“Serve un’alleanza di persone perbene per trovare un bilanciamento tra i rischi di un uso improprio del web e le sue opportunità di apprendimento e di allargamento delle conoscenze nelle dieta mediatica dei giovani”.
Lo scorso gennaio Agcom ha presentato alla Camera il “Libro Bianco Media e Minori 2.0”. In quell’occasione il presidente Angelo Cardani faceva queste dichiarazioni. Se la tecnologia offre a tutti noi una lista infinita di opportunità e ricchezza per crescere, evolverci, migliorare sotto svariati punti di vista, è altrettanto vero che l’elenco dei rischi non è stato ancora sufficientemente indagato in tutto ciò che comporta e se ne fa sempre più urgente una presa di coscienza. Soprattutto per ciò che concerne l’infanzia e l’adolescenza, età fondamentali per la formazione cognitiva ed emotiva dell’individuo. Non possiamo più far finta che il linguaggio digitale non abbia nessuna influenza in questa delicata fase di formazione, che le sue dinamiche non condizionino i pensieri e le strutture emotive di chi ne fa uso, che non instilli meccanismi di dipendenza.
Per comprendere l’urgenza di un intervento, basti guardare i numeri: nel mondo 1 bambino su 3 è connesso a internet. In Italia l’età per il primo smartphone si è abbassata a 7 anni. Il 48% della popolazione mondiale è composta da giovani e adolescenti e il 71% di loro è connesso. Un adolescente può arrivare a inviare circa 4000 messaggi al mese, ovvero 1 ogni 6 minuti. Ma è inutile fare paternali, perché i nostri figli imparano da ciò che osservano: da un’indagine di Kaspersky Lab, emerge che il 70% dei genitori condivide online foto e video dei propri figli e il 44% diffonde i propri dati sensibili senza quasi rendersene conto.
Quello che poi i numeri fanno fatica a raccontare, è quanto e come le relazioni umane siano cambiate. Le stanze virtuali in cui viviamo parte delle nostre vite, come fossero delle succursali della vita reale, rischiano di spezzare e separare la nostra unità emotiva, se non attiviamo continuamente delle connessioni tra i luoghi e i non-luoghi in cui agiamo. È necessario cominciare a indagare con decisione e consapevolezza queste dinamiche, per non lasciarsene travolgere.
Nasce con questi presupposti il progetto T-essere reti nel villaggio globale, di Women&Tech-Associazione Donne e Tecnologie, che ha proprio lo scopo di connettere le famiglie per stabilire un dialogo e sostenerlo, esplorando il modo sano in cui la tecnologia può essere un veicolo di aggregazione. Il percorso si articolerà nei prossimi mesi in varie tappe: tra aperitivi letterari, talk events, conferenze ed experience dirette con altri genitori, si intende realizzare una dinamica di informazione, formazione e comunicazione tra genitori, e genitori e figli. Spiega la presidente Olga Iarussi: “Nel villaggio globale di oggi, essere genitori non è solo essere padri e madri ma entrare in una comunità di rete che presuppone la capacità di relazionarsi con un contesto sociale, culturale e lavorativo complesso, che richiede competenze in continua evoluzione”. Diverse le figure coinvolte nella progettazione: le associate di Women&Tech che compongono il team, provengono da varie realtà aziendali e non, con esperienza nei settori del welfare, comunicazione, tecnologia, legal ed HR.
Il progetto è stato presentato oggi, 26 novembre, a Milano, al Cinema Plinius, nel corso di un evento che da subito lo definisce come un luogo aperto di dibattito e riflessione. E’stato introdotto infatti dalla presentazione del libro Quando ridi. Parole sussurrate a una figlia del giornalista sportivo Giorgio Terruzzi, un testo che parla di paternità e di sentimenti familiari. A seguire la proiezione del film Come diventare grandi nonostante i genitori, regia di Luca Lucini, con Giovanna Mezzogiorno, Paolo Calabresi, Margherita Buy. Si comincerà dunque con l’indagare il tema della relazione genitori/figli, non solo nel contesto tecnologico. Un punto di partenza, per affrontare le tappe successive.