La legge Golfo-Mosca sulle quote rosa ha regalato all’Italia un primato: insieme a Francia, Svezia e Finlandia, siamo il Paese europeo con la percentuale più alta di donne (il 30%) sedute nei Cda. Peccato che ci fermiamo qui. Al di fuori dei consigli d’amministrazione, ricorda Eurostat, in Italia le manager sono solo il 22% del totale. Siamo lontani dal primato della Lettonia, l’unico Paese della Ue dove la quota delle donne – con il 53% – supera quella degli uomini fra il management.
Le dirigenti meglio pagate d’Europa, invece, sono quelle rumene: la differenza di stipendio rispetto ai colleghi maschi, per loro, è solo del 5%. Dalla parte opposta ci sono le manager ungheresi, che lamentano un gap salariale del 33,7% e strappano di un soffio la maglia nera all’Italia, dove la differenza di stipendio è del 33,5%.
Se ci spostiamo dalle imprese al mondo della politica, l’Italia delle donne si colloca a metà classifica, con una presenza in Parlamento del 30%. Meglio di tutti, nella Ue, fa la Svezia, con il 44% dei seggi parlamentari alle donne e il 48% delle poltrone alle ministre (fonte Openpolis). Solo il primo governo Renzi fece meglio, con 8 donne su 16 dicasteri: peccato che nel giro di pochi mesi le ministre scesero a cinque e da allora, nemmeno con il governo Gentiloni, non sono più risalite. Oltre i confini dell’Unione, la medaglia d’oro va alla piccola Islanda, dove su 63 parlamentari le donne sono ben 30, vale a dire il 48%. Fanno bene a protestare, negli Stati Uniti: al Congresso la rappresentanza femminile si ferma al 20% del totale.
Più drammatica la situazione al di fuori della Ue e al di là dei Paesi avanzati. Prendiamo la sponda Sud del Mediterraneo, dal Marocco fino al Libano: qui le donne in Parlamento sono solo il 16% del totale e solo una ogni quattro ha un lavoro, segnalano gli esperti dell’Union pour la Méditerranée. Secondo invece un sondaggio Gallup per l’Organizzazione mondiale del lavoro, in Egitto il 55% degli uomini preferisce che le donne stiano a casa a fare i mestieri piuttosto che andare a lavorare fuori e percepire uno stipendio, mentre in Italia la pensa così solo il 9% dei padri e dei mariti. Ecco perché celebrare l’8 marzo ha ancora la sua importanza: ci sono Paesi, nel mondo, in cui c’è ancora molta strada da fare.