L’innovazione come totem, l’immobilità come tabù. Ilaria Capua, 53 anni, virologa di fama internazionale e direttore dell’One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, è tutta qui. Ha appena scritto il volume “Salute circolare – Una rivoluzione necessaria” (Egea, 2019, 118 pagine, 15 euro) in cui prova a dare una nuova e contemporanea definizione di salute e invita i ragazzi a muoversi, scoprire, rischiare, esporsi perché proprio questo dimostra la storia della scienza che lei ha raccontato nel suo libro, scritto sotto la forma felicissima dell’intervista con il giornalista e scrittore Daniele Mont D’Arpizio.
Ne esce una riflessione ampia sul valore e la dirompenza della trasversalità che porta sempre a grandi cambiamenti; ne risulta una chiacchierata semiseria in cui la scienza diventa digeribile e appetibile per tutti anche grazie alla collaborazione con Sara Agnelli, adjunct professor con un PhD in Classics che lavora all’One Health Center of Excellence, e con Alberto Fioretti, giovane laureato in Filosofia.
Il nuovo concetto di salute
«Dopo la mia esperienza come parlamentare (era stata eletta nel 2013 con Scelta Civica, ndr) e dopo tutti gli anni dedicati allo studio del micromondo, ho scelto di concentrarmi sul macromondo, di allontanarmi dai dettagli per un approccio di più ampio respiro, integrato del concetto di salute», esordisce la virologa dallo studio di Gainesville, Florida, con il suo solito, travolgente entusiasmo per la scienza e per il destino dell’umanità.
Per uno sguardo a tutto tondo della salute era necessario partire da lontano, era necessario cercarne le origini per capire cos’è oggi: «L’idea di salute degli antichi sono i pilastri verticali che sostengono il tetto: sono anatomia, fisiologia, patologia a sorreggere il tetto del Partenone della scienza. Ecco, noi dobbiamo guardare il Partenone nella sua interezza, non solo le colonne o solo i fregi, sarebbe un errore imperdonabile di prospettiva». Una delle prime idee di salute è quella dei Greci: per loro salute significa equilibrio: «Il passo che manca alla nostra scienza – spiega Capua – è riportare l’attenzione sugli equilibri, interni ed esterni all’organismo, che ne influenzano la salute».
Chi sono gli NL
Questa ricerca del novissimo parte dall’antico: i Greci, la cultura islamica della scienza e poi tutti i personaggi che hanno fatto la storia della medicina per rivisitarne le scoperte e capire come sono arrivati a cambiare ognuno, a proprio modo, il mondo: «La scoperta dell’universo della microbiologia avviene grazie a un commerciante di tessuti (Antoni van Leeuwenhoek); il concetto di contagio viene elaborato da un medico-filosofo-astronomo (Girolamo Fracastoro) che ha intuito grandi cose, ma rimane ancora in parte intrappolato fra il vecchio e il nuovo, ancora un po’ convinto che anche gli astri diano qualche spintarella alla salute».
Tutto questo per dire che servono forza intellettuale, briciole eretiche, fortuna, visione, scoperte che magari vengono da altri campi per cambiare il modo di pensare: «Chissà, forse saranno stati degli NL, se non nella pratica, sicuramente nella forma mentale». Gli NL? E chi saranno mai? Nel libro gli NL sono quasi i semini che Pollicino lascia lungo la strada, sono il sale della scienza perché «l’approccio NL, cioè Non Lateralizzato, è aperto, candido e accogliente, è quello che premia, che porta in un altrove inimmaginabile, rivoluzionario».
Impariamo dalle api
Tutta la storia della scienza, da Ippocrate a noi, procede grazie agli NL, visionari, coraggiosi, eccentrici, fortunati, a volte. Ma non basta. L’altro elemento è la cross-fertilizzazione: «Proviamo a osservare la natura – suggerisce la studiosa -: l’ape si sposta e porta con sé polline che feconda la cellula uovo che si trova nel fiore: è la cross-fertilizzazione, grazie alla quale, ad esempio, nel Medioevo nascono università in Occidente portate dalla cultura islamica».
Oggi può accadere esattamente la stessa cosa: ambiti che si mescolano e si contaminano, nozioni che passano da una scienza all’altra per trovare nuovi orizzonti. Tutto è possibile grazie a quel collante che sono i Big data: «Data viene dal verbo latino dare, a noi spetta il compito di mettere insieme i dati, i regali, i doni, ciò che già esiste. Sono miliardi di miliardi di miliardi di informazioni grazie alle quali oggi è possibile ripensare alcuni concetti della salute in modo più sostenibile, più moderno. Dobbiamo studiare immaginando la salute come un sistema. Le nostre capacità di previsione crescono a un ritmo vertiginoso: in questo nuovo scenario, per esempio, non si possono più studiare la malaria o Zika ignorando fenomeni come il riscaldamento globale. La conoscenza in fondo è cogliere i collegamenti tra le cose e le informazioni; adesso possiamo farlo incrociando e analizzando dati che già esistono».
Globetrotter della scienza
Nelle pagine di Ilaria Capua, la scienza assume i tratti dello stupore, della meraviglia: sì, l’uomo ha raggiunto tutto questo, grazie alla ricerca del limite, dell’inimmaginabile. Magari viaggiando tanto «come ha fatto Vesalio, il Copernico della medicina, l’autore, a 28 anni (!!!) del De humani corporis fabrica, pubblicato nel 1543 e rimasto per secoli la Bibbia dell’anatomia».
In Vesalio si può riconoscere il ritratto dell’uomo di scienza, visionario e giramondo, creativo (le idee contano) e moderno: viaggia a cavallo dal Belgio, alla Spagna, all’Italia, per finire in Svizzera dove fa stampare le sue tavole anatomiche e rivoluziona l’anatomia a 28 anni: «Un vero homo europaeus, po’ come accade agli studenti di oggi con il programma Erasmus – dice Capua – un esempio per tutti. Ai ragazzi raccomando sempre: muovetevi, studiate, rischiate, qualcosa accadrà. Importante è che non stiate fermi. E, se le donne sapranno farsi avanti e assumersi nuove responsabilità, saranno il motore del cambiamento».
In perenne movimento
Le possibilità attuali di movimento sono un’altra freccia all’arco della ricerca: «La scoperta origina quasi sempre da un processo di comprensione e di sfruttamento di opportunità al di fuori dei confini nazionali (e mentali), senza dimenticare le potenzialità infinite della libera circolazione dei dati scientifici». È stato proprio da questa certezza che Ilaria Capua ha raggiunto la ribalta internazionale: «Fin dagli anni all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie a Legnaro (Pd), decisi di condividere la sequenza genetica di un virus che avevamo appena decodificato su una piattaforma ad accesso libero aperta a tutti gli scienziati, ovunque lavorassero». Dati in comune per condividere la ricerca, così come dovrebbe accadere per i 17 Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite e come Ilaria Capua ha recentemente scritto, in una lettera a quattro mani con Enrico Giovannini, su Nature.
Le vie della ricerca sono infinite perché la salute è un bene universale, senza tempo. La scommessa di Ilaria Capua sulla salute circolare è solo l’ultima del suo animo tumultuoso e coinvolgente. Che sarà premiato il 4 settembre a Roma (Palazzo Antici Mattei di Giove, via Michelangelo Caetani 32) con il Prize for American-Italian Relations. Insieme a lei, riceveranno il riconoscimento anche il ceo The New York Times Net, Mark Thompson, e il regista Giuseppe Tornatore.