“Dovrebbero esserci molti percorsi diversi, che intreccino tempo libero, lavoro, formazione e famiglia per tutta la vita, che accompagnino le persone dalla nascita alla morte con luoghi dove fermarsi, riposare, cambiare rotta e ripetere alcuni passi lungo la strada. Così non sarebbe solo la terza età a durare più a lungo, ma si espanderebbero anche la giovinezza e la maturità”.
Laura Carstensen, psicologa e fondatrice dello Stanford Center on Longevity, in suo contributo sul Washington Post. “Quando l’ho letto – risponde dalle colonne di Forbes Joan Michelson, career e book coach – il mio primo pensiero è stato: le donne lo fanno già“. Le donne cioè, secondo Michelson, prenderebbero in modo naturale nella loro vita quei “molti percorsi diversi” a cui allude Carstensen e metterebbero in pratica istintivamente quel design e redesign of life. “Se si approfondisce il modo in cui le donne fanno le scelte di carriera – scrive Michelson – si vede che progettano intrinsecamente una vita con un approccio più olistico“.
Le donne tenderebbero spontaneamente a quel “zigzagare” che è parte della riprogettazione, o redesign, della vita. Vale nel momento in cui si prendono cura di bambini piccoli o genitori anziani, magari da dipendenti, ma anche nel senso che sono più propense ad accettare lavori nuovi e diversi. In sintesi, le decisioni che la popolazione femminile prende rispetto alla propria carriera sarebbero basate su valori e su come si sentiranno nel lavoro, laddove gli uomini sarebbero generalmente più concentrati sul titolo e sul compenso economico.
Le ragioni di questa propensione al cambiamento di percorso, di una carriera più basata sui valori e sulle scelte di vita, avrebbero origine dal fatto che le donne sono state una sorta di “anomalia” nel mondo del lavoro, senza accesso ai tradizionali luoghi di potere e risorse, quindi hanno dovuto trovare un altro modo per avere successo. Ma l’attenzione ai valori e questa ricerca di strade alternative in un mondo professionale disegnato da uomini per uomini sarebbe anche il motivo per cui le donne tendono a concentrarsi maggiormente sulla responsabilità sociale, comprese le questioni climatiche e ambientali.
“Di recente un dirigente della responsabilità sociale d’impresa – scrive ancora Michelson – mi ha detto che sono più le donne tirocinanti rispetto agli uomini a cercarla per scoprire le pratiche di sostenibilità dell’azienda quando devono decidere se entrare o no a farne parte, per esempio“. E ancora: “Carstensen afferma che abbiamo bisogno di maggiore partecipazione dei lavoratori con più di 60 anni, e più donne con più di 60 anni stanno avendo successo in questa fase della loro età. Ciò è dovuto in parte al fatto che le donne tendono a essere promosse a lavori di livello superiore più tardi nella vita rispetto agli uomini, in parte al fatto che le aziende impiegano più tempo a riconoscere le loro competenze per ruoli superiori“. Questa tendenza si spiegherebbe con la necessità femminile di lavorare più a lungo per sostenere le proprie finanze, visto il gender gap nei compensi, e poi delle pensioni. Insomma, abbiamo fatto di necessità virtù, forse. Ma abbiamo certamente anticipato i tempi.