
Più di un’azienda su cinque (21%) tra quelle che hanno ottenuto la certificazione per la parità di genere è lombarda, e quasi la metà sono micro (11%) o piccole imprese (38%). Un impegno non solo “da grandi” aziende, quindi, e motivato solo in parte (17,8% dei casi) dalle premialità, come rivela la ricerca “La Certificazione della Parità di Genere in Lombardia” commissionata dalle consigliere di parità di Regione Lombardia all’università degli studi di Brescia.
Le aziende lombarde in prima linea
La ricerca – che è unica nel suo genere, in attesa di dati nazionali – evidenzia come la Lombardia con 1.788 imprese, sia la prima regione per certificazioni di parità di genere – anche grazie ai finanziamenti concessi – seguita dal Lazio (1548 imprese) e “a distanza” da Campania (902 imprese), Emilia-Romagna (571 imprese) , Puglia ( 531 imprese) e Veneto (513 imprese).
A livello nazionale la certificazione si è rivelata uno strumento apprezzato non solo dalle grandi, ma anche dalle micro (13%), le piccole (38%) e le medie aziende (21%). Un trend confermato anche a livello regionale lombardo: più di un’azienda su tre (38%) ha tra i 10 e i 49 dipendenti e il 23% è nella fascia tra i 50 e i 125 addetti, ma non mancano neanche le micro-imprese (11%), con “un interesse diffuso, che coinvolge imprese di tutte le dimensioni, e non esclusivamente le grandi”.
Le aziende milanesi da sole (1039) rappresentano il 60% delle imprese certificate in Lombardia, seguita a distanza da Brescia (212), Bergamo (141) e Monza e Brianza (99), un dato che riflette «la densità imprenditoriale – si legge nello studio – e la disponibilità di servizi di supporto e alla maturità organizzativa delle imprese presenti sul territorio».
Costruzioni e Manifatturiero i più “attivi”
In linea con i dati nazionali, anche il Lombardia sono i settori industriali come costruzioni e manifatturiero quelli con il maggior numero di certificazioni, a conferma di come abbia incontrato «maggiore adesione nei settori già più strutturati sul piano organizzativo e normativo, oppure in quelli in cui la pressione reputazionale, la concorrenza o l’accesso a bandi e appalti rappresentano leve strategiche. Tuttavia – si legge nel rapporto – l’eterogeneità settoriale delle imprese certificate suggerisce una crescente consapevolezza trasversale sul valore della parità di genere anche in comparti non tradizionalmente sensibili al tema».
Un circolo virtuoso: più donne, più equità
A livello lombardo le imprese certificate mostrano una maggiore incidenza dell’occupazione femminile (43,43%) rispetto a quelle non certificate (38,57%), con un divario particolarmente evidente tra dirigenti (24,17% rispetto al 17,36% delle non-certificate) e quadri (32,08% rispetto al 27,67%) «a conferma – spiegano le ricercatrici – di una correlazione positiva tra certificazione e rappresentanza femminile anche nei ruoli apicali e intermedi».
E anche per quanto riguarda il divario salariale di genere, quelle certificate hanno un gender pay gap mediamente inferiore rispetto alle imprese non certificate, in tutte le componenti retributive considerate: monte retributivo complessivo (18% rispetto a 20%), paga base (14% rispetto a 15%) e componenti accessorie (32% rispetto a 38%). Le differenze si fanno più marcate nelle componenti accessorie, in particolare tra dirigenti (20% rispetto a 28%) e tra operai/e (48% rispetto a 51%), suggerendo – si legge nel rapporto – che le imprese certificate tendono a distribuire in modo più equo premi e incentivi, definendo processi gender-neutral e più meritocratici.
Pay gap, genitorialità e crescita gli snodi della certificazione
Certo, la certificazione è un processo lungo e complesso: solo un’azienda su cinque (21,4%) tra quelle lombarde non ha riscontrato difficoltà durante il percorso. E tra quelle che ammettono la complessità della scelta (78,6%), gli snodi principali riguardano l’equità remunerativa (22,1% ), i carichi di cura (21,5%) e la crescita professionale (20,3%).
Il bilancio finale è comunque positivo: la maggior parte delle imprese certificate ha percepito un impatto, sopratutto attraverso miglioramenti tangibili nelle sei aree di analisi della Prassi di riferimento, o PdR 125 (cultura es strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita, equità remunerativa e tutela della genitorialità).
Interessante notare che c’è una chiara differenza nella percezione tra le imprese che hanno partecipato al bando regionale lombardo e quelle che non vi hanno aderito: le prime hanno una visione più positiva e la considerandola uno strumento per innovare la gestione delle risorse umane, migliorare la reputazione aziendale e introdurre un sistema strutturato, paragonabile ad altri standard gestionali.
«Questa distanza – spiega la ricerca, coordinata dalla professoressa Mariasole Bannò – evidenzia la correlazione positiva del bando con la consapevolezza e suggerisce la necessità, per le istituzioni, di rafforzare comunicazione e percorsi informativi per ampliare l’adesione e valorizzare l’impatto della misura».
Trasformare la PdR125 in standard ISO
Oltre alla semplificazione delle procedure e agli incentivi economici, le aziende del campione analizzato chiedono un riconoscimento più esplicito della Certificazione come strumento strategico per la competitività. Questo implica non solo un maggiore allineamento con i criteri ESG, ma anche l’inclusione della Certificazione nei sistemi di valutazione delle imprese, attraverso la sua standardizzazione come norma ISO. Un tavolo istituzionale in questo senso è previsto e le consultazione dovrebbero partire a breve.
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