In questa foto vedete due splendidi esemplari di papà moderni, premurosi, impegnati, attenti, presenti, affettuosi. Entrambi hanno fatto del loro essere padri quasi una cifra stilistica nelle rispettive attività professionali. Quello a destra ha due figli da due donne diverse (mo’ sta con una terza donna che gli/ci darà presto nuova e fresca prole italica, come da regolare e solenne impegno sottoscritto nel glorioso contratto di governo) e ci ricorda un giorno sì e l’altro pure che tutta la sua azione politica è pensata e attuata (senza arretrare di un millimetro) in quanto ministro e ”in quanto papà”. Quello a sinistra ha due figlie e una famiglia talmente modello che ha pensato che dovesse diventare un modello per tutti, a parte per quello a destra, che ha fatto scelte diverse e quindi, insomma, che ci vuoi fare? Entrambi condividono una visione piuttosto maschiocentrica dell’universo mondo e sono affascinati dai mitici Bei Tempi Andati quando non c’era tutta questa confusione e promiscuità e si sapeva molto chiaramente chi portava i pantaloni e chi no.
Io invece, che sto scrivendo una nota a corredo di cotanta foto, sono a mia volta un papà senza particolari meriti se non quello di aver contribuito a mettere al mondo due belle fanciulle e di averle sin qui fatte crescere senza particolari intoppi, salvo quelli che ogni padre e ogni madre all’ascolto possono agevolmente immaginare. Mentirei se non ammettessi che essere riuscito a essere padre per – ad oggi – 12 anni continuativi senza fare grossi danni mi provoca un certo malcelato orgoglio. Mentirei anche se dicessi che tutto quello che faccio, che dico e che penso lo faccio, lo dico e lo penso “in quanto papà”. Insomma, rispetto a Salvini ho un’idea un po’ meno pettinata del mestiere di padre, forse perché lo faccio a tempo pieno e non part-time, come può farlo un politico con due figli sparsi in case diverse e che vive con una donna terza e senza figli. E anche rispetto a Pillon, temo di essere un po’ meno apodittico e autoreferenziale quando parlo di paternità, forse perché mi sono abituato a pensare che il solo modo di ambire a essere il “padre migliore del mondo” è sapere di non essere il “padre migliore del mondo”, che è un pensiero che non potrebbe mai sfiorare un avvocato che dedica tanto tempo della sua vita a macchinare stratagemmi per imporre agli altri il modello di famiglia e di paternità rappresentato dalla sua famiglia e da lui stesso in quanto tale.
Insomma, questa intro serviva a farvi capire chi sono loro e chi sono io, “in quanto papà”.
Ora possiamo entrare nel vivo della questione “bigenitorialità perfetta”, così come viene posta dal ddl Pillon, in modo che possiate avere l’indubbio privilegio di sapere cosa propongono loro, cosa osservo io e trarne poi le vostre debite conseguenze.
Ordunque.
Cosa dicono loro: “In caso di separazione di una coppia, il mantenimento dei figli, il loro affido, e di conseguenza i costi e il tempo passato con loro, devono essere equamente divisi tra padre e madre”.
Cosa osservo io: i figli non sono una co-proprietà e dunque non ha molto senso trattarli come un patrimonio familiare cointestato. Ne consegue che non ci può essere alcuna “equa divisione” di nulla, se non ci si mette prima d’accordo su una domanda centrale: equa per chi? Se s’intende “equa per i figli”, mi sembra di poter dire che la normativa vigente vada già in quella direzione. Se s’intende invece “equa per la coppia” credo ci sia davvero da mettersi le mani nei capelli, in quanto si anteporrebbe l’interesse dei genitori a quello dei figli.
Cosa dicono loro: “E’ obbligatoria per le coppie con figli minorenni la figura del mediatore familiare al fine di aiutarle a trovare un accordo nell’interesse dei minori”.
Cosa osservo io: ah, quindi l’interesse perseguito è quello dei minori, non quello dei genitori. Interessante. Quindi di cosa stiamo parlando? Di niente. Molto bene, potremmo anche chiuderla qui ma, purtroppo, tocca insistere e ripetere che se l’accordo che si cerca va trovato nell’interesse dei minori non ci può essere e non ci potrà mai essere una divisione equa di mantenimento, affido, costi e tempo trascorso insieme. Di nuovo perché un accordo equo per la coppia (o per una delle due parti in causa) potrebbe non esserlo per i figli. Tocca dunque ripetersi: se l’accordo deve essere trovato “nell’interesse dei minori” non può esserci spazio per nessun’altra considerazione, meno che mai in nome del supposto diritto (ma diritto de che?) di uno dei due genitori a passare più o meno tempo coi figli.
Cosa dicono loro: “Indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori, il figlio minore, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e con la madre, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali, con paritetica assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità”.
Cosa osservo io: se l’interesse morale e materiale da tutelare è quello del figlio non può decidere il legislatore, una volta per tutte, quale sia un rapporto “equilibrato e continuativo” con il padre e con la madre. Semmai può farlo il magistrato, valutando caso per caso. Diversamente staremmo postulando l’esistenza di un diritto quasi proprietario di ciascun genitore sui figli, e di nuovo entreremmo in un terreno alquanto minato in cui l’interesse del genitore prevale su quello dei figli. In questo senso l’avverbio “indipendentemente”, applicato ai rapporti intercorrenti tra i due genitori, grida vendetta perché apre la porta a qualunque conseguenza, in primis quella per cui se uno dei due genitori è stato violento e irresponsabile nei confronti dell’altro (ovvero dei figli stessi) il suo diritto (ma diritto de che?) a dare cura, educazione, istruzione e assistenza morale ai figli prevarrebbe sull’interesse dei figli a riceverle.
