C’è ancora strada da fare. All’indomani dell’evento #SIOS2019, Startup Italia Open Summit alla Università Bocconi di Milano, occorre fare qualche riflessione alla luce dei dati forniti da una recente ricerca del consorzio interuniversitario Alma Laurea sulle laureate nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Partiamo dalle cose belle. Se facciamo un confronto con la situazione relativa a 15 anni prima, scopriamo che le cose sono di gran lunga migliorate. Le donne che si laureano in discipline STEM alla laurea triennale oggi sono molte di più rispetto al 2004, raggiungendo quota 16.848 rispetto alle sole 3.398 dell’epoca. Una cifra che si è quintuplicata per fortuna.
La ricerca è stata presentata all’interno del panel “From University to Research: Unstoppable Women”, composto da Donatella Sciuto, prorettore vicario del Politecnico di Milano, Anna Chiara Gaudenzi, direttrice del magazine StartupItalia!, Antonella Carù, direttrice della Scuola Superiore Universitaria dell’Università Bocconi, Camilla Colombo, professoressa associata presso il Politecnico di Milano in Ingegneria Aerospaziale.
Nella ricerca si evidenzia come le donne STEM conseguano la laurea con risultati migliori: presentano, infatti, un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 su 110, contro 101,6 degli uomini) e mostrano una maggiore regolarità negli studi. Nel 2017 tra le ragazze il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini.
Le buone notizie, dunque, non mancano, a ben vedere. C’è un’ingegnera donna ogni tre uomini, se consideriamo i laureati magistrali, ma le donne in media si sono laureate con un voto in più rispetto ai maschi, e l’88% ha frequentato regolarmente, contro l’84% dei colleghi maschi. E, come se non bastasse sono ancora più ricche di esperienze fuori dai confini nazionali, in quanto sono andate di più all’estero (il 26% contro il 23% degli uomini), e la medesima percentuale di loro ha avuto un’esperienza di lavoro durante gli studi.
E veniamo alle note dolenti. A cinque anni dal conseguimento del titolo, i laureati maschi dichiarano, in media, di guadagnare 1.699 euro mensili contro i 1.375 euro delle donne. Un differenziale elevato in tutti i gruppi disciplinari, in particolare nei gruppi architettura dove supera il 20% ed economico- statistico dove sfiora il 18%. Un gap ancora tutto da colmare e su cui bisogna lavorare.
«I dati della ricerca fotografano una situazione nota e confermano quanto emerso anche dal primo Bilancio di Genere pubblicato dal Politecnico di Milano qualche mese fa – dichiara Donatella Sciuto, prorettore vicario del Politecnico di Milano – a un anno dal titolo magistrale meno della metà delle nostre laureate in ingegneria ha un contratto stabile (contro il 57% degli uomini). E il divario si riflette nel livello delle retribuzioni, soprattutto quelle più alte (intorno ai 3.000 euro), dove gli uomini sono il doppio esatto delle donne. A testimonianza che è difficile per le ragazze accedere alle posizioni più ambite, anche se si presentano al colloquio con voti più alti dei loro compagni. Quello che ci ostiniamo a non accettare, in Italia così come in Europa, è che la parità di genere è un elemento funzionale allo sviluppo economico e al benessere di tutti i cittadini. Stime recenti, fornite dalla Banca d’Italia, indicano come la rimozione delle barriere all’accesso all’istruzione e al mercato del lavoro per le donne spieghi, negli Stati Uniti, oltre un terzo della crescita del reddito pro capite tra il 1960 e il 2010. Un’opportunità che non possiamo farci mancare».
«Mi piace guardare ai segnali positivi – rilancia Antonella Carù, direttrice della Scuola Superiore Universitaria dell’Università Bocconi – e non solo alle statistiche e agli stereotipi. Il master of science in cyber risk partito quest’anno insieme al Politecnico di Milano vede una classe al 50% femminile, è un segnale che la realtà sta cambiando. Dobbiamo uscire dagli stereotipi e imparare a comunicare diversamente non solo il mondo delle discipline STEM ma anche le opportunità di carriera. Siamo di fronte a una generazione, la Generazione Z, che non guarda – e non deve guardare – al mondo attraverso le lenti della differenza di genere. Questa è una generazione in grado di cambiare in meglio il mondo. La trasformazione digitale ha reso i giovani più aperti e in grado di raccogliere le sfide e abbattere il soffitto di vetro che ancora schiaccia le generazioni precedenti».
Una nota a margine. La ricerca dedica un approfondimento al ricorso al Part Time. Fra i laureati nel 2013 a 5 anni dal titolo, ben il 16% delle donne, nel totale del novero delle materie STEM, ricorre al tempo parziale, rispetto al 4% degli uomini. Non è difficile intuirne il perché.