Migliorare l’impianto normativo e l’applicazione delle leggi nel nostro Paese è un passo fondamentale per inquadrare la lotta alla violenza di genere. Ma altrettanto importante è implementare una strategia nazionale anti violenza e aumentare le risorse, necessarie per attuare le politiche di prevenzione, di punizione dei colpevoli e di protezione delle vittime. Risorse senza le quali l’impianto normativo e la stessa strategia nazionale sarebbero ‘azzoppati’. In questa direzione va il piano 2017-2020 che oggi è entrato nella fase di attuazione e che poggia, tra i punti di forza, sulla formazione, la comunicazione e la sensibilizzazione. Strumenti necessari per sanare una piaga, come quella della violenza, che affonda le sue radici nella società patriarcale. Inoltre, come annunciato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Vincenzo Spadafora, si progettano misure per le donne vittime di violenza che non hanno una loro indipendenza economico-lavorativa. Prevedendo anche un fondo di sostegno ad hoc.
All’Italia, secondo We World, la violenza è costata, in un anno, quasi 17 miliardi
Innanzitutto i costi. Perché la violenza, oltre a un enorme costo sociale e umano, determina anche un costo ingente per l’intero Paese. In termini di spese sanitarie, giudiziarie, mancata produttività sul lavoro della donna che ne è vittima. In materia non c’è ancora un’indagine statistica comparabile a livello europeo. La onlus WeWorld ha stimato nel 2013 un costo per l’Italia di quasi 17 miliardi di euro. L’Eige, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, partendo dal caso inglese, ha parlato di un costo per il nostro Paese di circa 13 miliardi di euro circoscritto alla violenza domestica, cioè alla violenza perpetrata da chi ha un rapporto affettivo o familiare con la vittima. Per la lotta alla violenza contro le donne c’è poi una spesa che affrontano i vari Paesi, che è molto diversa da uno Stato europeo all’altro.
Entro fine marzo la fotografia completa del sistema Italia anti violenza
E veniamo ai dati, importanti per misurare il fenomeno e adottare le politiche più adatte. Per ora l’ultima indagine completa dell’ Istat risale al 2014 che fotografa la violenza maschile sulle donne come un fenomeno ampio e diffuso. Sono 6 milioni e 788 mila le donne che hanno subìto nel corso della propria vita qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono dati salienti, che già danno un’idea del problema, ma presto arriveranno risultati più completi. Il dipartimento per le Pari opportunità, sempre nell’ambito dell’ampia strategia anti violenza, ha stretto due accordi a proposito con l’Istat e il Cnr: l’Istituto condurrà l’indagine quali-quantitativa sui centri specializzati nel fenomeno della violenza contro le donne, il Cnr si occuperà delle informazioni riguardo a tutti gli altri servizi attivi sul territorio che non corrispondono ai requisiti dell’intesa e della ricognizione dei centri degli uomini maltrattanti. «L’Italia – spiega Alessandra Ponari, capo del dipartimento per le Pari opportunità – sta lavorando a costruire per la prima volta un sistema integrato dei dati provenienti dalle amministrazioni e dagli operatori dei servizi. Si creerà una banca dati unica che sarà un patrimonio preziosissimo per i decisori politici i quali potranno avere un quadro chiaro del fenomeno. Entro fine marzo dovremmo avere la fotografia completa».
Dal piano anti violenza al piano d’azione
Intanto il piano strategico nazionale anti violenza approvato a fine 2017 è entrato nella fase dell’attuazione. «Puntiamo molto– spiega la Ponari illustrando le linee principali del piano di azione – sulla formazione di tutti gli operatori che, a diverso titolo, entrano in contatto con le donne vittime di violenza: operatori sanitari, forze dell’ordine, della magistratura, della scuola, della comunicazione». Ad esempio, nel campo proprio della comunicazione, è stato creato un gruppo di lavoro aperto, tra l’altro, all’Ordine dei giornalisti e alla Fnsi che, basandosi sul manifesto di Venezia già esistente, ha tra le finalità quella di allargare i principi già attuati in varie redazioni giornalistiche a tutti gli operatori della comunicazione, soprattutto a coloro che non hanno ricevuto una formazione ad hoc in materia. Un altro aspetto fondamentale è costituito dalla comunicazione delle problematiche inerenti alla violenza e dalla sensibilizzazione. Attività che il dipartimento vuole portare avanti non sono nei giorni tradizionali, come l’8 marzo o il 25 novembre, ma in maniera permanente, anche in collaborazione e in sinergia con il Miur, il ministero dell’Università e della ricerca.
Il progetto di un fondo ad hoc di sostegno delle vittime
Un punto di snodo essenziale nella lotta alla violenza di genere è costituito dalle risorse in campo, una coperta sempre troppo corta viste le molteplici necessità. L’Italia nel 2013 ha adottato la legge, nota come legge anti femminicidio, che prevede finanziamenti di 10 milioni l’anno per i centri anti violenza e un piano straordinario di lotta alla violenza che nel 2015-16 è stato finanziato con 39 milioni di euro. Nel 2018 le risorse, anche per centri anti violenza e case rifugio, sono state pari a 35,4 milioni, nel 2019 sono lievemente diminuite a 33 milioni. In genere tali risorse sono distribuite attraverso bandi pubblici. Oltre a questo strumento, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Vincenzo Spadafora, sta studiando la costituzione di un fondo a sostegno delle vittime. Spesso le donne che subiscono violenza sono dipendenti economicamente dal loro partner; il lavoro, in siffatti contesti, diventa la chiave di volta per l’affrancamento e il recupero della dignità. I finanziamenti saranno reperiti nell’ambito dello stanziamento per il 2019 da 33 milioni di euro; una volta decurtate le risorse da ripartire annualmente tra le regioni, la parte residua dovrebbe essere devoluta in gran parte al fondo.
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