Cosa dicono loro: “Il figlio ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale. Il giudice deve assicurare il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori”.
Cosa osservo io: quello di “trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti” è un diritto o un dovere? Se è un diritto del minore occorre che egli ne possa disporre in prima persona e dunque decidere se se ne vuole avvalere oppure no. Se il minore è troppo minore per disporre di un diritto occorre che un tutore lo faccia per lui e qui ritorniamo al punto di partenza: che interesse deve perseguire il tutore nel momento in cui dispone del diritto di un minore (cioè, decide per lui?). Ma di quello del minore, che diamine. Quindi capite bene che non ha senso alcuno prevedere un diritto (ma diritto de che?) che in realtà potrebbe configurarsi come un dovere per chi ne è titolare (una cosa tipo: tu da tuo padre/madre ci vai perché è un tuo diritto e quindi ci DEVI andare!!!)
Se invece è un dovere, non capisco proprio. I genitori si separano perché non vanno d’accordo tra loro e il minore si ritrova con un dovere tra capo e collo, per non scontentare né la mamma né il papà? Mi pare non funzioni proprio.
Cosa dicono loro: “Salvo diverso accordo tra le parti, deve in ogni caso essere garantita alla prole la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre”.
Cosa osservo io: a me piace pensare che una “permanenza”, in qualunque luogo sia, debba essere “garantita” solo a chi la desidera. Diversamente credo si possa chiamare nella migliore ipotesi “galera” (o arresti domiciliari, in questo caso) e nella peggiore “sequestro di persona”, come nel caso della Diciotti a Catania, reato per cui l’attuale Ministro, in quanto Ministro (e papà?), è attualmente indagato.
Cosa dicono loro: “Nelle situazioni di crisi familiare il diritto del minore ad avere entrambi i genitori finisce frequentemente violato con la concreta esclusione di uno dei genitori (il più delle volte il padre) dalla vita dei figli e con il contestuale eccessivo rafforzamento del ruolo dell’altro genitore”.
Cosa osservo io: non esiste un diritto del minore ad avere entrambi i genitori. O ce li ha o non ce li ha. Ne consegue che, per avere uno straccio di senso, tale diritto vada ridefinito come il “diritto a vedere entrambi i genitori in parti uguali”. Che – aridanghete – è un diritto del minore solo se lui ne possa disporre (tipo che vuole esercitarlo o non vuole esercitarlo). Se il minore è troppo minore per intendere e volere, il diritto di cui si parla è in realtà quello dei genitori a vedere il figlio e, di nuovo, non capisco come si possa decidere di spartirlo in parti eguali ex lege, come se fosse un patrimonio personale. Cosa che, con tutta evidenza, non è e non può essere. Non foss’altro perché stiamo parlando di una persona, fatta e finita, a cui – più o meno dalla la dichiarazione dei diritti dell’uomo in poi – sono state riconosciute talune prerogative, tra le quali quella di non poter essere di proprietà di alcuno.
Cosa propongono loro: “La cifra forfettaria stabilita automaticamente è sostituita da un assegno calcolato ad hoc sui figli e sul progetto che i genitori hanno su di loro. La cifra stabilita sarà poi divisa equamente tra i genitori, in base a quanto guadagnano”.
Cosa osservo io: cosa vuole dire il “progetto che i genitori hanno su di loro”? Davvero si può avere un progetto sui propri figli? Davvero questi adorabili padri di famiglia (o di famiglie, nel caso di Salvini) pensano che i figli debbano realizzare i progetti di vita che i genitori hanno stabilito per loro? Non so, mi pare di essere tornati ai tempi in cui i genitori combinavano i matrimoni per i figli. Pensavo francamente che l’avessimo superata. Evidentemente a volte (le pessime abitudine) ritornano.
Cosa propongono loro: “Se una donna è priva di reddito, tutte le spese toccheranno al padre, che però non darà un assegno forfettario, ma pagherà direttamente le spese vive, o pagherà una cifra a fronte di fattura”.
Cosa osservo io: “Le spese vive”??? “A fronte di fattura”??? Ci scommettete che, di fronte a una soluzione così logicamente e logisticamente assurda, ciascun padre dotato di un minimo di raziocinio implorerà in ginocchio di poter versare un assegno forfaittario? Diversamente avrebbe bisogno di un buon commercialista o di un buon training personale per seguire i figli per ogni dove, con il portafoglio in mano.
In definitiva pare di poter dire che questo ddl presenti alcuni aspetti poco chiari, per non dire paradossali. Fossi in Pillon mi riserverei un supplemento di riflessione, magari sottratto al tempo necessario per organizzare un altro “Family Day”. Che comunque, laddove si volesse coinvolgere anche Salvini, dovrebbe essere ribattezzato “Families Day” avendone lui almeno tre. E non fraintendetemi, per me ne può avere anche quindici. Non sono io quello che vuole imporre le proprie abitudini e i propri tiramenti a tutto il Paese (figli minori compresi).