavoro, congiunta all’abolizione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari stabilita dal Decreto “sicurezza” del 2018, e alla politica dei porti chiusi e dei respingimenti, ha concorso in maniera strutturale a produrre irregolarità tra gli immigrati: contribuendo a svuotare i centri di accoglienza, i cui ospiti sono scesi da 183.700 nel 2017 a 84.400 a fine giugno 2020, per una fuoriuscita netta di quasi 100.000 migranti in appena due anni e mezzo. La maggior parte erano richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria che, espulsi dai centri, si sono dispersi sul territorio (spesso si tratta di famiglie con figli piccoli o neonati), sono di lì a poco diventati irregolari, sia per le più ridotte possibilità di accedere a una forma di protezione sia per l’impossibilità di rinnovare quella umanitaria».

In questa situazione bisogna registrare anche un calo dei nuovi nati della popolazione migrante residente in Italia, amplificando così il fenomeno del declino demografico che sta interessando il nostro Paese da diversi anni (il tasso di fecondità tra gli italiani (media di 1,22 figli per donna fertile) resta comunque più basso di quello straniero (1,89; era di 1,94 nel 2018), sebbene ormai entrambi al di sotto del livello di sostituzione (2,1).

«Il Covid è stato la rappresentazione di disuguglianze stratificate nel tempo ma anche una torsione ulteriore dei diritti dei migranti», ha osservato Marco Omizzolo, sociologo ricercatore di Eurispes, esperto di immigrazione e autore di un capitolo del Dossier sullo sfruttamento degli stranieri in agricoltura. «Durante la pandemia si è registrato un aumento del 15-20% dei migranti e delle migranti sfruttati nelle nostre campagne, circa 40-45 mila persone che hanno visto non solo una contrazione della loro retribuzione oraria, da 4,50 a 3 euro. Inoltre sono aumentate le ore di lavoro (tra 8 e 15 ore giornaliere, molte delle quali non registrate) e abbiamo registrato decine di nuovi infortuni, senza che i braccianti migranti venissero forniti di dispositivi di protezione sanitaria». Nel Pontino «16 lavoratori indiani hanno deciso di togliersi la vita per le gravi condizioni di sfruttamento. Fino a quando avremo i ghetti, diffusi in tutta Italia, non potremo definirci civili, democratici e avanzati».

Il dossier rende evidente un quadro che già di per sé era difficile sotto molti aspetti. Accanto alla questione dei flussi migratori, persiste anche quella della cittadinanza per la quale tanti governi si sono succeduti senza trovare una soluzione chiara e definitiva. Crescono marginalità e fragilità sociale, anche se occorre rimarcare che aumentano i matrimoni misti, arrivati a rappresentare il 12% del totale, a significare che la presenza dei migranti nel nostro Paese è più consolidata di quanto sembri.

Inoltre, più di 1 neonato ogni 7 ha genitori stranieri, 3 alunni stranieri su 5 sono nati in Italia e oltre 1,3 milioni di minorenni ha un background migratorio. Igiaba Scego, scrittrice,  (il suo ultimo romanzo s’intitola La linea del colore, edito da Bompiani) ha dichiarato al proposito: «Tanti figli di migranti se ne vanno dall’Italia, dopo tante umiliazioni, quando potrebbero essere una risorsa e dovremmo valorizzarli. Anche nell’emergenza Covid mi sento esclusa: io, figlia di migranti somali, sono invisibile».