Lavoro: in presenza o a distanza, ma una laurea ci vuole

Photo by Clay Banks on Unsplash

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Prof, ha visto quante lauree a distanza? Ma valgono come le lauree in presenza?

Non lo so, ma so per certo che in presenza o a distanza, da giovani o da adulti, in Italia o all’estero, una laurea la dovete prendere perché i nostri laureati sono troppo pochi per sostenere la competizione sul mercato globale e lo sviluppo economico del nostro Paese.

Laureati in % della popolazione in età 25-34 anni in alcuni Paesi OECD – 2019

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Fonte: ns. el. su dati (8 settembre 2020)

E’ appena uscito il Rapporto OECD 2020 (Education at a glance), e i dati mostrano che i nostri progressi sono troppo lenti. Abbiamo solo 28 laureati per ogni 100 persone in età 25-34 anni, contro i 45 della media dei Paesi OECD. Certo, c’è ancora qualche Stato che ha meno laureati di noi (India, Cina e Brasile), ma già Cile e Turchia, Grecia e Portogallo ci battono.

Con questa scarsa dotazione di capitale umano, quale ruolo possiamo immaginare per il nostro Paese nella divisione mondiale del lavoro?

Gli Stati rappresentati nel grafico sono in ordine crescente rispetto alla percentuale di laureati, ma il punto cruciale non è tanto chi arriva primo o ultimo in graduatoria, quanto la distanza enorme tra la testa e la coda dell’ordinamento, perché questi dati cambiano lentamente nel tempo. Ad esempio, nel grafizo qui di seguito si nota che la quota di laureati in Italia è cresciuta di 8 punti percentuali nel corso dell’ultimo decennio, ma la media dei Paesi OECD è cresciuta di 9 punti, quindi abbiamo perso ancora terreno. E’ notevole, per contro, la situazione di Grecia, Portogallo e Turchia, che dal 2009 ad oggi hanno incrementato la loro quota di laureati di più di dieci punti percentuali, e ancor più notevole è la situazione dell’Irlanda, che con un incremento di più di venti punti percentuali si posiziona oggi in testa alla graduatoria, a pari merito con la Corea.

Variazione in punti percentuali del numero di laureati sul totale della popolazione in età 25-34 anni tra il 2009 e il 2019 in alcuni Paesi OECD.

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Fonte: ns. el. su dati  (8 settembre 2020)

La situazione attuale (descritta nella prima tabella sopra) mostra che l’Italia dovrebbe più che raddoppiare i suoi laureati per avvicinarsi alla Russia e al Canada … e come possiamo recuperare lo svantaggio competitivo rispetto alla Corea e all’Irlanda, dove attualmente il 70% dei giovani possiede una laurea? In cosa dovremmo eccellere, col nostro scarso 28%? Finiremo col fare la pizza per tutti?

Prof, intanto bocciarne di meno aiuterebbe …

Giusto, ma non credo sia il modo migliore, a fronte della competizione internazionale …

Prof, è perché qui non c’è lavoro …

Vero, in Italia il tasso di disoccupazione è a due cifre anche per i laureati (11,9%), ma questo spiega solo in parte la situazione rappresentata nei grafici. La Spagna, ad esempio, ha lo stesso nostro tasso di disoccupazione (11,8%), ma ha una quota di laureati di quasi 20 punti maggiore (47% contro 28%). E la Turchia e la Grecia, che avevano nel 2009, e ancora oggi hanno, tassi di disoccupazione maggiori del nostro (rispettivamente 13,2% e 12,5% al 2009 contro l’11,6% dell’Italia, e 14,9% e 19,5% al 2019 contro l’11,9% dell’Italia) hanno ciononostante aumentato in modo consistente la loro quota di laureati nel trascorso decennio (rispettivamente di 19 punti percentuali la Turchia e di 13 punti percentuali la Grecia contro gli 8 punti percentuali dell’Italia), e si posizionano attualmente ben al di sopra del nostro Paese (35% e 42% rispettivamente, contro il nostro 28%). In Irlanda e in Corea, invece, l’elevato numero di laureati (70% della popolazione in età 25-34 anni) si accompagna ad un tasso di disoccupazione piuttosto basso (rispettivamente 3,7% e 5,7%), a riprova del fatto che un aumento nel numero di laureati non va necessariamente a discapito delle loro prospettive occupazionali.

Prof, ma le lauree a distanza non rischiano di peggiorare ulteriormente le nostre già scarse prospettive occupazionali?

No, non necessariamente. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono portare ad un miglioramento della situazione se le università sapranno cogliere il potenziale innovativo della didattica digitale per allentare i vincoli del tempo e dello spazio e programmare una formazione continua e competitiva che renda il sapere più accessibile a chiunque.

Se da un lato non sembra auspicabile che le università diventino completamente telematiche, anche alla luce della valutazione piuttosto bassa che quelle italiane hanno attualmente secondo i criteri dell’ANVUR, è d’altro canto necessario dare risposta anche nel nostro Paese alla domanda di formazione a distanza che sta crescendo ovunque a seguito dell’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia di coronavirus.

Le università di tutto il mondo, a partire dalle più prestigiose (Harvard, Stanford, MIT), stanno moltiplicando l’erogazione di percorsi formativi on line, riprogettando la didattica in modo radicale per attrarre gli studenti migliori e sostenere così la propria offerta formativa e la propria reputazione. Sono ormai numerosi, ad esempio, i corsi MOOC (Massive Open Online Courses) erogati via internet e gratuitamente accessibili a chiunque, e anche nel nostro Paese il libero accesso agli insegnamenti di questo tipo è ritenuto un criterio fondamentale per la valutazione della qualità degli atenei nell’ambito del Piano nazionale università digitale.

Ma l’innovazione più rilevante e pervasiva è senza dubbio quella dei percorsi formativi integrati (blended) che hanno sostituito ovunque i tradizionali insegnamenti in presenza per rispettare i vincoli delle misure restrittive di distanziamento sociale. I corsi di laurea di questo tipo combinano la tradizionale presenza in aula con l’attività svolta in aule virtuali, che sfruttano le moderne tecnologie informatiche per garantire l’accesso libero e immediato ai contenuti multimediali, moltiplicando in tal modo le possibilità di diffusione delle conoscenze nello spazio e nel tempo. La rivoluzione digitale consente infatti la fruizione del sapere depositato in rete ad ogni ora del giorno e in ogni luogo dotato di connessione, rendendolo così accessibile a molte persone che prima ne erano escluse.

Prof, ma studiare costa fatica …

“Se pensate che l’istruzione costi troppo, provate l’ignoranza“

(Derek Bok, president of Harvard University, 1978).