
Prima di diventare ceo di Iris Ceramica Group, Federica Minozzi da quella stessa azienda si è licenziata. «Non è stata una scelta facile, ma è stata l’unica possibile. Solo rompendo, sono riuscita a ricostruire» – racconta. Iris Ceramica è un gruppo da oltre 400 milioni di euro di fatturato, presente in più di 100 Paesi dalla Germania agli Stati Uniti, con 1500 dipendenti, di cui 800 in Italia. Una realtà simbolo del distretto della ceramica di Sassuolo, nata dall’intuizione del padre di Federica, Romano Minozzi, nel 1961. Un uomo con cui l’imprenditrice è riuscita a trovare un equilibrio solo dopo un doloroso distacco.
Le ragioni della rottura
«Ero in azienda già da qualche anno, avevo tante idee innovative da cui era nata una vera e propria divisione di brand. Avevo portato già ottimi risultati, ma mio padre non si accorgeva di me. Era come se fossi invisibile. E non solo lui: molte altre persone in azienda mi guardavano con pregiudizio. Ero troppo giovane, troppo carina, troppo bionda, troppo “figlia di”, per poter meritare rispetto e considerazione. Così, sono andata via» confida l’imprenditrice.
Per due anni, è rimasta distante dall’azienda di famiglia. Ha lavorato come traduttrice per l’Ospedale di Modena, cresciuto i suoi due figli (un ragazzo e una ragazza) e affrontato un percorso di psicoterapia. «È stato un periodo molto difficile, segnato da attacchi di ansia e momenti di smarrimento, ma fondamentale. Mi sono messa in discussione, ho capito che troppo spesso avevo anteposto l’emotività all’empatia. Ho iniziato a vedere le cose secondo una prospettiva diversa. Soprattutto, ho imparato l’importanza dell’ascolto attivo».
Una competenza che le ha permesso di comprendere meglio il padre: «Ho iniziato a vedere “l’uomo”, non più “il capo”, con le sue stanchezze, le sue paure, le sue preoccupazioni. E ho capito che non tutto era stato fatto “contro di me”, tanto che ho deciso di tornare in azienda».
La strada dell’innovazione
Federica Minozzi ha chiesto di poter ricominciare lì dove si era interrotto il suo percorso: da quella divisione che le aveva fatto tanto battere il cuore. «Se faccio questo lavoro, è perché mi sono innamorata del materiale che trattiamo: la piastrella – spiega – è sempre stata percepita come un prodotto economico ma io ho sempre creduto che avesse grandi potenzialità, tanto da poter fare concorrenza ai marmi naturali». Puntando sulla ricerca e sullo sviluppo, ha creato una ceramica tridimensionale, più resistente, personalizzabile e interattiva, capace di comunicare sia con le persone che con le aree domotiche degli edifici.
«L’innovazione procede per tentativi, ma quando sono rientrata in azienda mi sono trovata di fronte la crisi della Lehman Brothers del 2008 che aveva avuto pesanti ripercussioni su tutto il settore edile. Per questo, ho studiato minuziosamente i progetti e investito in quelli che avevano una maggiore possibilità di andare a buon fine. Così ho contenuto il rischio del fallimento e la divisone è cresciuta tanto da essere oggi una parte centrale del Gruppo».
Rompere gli stereotipi
Nulla di tutto questo sarebbe successo, secondo Minozzi, se non avesse avuto il coraggio di rompere con l’azienda. E al tempo stesso, di tornare sui suoi passi. «Non dobbiamo avere paura di cambiare idea: il cambiamento è parte della vita, ma spesso finiamo per ricreare schemi rigidi e perpetuiamo eterni stereotipi».
I primi tempi, ad esempio, non sentendosi accettata, si “mimetizzava”. «Mi vestivo da uomo, con tanto di cravatta, perché ero sicura che le altre persone mi avrebbero rispettata di più. Poi ho compreso che l’autenticità mi avrebbe salvata. – ammette la ceo – Avrei dovuto accettare me stessa così com’ero e di conseguenza mi avrebbero accettata anche gli altri». Anche suo padre, che riconoscendo in lei uno spirito rinnovato, ha scelto di lasciarle la guida del gruppo.
La leadership che si ispira all’essere madre
Il passaggio generazione è coinciso, per altro, con il cambiamento di molte prime linee che per anzianità hanno lasciato il posto a una nuova generazione di manager. «Mi piace lavorare con persone curiose, che abbiano voglia di mettersi in gioco e di lavorare in team multidisciplinari. Credo nella leadership condivisa: credo sia l’unico modo per riuscire a guidare un’azienda in una situazione complessa come quella che viviamo oggi. Inoltre – assicura – essere mamma è senza dubbio un punto di forza: con la maternità impariamo a essere empatiche e resilienti, a mediare e negoziare, a riconoscere i talenti e ad allenare la pazienza».
L’azienda ha ottenuto la certificazione per la parità di genere nel 2023 ma, secondo la ceo, il percorso da fare per godere di pari opportunità a livello sociale è ancora lungo: «Dobbiamo educare sia le donne che gli uomini: le prime, spesso si auto sabotano perché sono figlie di una cultura che non le rende consapevoli del loro potenziale; i secondi, si occupano ancora solo in piccola parte delle responsabilità familiari e di cura, perpetrando modelli sociali e lavorativi anacronistici, anti-economici e profondamente diseguali. Vorrei vedere molti più papà prendere il congedo senza paura del giudizio dei pari».
Quanto al futuro, le piacerebbe dare continuità alla dimensione familiare del gruppo, ma i suoi due figli, per ora, non hanno ruoli in azienda: «La mia esperienza – conclude – mi ha insegnato che riusciamo a decidere chi davvero vogliamo essere, solo se siamo libere. Libere anche di poter dire “no”».
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