Nel cottage di Rita il precariato si è trasformato in un’opportunità di crescita.

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Renée Michel, la pittoresca protagonista del best seller “L’eleganza del riccio”, è all’apparenza una comune portinaia. In realtà possiede una cultura invidiabile, accumula libri, conosce finemente la filosofia e la storia dell’arte, ma dissimula questo sapere con una vita ordinaria e sfrontatamente sciatta. Si tratta di un personaggio romanzesco, che si alimenta di una cultura fine a se stessa, senza velleità professionali. Ma non posso fare a meno di pensare a lei quando incontro persone come Mara, cameriera in un bistrot che frequento piuttosto abitualmente. Mara ha un percorso di studi lineare: ha studiato moda alle superiori e si è laureata in fashion design alla Naba di Milano. Aveva piuttosto chiaro in testa il suo futuro. Ma adesso, a 37 anni, fa la cameriera. Quando le chiedo cosa è successo mi risponde con molta tranquillità: “Mi sono persa”.

Riassume in tre parole quello che accade a un esercito di persone come lei, per la precisione 1 laureato su 3. Secondo il presidente dell’Istat Giorgio Alleva, il 35,4% dei laureati che lavorano, svolge un’attività non in linea col proprio percorso di studi, o per la quale è sufficiente il diploma. Le motivazioni per cui questo accade sono molteplici e ancora non sufficientemente analizzate.

Ci si perde perché non si conosce la strada. Perchè non si conosce la meta. Perchè si pensa di essere arrivati a destinazione e ci si ferma troppo presto. Fuor di metafora, molti si sono persi perché dopo aver sperimentato i tentativi di nuove modalità contrattuali e pseudo-contrattuali che si sono rivelate non essere l’opportunità che annunciavano, hanno preferito scegliere la tranquillità del posto fisso a cui tutto sommato erano stati educati.

Il problema è trasversale a tutti i percorsi di laurea, non colpisce solo chi ha studiato moda come Mara.

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La storia di Rita comincia come tante altre. Classe 1982, una laurea in lingue e letterature straniere, le prime esperienze di lavoro nel turismo. Negli anni dell’università occupazioni occasionali di vario genere: dal volantinaggio al call center, ha fatto la hostess, la cameriera, la receptionist. L’idea a quei tempi era che ogni lavoro “facesse curriculum”, che una volta entrati nel mercato come neolaureati bisognasse avere già qualcosa da scrivere piuttosto che una pagina bianca. Che poi fosse meglio accumulare esperienze inerenti al proprio percorso di studi era un pensiero che da soli non concepivamo. Ma, come dice Rita, “della mancanza di dialogo tra università e mondo del lavoro parliamo un’altra volta”.

Tornando alla sua storia, lavorava come assistente nell’ufficio tecnico di una multinazionale quando rimase incinta per la prima volta e perse il lavoro. Fin qui davvero una storia come tante. Oggi però Rita è un’esperta di social media, in particolare Instagram: ha creato un’offerta formativa on-line molto personale cavalcando l’onda dell’e-learning, offre corsi e consulenze a privati e aziende per utilizzare Instagram come strumento di business. Come ci è arrivata? In modo totalmente casuale. Durante la gravidanza ha seguito un impulso creativo che non sapeva di avere, grazie al quale sono nate le Myselfie, delle bamboline di legno personalizzate in base ai tratti somatici e stilistici dei clienti che le commissionavano. Senza avere nessuna nozione di marketing, Rita intuisce subito il potenziale dell’handmade e il suo valore soggettivo: “Mi sono resa conto che per raccontare un prodotto era necessario inserirlo in un contesto visivo caratterizzato da certe atmosfere e suggestioni, che raccontasse un certo modo di essere e di vivere”. Così inizia la sua formazione. “Avevo intuito che i Social Network potevano essere un grande aiuto. Ho fatto un corso che ha posto delle basi solide al mio metodo. Ho scoperto le potenzialità di Instagram e ho iniziato ad osservare i più bravi, ho seguito altri corsi continuando ad approfondire aspetti del marketing, della comunicazione visiva e della gestione di un piccolo business”.

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Rita scrive, impara a fotografare, configura personalmente la linea estetica e visiva dei suoi canali, che acquisiscono col tempo un’identità sempre più precisa e forte, fino a diventare quasi un luogo fisico che ora lei chiama cottage. “Il Cottage è nato dall’esigenza di offrire uno spazio alle Myselfie, un prodotto che aveva la pretesa non solo di rappresentare esteriormente una persona ma di custodirne la storia. Desideravo che le persone si affezionassero al luogo dove nascevano, un luogo di calma e di cura, di cose semplici e di quotidianità”.

Insegnare alle persone a raccontare il proprio lavoro attraverso la comunicazione visiva e il visual storytelling è stato poi il punto di arrivo di questo percorso, durante il quale Rita si è tutt’altro che smarrita. Oggi si occupa di formazione con i suoi corsi, consulenza, tutoring per altri artigiani e di Myselfie. Sicuramente non era a questo che pensava quando studiava lingue e nella migliore delle ipotesi immaginava un futuro come interprete. Ma nel suo caso le opportunità di questo mondo lavorativo in trasformazione e fermento si sono mostrate in tutta la loro potenzialità. Perchè non solo ha potuto creare una professione che le piace e che le permette di conciliare il lavoro e la famiglia, e basterebbe questo a farne un esempio positivo per molti. Rita ha anche la consapevolezza che in ogni momento la sua strada lavorativa potrebbe cambiare e questo non la spaventa. L’unica certezza è che l’impegno è sempre totale con progetti e piani.

E a proposito di progetti: oggi è in attesa del quarto figlio, in barba alle statistiche. Fa però ancora fatica a spiegare ai suoi genitori che lavoro faccia e questo la fa sorridere. “Loro in fondo hanno sempre il desiderio che io abbia un lavoro normale. Non sanno che questo è il lavoro migliore che io possa fare”.