La bioplastica di una ricercatrice inglese vince il James Dyson Award

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Una bioplastica generata da resti di pesce destinati a discarica o inceneritore e alghe rosse. È il progetto vincitore della 15ma edizione del James Dyson Award ideato da una ricercatrice inglese Lucy Hughes, dall’Università del Sussex, che ha pensato a come risolvere il difficile problema della plastica monouso e dell’inefficienza di alcuni processi di smaltimento.

Marina Tex – questo il nome del progetto – sfrutta gli scarti dell’industria della pesca, quindi è un esempio virtuoso di economia circolare: si tratta di una speciale bioplastica sotto forma di fogli flessibili e traslucidi, comodi per la produzione degli imballaggi monouso. È un materiale resistente, grazie ai forti legami molecolari, ma al tempo stesso resistente, ma soprattutto è biodegradabile in appena 4-6 settimane. Secondo la sua ideatrice, che ha studiato product design all’Università del Sussex e ha sviluppato MarinaTex come progetto d’esame dell’anno accademico, un merluzzo bianco atlantico potrebbe generare rifiuti organici sufficienti per produrre 1400 sacchi di MarinaTex.

marinatex-uk-jda-winner-and-top-20_2019-2«Ho avuto l’idea per la prima volta come parte del mio progetto dell’ultimo anno in Product Design presso l’Università del Sussex – spiega Lucy Hughes ad AlleyOop – ma ho due importanti fonti di ispirazione dietro il progetto. La prima è la nostra eccessiva dipendenza dalla plastica e il danno che ha successivamente causato all’ambiente. La seconda fonte di ispirazione è stata lo studio dei principi dell’economia circolare e di come sia disponibile un sistema praticabile che sia rigenerativo grazie al design. Tutto ciò mi ha ispirato a valutare i rifiuti come risorsa. Dopo questa vittoria – prosegue – continuerò a combattere contro i rifiuti. Non solo possiamo apportare cambiamenti con le nostre azioni, ma come consumatori possiamo incoraggiare e sostenere le aziende che stanno già cambiando i loro sistemi con i nostri acquisti, per diventare più responsabili verso il nostro pianeta».

Come vincitrice del concorso, Lucy riceverà un premio di 30mila sterline e il suo obiettivo è quello di commercializzare in modo sostenibile la sua invenzione, investendo il premio in ulteriori ricerche.

marinatex-uk-jda-winner-and-top-20_2019-4Secondo i dati forniti dall’Università di Santa Barbara, in California, relativi al 2018, si stima che il 40% della plastica prodotta per imballaggi nel mondo sia utilizzata una sola volta e poi gettata. Interessante è poi quanto sottolineato da una ricerca del 2019, secondo cui, mentre nel 1950 il pianeta contava 2 miliardi e mezzo di persone, che producevano una tonnellata e mezzo di plastica, nel 2016 la popolazione mondiale ha raggiunto i 7 miliardi che ne producono ben 320 milioni di tonnellate, ovvero l’equivalente del peso di più di 800.000 “Torri Eiffel”.

«I giovani ingegneri sono mossi dalla passione, dalla consapevolezza e dall’intelligenza necessaria per risolvere alcuni dei più grandi problemi attuali – ha dichiarato Sir James Dyson, fondatore dell’azienda – il James Dyson Award quest’anno ha ricevuto alcune idee veramente stimolanti, rendendo molto difficile la scelta. Inoltre, mai come quest’anno hanno partecipato tante donne. Alla fine, la scelta è ricaduta sull’idea di cui il mondo di oggi non può fare a meno, MarinaTex risolve brillantemente due problemi: la onnipresenza della plastica monouso e lo smaltimento degli scarti del pesce. Nuovi sforzi in ricerca e sviluppo garantiranno che MarinaTex si evolva ulteriormente e spero che diventi parte di una risposta globale all’eccesso di plastica monouso».

marinatex-uk-jda-winner-and-top-20_2019-6In effetti, Lucy Hughes quest’anno era in compagnia di tante colleghe che hanno partecipato con progetti altrettanto interessanti. La 15ma edizione ha fatto registrare il maggior numero di partecipanti femminili mai raggiunto fra tutte le 27 nazioni (Australia, Austria, Belgio, Canada, Cina, Francia, Germania, Hong Kong, India, Italia, Irlanda, Giappone, Malesia, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Filippine, Russia, Singapore, Spagna, Corea del Sud, Svizzera, Svezia, Taiwan, gli Emirati Arabi Uniti, Il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America) coinvolte, con idee che coniugano una elevata sensibilità ai temi della salvaguardia ambientale con le sfide del design e del business.

E sono numerose le finaliste, tra cui la seconda classificata Anna Bernbaum dal Regno Unito, con Afflo, un dispositivo indossabile, dotato di intelligenza artificiale e in grado di monitorare i sintomi asmatici fino a predire gli attacchi, consentendo così agli utenti di prendere decisioni basate sui dati emersi dal dispositivo e i risultati sono disponibili per il paziente attraverso un’apposita app Afflo; Hannah Tilsey e Chamonix Stuart, dalla Nuova Zelanda, con Nah Yeah Buoy, una boa che rileva l’andamento delle correnti, le onde e il volume del flusso dell’acqua, traducendolo in colori simili ad un semaforo, così da indicare quando sarà sicuro nuotare: «Con il JDA ho imparato ad avere fiducia e a credere in quello che faccio» ha dichiarato Hannah Tilsey. Sarah Moi Shi Li dalla Malesia:  «La cosa più interessante che ho appreso studiando design del prodotto è l’abilità di risolvere un problema concreto», parlando di Eat Easy, un supporto per piatti per persone che possono utilizzare soltanto una mano per via di un arto amputato o rotto. Uma Smith, dagli Stati Uniti, invece, ha proposto Cocoon, uno spazio sicuro portatile studiato per chi soffre di epilessia: «La mia missione nella vita è quella di utilizzare il design del prodotto per favorire l’indipendenza nelle altre persone»

Infine, tra le “Donne dell’innovazione” che, partendo da un problema globale e pratico al tempo stesso, hanno provato a realizzare soluzioni in grado di colmare quel gap, anche Maria Yzabell Angel Palma, dalle Filippine, con il progetto AirDisc Tecnologie Refrigeranti che non ricorre a sostanze chimiche: «La scienza e l’ingegneria hanno suscitato il mio interesse sin da bambina e ho sempre voluto fare la differenza» racconta.

  • Paolo Broglio |

    Bene Marina Tex Project con Lucy Hughes ( ricercatrice in “ product design”) ma credo che il merito, ammesso e non concesso che ci sia, insito in questo progetto sia quello di ricavare un materiale simil plastico dai rifiuti di merluzzo ( dai polisaccaridi ? dai lipidi? Chiarezza per cortesia!) . Il Product Design e’ accessorio e costituisce solo una piccola parte del merito. Ancora una volta si amplifica “ la forma “ e non “ la sostanza”! Il giornalismo scientifico e la competenza che ad esso dovrebbe essere collegata e’ risultata, ancora una volta, approssimativa anche in una testata autorevole come il Sole24Ore.

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