A chi non è mai successo di sentirsi poco adeguato per ricoprire un particolare ruolo lavorativo? Vale anche il contrario, ovvero ci si può sentire più qualificati rispetto al ruolo che si ricopre. Il fenomeno è definito come skills mismatch e sta ad indicare il divario che si trova tra le competenze cercate dalle aziende e quelle che posseggono le persone che ricoprono una determinata posizione lavorativa.
Sentiamo così spesso parlare di quante persone qualificate manchino all’appello nella ricerca di collaboratori da parte delle aziende. A riguardo Boston Consulting Group (BCG), ha pubblicato un report “Alleviating the Heavy Toll of the Global Skills Mismatch | BCG che evidenzia come oltre 1,3 miliardi di lavoratori risultino essere poco qualificati, o viceversa eccessivamente preparati, per il lavoro che svolgono.
Chi manca all’appello?
Sebbene entrambe le posizioni di mismatch “in positivo e in negativo” appaiano molto significative, ci si concentra con maggiore frequenza sulla mancanza di preparazione rispetto alle richieste del mercato. L’Organizzazione per la Cooperazione e per lo Sviluppo Economico (Ocse) sottolinea come in Italia il 38,5% dei lavoratori ricopra un ruolo pur non avendo un titolo di studio addeguato a quello richiesto e come il 36,5% delle persone che lavorano siano impiegate in un settore differente rispetto a quello per il quale si sono preparate. Questo fenomeno è diffuso maggiormente tra i giovani che si avvicinano al mondo del lavoro e porta con se due considerazioni:
– Nel nostro Paese, in base alle stime riportate, quasi 10 milioni di persone non hanno le competenze in linea con le richieste di un mercato che cambia costantemente
– Oltre 4 aziende italiane su 10 non trovano profili pronti per le sfide che intendono affrontare.
Il crescente grado di digitalizzazione, la necessità di lavorare da remoto e la velocità delle scoperte tecnico scientifiche hanno aumentato la complessità delle sfide per poter preparare una forza lavoro che risponda alle richieste del mercato.
Le imprese, quindi, devono affrontare sia il tradizionale divario di competenze, causato ad esempio dall’indisponibilità di un numero sufficiente di candidati preparati a coprire i posti vacanti, sia uno squilibrio di competenze, in cui le competenze delle persone facilmente “invecchiano” e non sono quelle necessarie per esser al passo coi nuovi lavori.
Lavoratori plug and play
In questo contesto il sogno di ogni azienda rimane quello di trovare dei giovani lavoratori “plug and play” ossia pronti da subito a sostenere le sfide proposte dal mercato.
Troppo spesso, però, ci si attende che una risposta a questa domanda venga dalla preparazione scolastica, quando forse sarebbe opportuno avere consapevolezza del peso della formazione all’interno delle imprese, anche nel “trasformare” competenze scolastiche in modo da renderle più rispondenti alla realtà aziendale specifica. Anche perché il sistema scolastico italiano non è flessibile e veloce tanto da poter rispondere in modo tempestivo ai cambiamenti del mondo del lavoro.
La formazione nello sport
Una delle cose più belle che la pallanuoto, sport in cui sono stato giocatore, allenatore e direttore sportivo nelle massime serie dei campionati italiani e stranieri, mi ha insegnato è che i “grandi” risultati arrivano con squadre che diventano “grandi”. Le squadre che vincono raramente trovano giocatori “plug and play“; anzi ogni società lavora sulla preparazione teorica, tecnica e tattica dei propri dirigenti, allenatori e preparatori, e anche su quella fisica e sportiva per i propri giocatori.
Parlando con l’ex allenatore del settore giovanile della Serbia, Predrag Zijmonic, è emerso un fattore fondamentale: per quanto i club privati preparino i giocatori che vengono chiamati in nazionale, il selezionatore non trova mai giocatroi già pronti per il campo internazionale, ed attraverso il suo staff deve formare tecnicamente e tatticamente gli atleti per il livello al quale vuole farli giocare. Quelli selezionati sono i migliori di tutta la Serbia pallanuotistica, ma non per questo sono già pronti per il salto in Nazionale.
