Sara D. ha 48 anni, e qualche anno fa ha dovuto lasciare un lavoro come marketing manager per questioni familiari che richiedevano la sua presenza. In quel momento si è trovata a rimettere in discussione molte cose della sua vita e ha deciso di realizzare un progetto rimasto in sospeso da quando era ragazza: la laurea in psicologia. Racconta ad Alley Oop: “Ho scelto la facoltà online perché mi permetteva di conciliare le esigenze familiari con il mio bisogno di individuazione. Ma col tempo ho potuto sperimentare qualcosa di totalmente nuovo: un’impostazione che mi ha permesso di scoprire finalmente il mio metodo di studio, ritrovando quell’autostima che la scuola aveva in precedenza demolito”.
Anita C. ha 52 anni e ha scelto l’Università online perché una disabilità provocata da un intervento chirurgico le rendeva troppo difficile frequentare un’Università di persona.
Francesco S. ha 45 anni e racconta: “Dopo molti anni nella GDO ho scelto di cambiare settore lavorativo e di impegnarmi nell’ambito della Disabilità. Avevo già alle spalle due esperienze deludenti con le Università tradizionali, da lavoratore era impossibile seguirne i ritmi. Io oggi sono laureato, e sebbene il decreto non abbia effetti sulla mia posizione, lo trovo estremamente degradante, un danno di immagine enorme per chi, con sacrificio, ha conseguito una laurea online”.
C’è molto scontento tra gli studenti dei corsi di laurea telematici, a causa del decreto dell’ex ministro Lorenzo Fioramonti che è ora al vaglio della Corte dei conti e del Consiglio di Stato. In caso di via libera il provvedimento sarà operativo e diventerà impossibile per le Università telematiche erogare alcuni corsi di laurea nel prossimo anno accademico. Parliamo di medicina e di altre lauree ad accesso programmato nazionale come veterinaria, architettura, odontoiatria, professioni sanitarie, scienze della formazione. Ma le novità inaspettate sono i corsi triennali in scienze dell’educazione, scienze e tecniche psicologiche, servizio sociale e le due magistrali in psicologia e scienze pedagogiche.
Ma è proprio la parola dignità a far sollevare gli studenti delle facoltà psico-pedagogiche, che in una lettera aperta scrivono: “In questa maniera, un numero imprecisato fra studenti telematici lavoratori e non frequentanti in generale, sia di istituti statali che privati, sono rimasti orfani di un’impalcatura che dovrebbe invece tutelarli in quanto figli di un progresso che ha dettato nuove regole – e le detta tuttora – sulle modalità didattiche in tutto il globo”.
Va detto a questo punto che gli studenti di cui Alley Oop ha raccolto la testimonianza, appartengono allo stesso ateneo. Hanno una consapevolezza molto forte della qualità della formazione a cui hanno avuto accesso, e sanno anche benissimo che, una volta laureati, dovranno misurarsi comunque con un esame di Stato per accedere alla professione, e sarà lo stesso che dovranno sostenere i laureati tradizionali. Quello che affermano gli studenti stessi è che vada piuttosto fatto un distinguo tra il vero e-learning e situazioni accademicamente meno efficaci.
Secondo l’ultimo Rapporto di Accreditamento Periodico dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) la maggior parte delle università telematiche si gioca il giudizio tra la sufficienza e la criticità, tranne una, la Uninettuno, che risulta pienamente soddisfacente come poche delle università convenzionali. E c’è chi può fornire testimonianze dirette di paragone tra i due ambienti, come Ornella P., 60 anni, alla sua seconda laurea dopo una prima conseguita in giovane età come studente in presenza. Della sua esperienza di e-learning afferma: “Sicuramente la possibilità di seguire le lezioni on line e di essere seguiti nelle numerose esercitazioni da un tutor facilita rispetto alla statale. È un’innovazione pedagogica utile, che permette di approfondire i temi di studio, non una scorciatoia. Per il resto lo studio e l’esame in presenza sono identici”. Oppure Alessandra A., 55 anni, che racconta: “Ho un’altra laurea, in fisica, conseguita alla Sapienza di Roma e ora studio psicologia perché mi è molto utile per la mia professione di insegnante. Ritengo che studiare secondo la modalità telematica offra maggiori opportunità, rispetto all’Università tradizionale, sia di apprendimento individuale, sia di apprendimento cooperativo”.
La frequenza, appunto. Nella maggior parte dei casi, la laurea telematica è scelta per poter conciliare gli impegni che impedirebbero allo studente di vivere la vita universitaria. Si tratta soprattutto di studenti over 40 e probabilmente per la maggior parte donne. Rossella C., 48 anni, un lavoro part time e due figli, afferma: “Questo decreto mi negherà il diritto di scelta. Se diventasse Legge, dovrei optare forzatamente per l’Università statale e questo comporterebbe dover rinunciare a partecipare alle lezioni, cosa che io reputo un valore aggiunto allo studio”.
Ed è proprio sul diritto di scelta, sul diritto allo studio, che convergono tutte le critiche suscitate in questi giorni. Per non dire dell’amarezza dovuta al sentirsi screditati, o come afferma Alessandra A, “danneggiata moralmente perché il decreto svaluta il valore del mio titolo agli occhi dell’opinione pubblica anche se é valido a livello legale”.
Singolare poi il fatto che questa iniziativa venga da una politica che ha fatto delle piattaforme digitali il terreno fertile su cui coltivare voti, che si è sempre dichiarata favorevole al progresso e all’innovazione portati dal digitale. Invece di una tabula rasa così cruenta e definitiva, forse si potrebbe valutare di mettere a punto degli standard formativi, un controllo qualitativo dell’istruzione effettiva, per scoprire magari che non tutte le università telematiche sono laureifici a crocette. Anzi, probabilmente sono gli stessi e-learners a voler stanare le semplificazioni e le irregolarità, perché ci tengono alla dignità del loro percorso di studio.