
Un «contratto territoriale» contro lo spopolamento. Un patto tra dieci sindache e sindaci per migliorare la qualità della vita e aprire la comunità all’esterno, rendendola più attrattiva. Una sfida per ricostruire fiducia nella collaborazione e nelle relazioni. Mercoledì 10 dicembre al WeGil di Roma, durante l’evento “L’Atlante per il futuro”, sarà firmata l’intesa “Energia, Clima & Società”, a coronamento della Green Community costituita nel luglio 2022 nell’ambito del progetto IN.Alta Sabina (Intelligenza Naturale Alta Sabina) finanziato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per rilanciare l’area laziale in provincia di Rieti. Obiettivo: aumentare del 5% l’indice della popolazione residente entro il 2035, che oggi nella zona è di quattro punti inferiore alla media nazionale (-4,2% contro -0,3%).
Fare della natura una leva economica e sociale
I Comuni interessati sono Belmonte in Sabina, Colle di Tora, Longone Sabino, Marcetelli, Monteleone Sabino, Poggio Moiano, Poggio San Lorenzo, Rocca Sinibalda, Torricella in Sabina e Varco Sabino. Come tutte le aree interne, soffrono la lontananza dai servizi essenziali, dalle scuole agli ospedali, la difficoltà degli spostamenti, la distanza dai grandi centri economici. Gli abitanti rimasti sono 7.500. Ma dalla loro hanno magnifici paesaggi naturali, incastonati tra il fiume Tevere e i Monti Sabini, paesini medievali, castelli, l’oro verde ben noto agli Antichi Romani. «L’ulivo nasce plebeo e diventa nobile in Sabina», scriveva Marco Porcio Catone “il Censore” nel suo De agri cultura. Il cuore del progetto è rappresentato da 23 Cup (Codici unici di progetto) che coprono tutti i nove ambiti previsti dal bando Pnrr Green Communities, al centro dei quali ci sono i servizi ecosistemici territoriali, i benefici spesso invisibili offerti dalla natura: aria pulita, biodiversità, paesaggio, benessere, fertilità del suolo, regolazione del clima. In gioco, la scommessa di farne una leva economica e sociale.

Una sociologa del territorio alla guida del progetto
A guidare le danze, nel ruolo di direttrice scientifica, c’è Elena Battaglini, sociologa del territorio, da trent’anni attenta osservatrice degli effetti dello sviluppo sugli spazi e sull’ambiente e convinta fautrice dell’approccio “community-led local development”, che punta sull’empowerment delle comunità e sulla valorizzazione dei saperi locali, spesso dispersi o non riconosciuti, contro lo spopolamento. «Il nostro lavoro – spiega ad Alley Oop – Il Sole 24 Ore – ha riguardato nove diverse dimensioni della sostenibilità di queste aree, nove aspetti di sostenibilità integrata, perché il tema della sostenibilità spesso si traduce solo nel monitoraggio di indicatori Esg, mentre in realtà abbraccia la qualità della vita, dell’ambiente, delle risorse. Abbiamo lavorato in Alta Sabina con dieci Comuni di un’area di crisi industriale complessa, in cui il tema dello spopolamento è davvero molto importante. Interveniamo con 23 diverse iniziative che spaziano dalle tecnologie civiche alla mobilità sostenibile, dall’economia circolare all’agricoltura biologica e sostenibile».
La battaglia contro il «sospetto rancoroso» e la chiusura al nuovo
Ma l’innovazione, secondo Battaglini, sta nel metodo. «Abbiamo lavorato proprio sul campo da gioco in cui operano questi sindaci, partendo dalla tendenza di fondo ravvisabile in tutte le comunità marginali: sono innanzitutto comunità impaurite che, sfidate più di altre da problemi complessi, tendono a chiudersi a riccio in comfort zone che appaiono impenetrabili». Una chiusura rassicurante all’altro, al diverso, all’innovazione e al cambiamento, da cui non sono immuni neppure le grandi città, ma che spesso per i piccoli centri diventa condanna. «Il nostro primo impegno – continua la sociologa – è stato quindi indirizzato a far fare esperienza del valore aggiunto della collaborazione, potente antidoto per vincere quello che definiamo il “sospetto rancoroso” che genera muri nei confronti degli altri e divisioni, quasi tribalismi, all’interno delle stesse comunità. Abbiamo lavorato per far capire che uno più uno più uno, fino a dieci, fa molto più di dieci».
