Betty Noel, dal cortile di casa al PSG per giocare a calcio

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Correre dietro a un pallone in un cortile perché lo fa tup fratello maggiore e poi finire a giocare nel Paris Saint Germain. Potrebbe essere riassunta così la carriera sportiva di Betty Noel, calciatrice francese che per realizzare il suo sogno ha dovuto volare in Australia.

D’altra parte Betty ha chiaro che “giocare a calcio ti insegna la leadership e il carisma. In qualche modo devi farti strada, fino a trovare il tuo posto nella squadra“. E lei ha trovato il proprio posto non solo nella squadra ma anche nella vita. Oggi Betty è una giocatrice di calcio, allena i ragazzi e fa la giornalista sportiva.

E pensare che tutto è iniziato a 7 anni quando inseguiva suo fratello e per giocare come lui. Il apdre non ero affatto contento della cosa, pensava che il calcio fosse uno sport prettamente maschile. Ma nella vita circostanze complesse a volte semplificano le scelte. La madre di Betty, trasferitasi in Australia, le chiese di seguirla con il suo nuovo compagno, prospettandole la possibilità di giocare a calcio in un club. Betty non se lo fece dire due volte e si trasferì dall’altra parte del mondo all’età di tredici anni per cominciare a giocare in una squadra maschile australiana.

whatsapp-image-2020-05-20-at-14-33-26Da quel momento non smisi mai: tre anni dopo tornai in Francia e da quel giorno gioco a calcio a livelli competitivi. Non so per quale motivo da piccola ho scelto proprio il calcio, ma fu una scelta naturale. Ricordo benissimo la coppa del mondo vinta dalla Francia nel 1998: un momento magico, avevo 10 anni“.

La sua prima squadra fu il Darwin Harbor. Non fu un problema giocare con i maschi, anzi “mi sentivo ben integrata. Giocare con i ragazzi ti insegna a importi e ti migliora in campo, perché il gioco maschile è più fisico e tecnico e mentre tiri calci al pallone nessuno guarda se sei maschio o femmina”.

Lo stesso anno del battesimo nel calcio, Betty fu selezionata per rappresentare il Northern Territory (il suo stato) nell’under 13 e giocare il campionato nazionale contro gli altri stati australiani: “fu un’emozione grandissima: un traguardo impensabile dopo solo un anno di gioco“.

Rientrata in Francia, Betty non poteva che seguire la sua vocazioen. La sua prima esperienza fu nell’U16 in VGA Saint-Maur nella periferia parigina, successivamente nel Bon Conseil fino a firmare a 21 anni con il Paris Saint-German in serie B: “furono i miei due anni più belli. Giocare in una squadra così competitiva come il PSG era nelle mie corde“. Il club fu purtroppo chiuso, quindi Betty passò in D2 in alcune squadre della periferia parigina fino ad approdare negli ultimi quattro anni al Saint-Denis e per questa stagione nella nazionale del Lussemburgo.

Sono decisamente fiera  – commenta oggi in questa intervista telefonica – dei traguardi raggiunti, da piccola volevo imitare il mio fratello grande, volendo giocare come lui e mio papà era contrario, ora viene a vedermi con i miei fratelli più piccoli ed è orgoglioso del mio percorso‘.

whatsapp-image-2020-05-20-at-14-33-34L’infanzia e l’adolescenza immerse nel mondo del calcio hanno avuto un vero e proprio impatto pedagogico sullo sviluppo di Betty, insegnandole quei valori che costituiscono i mattoni della sua vita.“Il calcio mi ha insegnato a sviluppare il mio senso della leadership. Inoltre il valore della squadra è fondamentale. Ma la cosa secondo me più importante è che il calcio mi ha dato la possibilità di aprirmi a ogni cultura, perché è uno sport in cui i tuoi amici hanno le più svariate origini, culture, religioni. Persone che probabilmente non avresti mai incontrato e con cui non avresti mai parlato“.

La Betty giocatrice ha milioni di ricordi legati al gioco, ma ce n’è uno recente che tutt’ora la commuove. Stava giocando con il Saint-Denis i play-off, l’ultima partita della stagione, per rimanere in D2: “dovevamo vincere almeno 2-0. Era un traguardo molto complesso. Durante il discorso pre-partita il coach ci fece sedere tutte, di fronte c’era un pannello bianco e un proiettore. Lui proiettò una serie di messaggi individuali indirizzati a ogni giocatrice dai propri genitori, fratelli, amici. Tutte ci emozionammo e salimmo in campo con gli occhi arrossati e piene di emozione, ma anche con un’incredibile motivazione. Quel giorno accadde qualcosa di grandioso, sapevamo che nessuna squadra avrebbe potuto batterci e vincemmo 3-0, conservando il nostro posto in D2″.

Consapevole di come il gioco l’abbia fatta crescere in un mondo ricco di valori e anche tanti sogni, dieci anni fa Betty Noel ha deciso di aggiungere un’esperienza alla sua vita da giocatrice: ha cominciato ad allenare, prima i ragazzini di 8 e 9 anni e poi altre categorie, fino al femminile. “Volevo provare a stare dall’altra parte, perché amo stare con i bambini, volevo condividere la mia passione con loro: è una vittoria così grande vederli fare progressi e sorridere“.

whatsapp-image-2020-05-18-at-10-27-382In Francia, così come in Italia dopo il campionato del mondo, il calcio femminile si sta prendendo i suoi spazi. Il mondiale femminile dello scorso anno ha avuto un grandissimo impatto, e si sono raggiunte le 200.000 iscritte, e si continuano a organizzare eventi e tornei per promuovere l’interesse femminile. Certo Betty non nega le difficoltà come racconta ad Alley Oop: “Permangono ancora alcune barriere, come la religione, i pregiudizi dei genitori. Ma piano piano stanno cadendo, i club stanno entrando sempre più nel professionismo, e c’è ancora tanta strada da percorrere“.

Con il Covid-19 la parabola crescente ha rallentato la sua corsa, ma con la fase due, partita l’11 maggio, Betty spera che riprenda a salire. “Questa è la strada giusta. Purtroppo lo sport non è ancora permesso a livello di club, ma si può fare tuttavia attività sportiva senza contatti e i bambini possono giocare a scuola. Non è ancora del tutto chiaro cosa accadrà, per quanto mi riguarda ho mantenuto la relazione con le ragazze che alleno, mandando delle challenge via Instagram, un modo per tenere vivo il legame e stare in contatto. Dobbiamo adattarci, studieremo altre opzioni, magari attraverso allenamenti in gruppi più piccoli o facendo esercizio senza partite“.

whatsapp-image-2020-05-18-at-10-27-392Superato il grande problema Covid-19, la vera sfida da vincere secondo Betty è quella di mantenere alto l’interesse delle ragazze di 12-13 anni, perché è questa l’età in cui mollano lo sport: “È necessario coinvolgerle da piccole, così che la passione non muoia, mostrando loro che lo sport è compatibile con la vita sociale, si può anche giocare per divertimento non solo per competere. Probabilmente è questo ciò che manca e va stimolato nel mondo femminile: il calcio come puro divertimento e spazio di condivisione, senza competizione“.