La formazione in azienda
Allo stesso modo, per far fronte a questo tema, appare fondamentale per le aziende non limitarsi a stimolare le università e le scuole contribuendo a rendere la preparazione delle risorse in entrata la migliore possibile. Lo sport dovrebbe insegnare: allenamento e formazione tecnica e tattica deve essere il centro nelvralgico della loro crescita come imprese. E per farlo si può puntare su:
- un’organizzazione che dia alle persone che assume i mezzi per minimizzare i tempi di preparazione non perdendo di efficacia e qualità.
- una chiara lettura delle capacità comportamentali tra le quali non può mancare la “learning orientation”
- una chiara condivisione di brand e valori che permetta una adesione delle risorse che hanno reale motivazione a mettesi in gioco e ad imparare con l’azienda.
Skill mismatch
Partiamo dal primo aspetto. Uso ancora una volta una metafora sportiva: durante il mio percorso ho avuto la fortuna di collaborare con società e vivai in gara per titoli nazionali importanti. Queste squadre riescono ad attrarre i giovani più promettenti da altre piccole società che concorrono per obiettivi “minori”. Come per la nazionale prima citata, nessuno dei giovani atleti che si sposta verso progetti più complessi arriva nella nuova società già preparato con tutte le caratteristiche tecniche, fisiche e comportamentali che consentono di competere in campionati superiori. Anche nello sport esiste lo skill mismatch.
Le squadre più attrattive che riescono a farsi scegliere dai giovani più talentuosi hanno la responsabilità e il dovere di rendere questi giovani atleti preparati per essere competitivi nei nuovi campionati. L’organizzazione che costruiscono permette loro di potenziare i talenti a disposizione tarando la preparazione sulle reali caratteristiche e sul livello di arrivo degli atleti. La preparazione si costruisce “facendosi amico” lo skill mismatch e modulando l’allenamento per ognuno degli atleti. Le aziende devono massimizzare questa esperienza proveniente dal mondo sportivo e creare percorsi di ingresso (induction) fortemente motivanti e il più possibile personalizzati; questo consentirà di ottimizzare la voglia di apprendere degli assunti e l’efficacia della formazione.
Learning orientation
La crescita delle risorse è sicuramente sostenuta dalla “learning orientation”, predisposizione ad apprendere. La capacità di apprendere è sicuramente una skill che appare diversa in ogni lavoratore. Un fattore che però sostiene e rende più efficace questa voglia di imparare è sicuramente la motivazione data dall’adesione ai valori che fa sentire le persone di essere “nel proprio posto”, ossia nel luogo più coerente con se stessi.
Condivisione dei valori d’impresa
Il terzo punto sopra elencato si lega pertanto al secondo: scegliere le persone giuste non è solo ottenere le competenze e le capacità che servono, bensì è puntare su persone che siano motivate dall’apprendere ed imparare in una realtà di cui condividono profondamente ideologie e modi di agire. In una scelta che genera soddisfazione reciproca per reale adesione di valori ci sarà maggior motivazione ad apprendere e crescere velocemente assieme.
Per questa ragione, quando la preparazione dei candidati appare non del tutto idonea alle esigenze, la scelta va fatta cadere su persone che siano realmente allineate a ciò che il brand che le sceglie rappresenta e che siano pertanto più predisposte a mettersi in gioco e a dar tutto per apprendere in maniera efficace ed efficiente.
Proprio in questo senso una predisposizione organizzativa che tutela e sostiene la crescita rapida delle persone, la capacità di attrarre talenti facendo riconoscere i propri valori e promuovendone l’adesione e la possibilità di motivare le risorse ad apprendere facilitata dalla condivisione del “credo” appaiono i fattori fondamentali su cui le aziende possono puntare per superare lo skill mismatch.
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