Il codesign partecipativo
La tecnica del “codesign partecipativo” sperimentata in Alta Sabina consiste proprio in questa rivoluzione: non una semplice “progettazione partecipata”, che troppo spesso nasconde decisioni calate dall’alto, ma una cooperazione ad ampio spettro con i sindaci, con gli stakeholder, con le 15 grandi e piccole imprese coinvolte che ha permesso di superare le resistenze alle innovazioni. «Tutti abbiamo imparato moltissimo integrando le nostre competenze», racconta Battaglini. «Il segreto sta nell’aver saputo valorizzare i saperi taciti degli altri. È la via maestra perché in territori come questi le pratiche tradizionali non restino parole vuote».
La nuova comunità passa da un nuovo patto sociale
Da questo «mindset di rigenerazione» risorge un senso di comunità fatto di tutela delle radici e contemporanea apertura al nuovo, perché basato sulla costruzione di fiducia. Da qui il «contratto territoriale», ideato sulla scia di altri contratti europei sul clima. Un patto che è anche sociale e punta a rendere i borghi dell’Alta Sabina attrattivi in primo luogo per giovani coppie e nuovi nuclei familiari. «Stiamo assistendo a un nuovo ruralismo – riconosce Battaglini – e questa area è certamente piccola, ma è a un’ora da Roma Nord e da Fiumicino. Molti di questi piccoli paesi hanno la fibra. Sono l’ideale per i nomadi digitali e le famiglie, per le persone deluse dai sistemi educativi scolastici che incontriamo nelle città, ma anche per gli anziani che vanno in pensione. Spesso non sono anziani nel modo in cui abbiamo scelto di tematizzarli – malati e disabili – ma sono attivi, vogliono socialità, vogliono occuparsi di ciò che le biografie incastrate nel lavoro tutta la vita non gli ha concesso di avere. E vogliono farlo tra di loro in luoghi belli. Queste aree sono di una bellezza infinita, tra laghi, boschi e monti. Non borghi bomboniera, ma borghi comunità».
«La donnità di cucire relazioni»
Nella realizzazione del progetto, un ruolo speciale è giocato dalle donne. «Ne ho incontrate di straordinarie», conferma la sociologa. «Spesso dirigono le pro loco, e in un clima da “si salvi chi può” sono il collante, le vere cerniere dello stare assieme. Organizzano feste che uniscono e aiutano ad andare oltre il limite. Anche le donne nel team di progetto sono state preziose per il lavoro sistemico che abbiamo svolto. Sarà per lo sforzo quotidiano di tenere insieme tutto – casa, famiglie e lavoro – ma possiamo parlare di una “donnità” di cucire relazioni che fa la differenza». In Sabina lo sanno bene: la guerra tra Romani e Sabini innescata dal celebre “ratto delle Sabine” si concluse quando le donne Sabine si gettarono tra i due eserciti per fermare il combattimento, portando all’unione dei popoli. Un mito di fondazione che parla del potere femminile di portare pace e concordia.
Una app per scambiare servizi volontari
Umanità, ma anche tecnologia. Perché tra le tecnologie civiche su cui il progetto IN.Alta Sabina punta c’è un portafoglio digitale in blockchain che servirà a scambiare servizi volontari. Dice Battaglini: «Sarà una app con le principale infrastrutture viarie e con la mappa dei cammini, a cui ne abbiamo aggiunto uno che interseca i tre religiosi esistenti. Attraverso l’applicazione gli utenti, residenti o turisti, potranno scambiare passaggi, per esempio, verso Roma o verso Rieti. Chi offre guadagna “monete” che a sua volta potrà spendere per altri servizi all’interno della comunità. È un altro esempio di come sia possibile investire sulla collaborazione. Una comunità accogliente con sé stessa sa anche accogliere il turista e il pellegrino».
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