Ma davvero il cervello ha “un sesso”?

Che gli uomini vengano da Marte e le donne da Venere – per utilizzare il titolo del bestseller di John Gray del 2008 – è un dato di fatto: uomini e donne hanno modi diversi di pensare, di parlare, di amare. Ma – al di là dei luoghi comuni – ne siamo proprio sicuri? Ci sono davvero differenze di genere in come funziona il nostro cervello? Lo abbiamo chiesto a Michela Matteoli, direttrice dell’Istituto di Neuroscienze del CNR, docente di Farmacologia presso Humanitas University e responsabile del Neurocenter di Humanitas Research Hospital.

Sfatiamo il mito: ci sono davvero differenze di genere in come funziona il nostro cervello?

Questo argomento è stato dibattuto per anni, suscitando forti contrasti all’interno della comunità scientifica. A parte minime differenze in termini di peso e dimensione, non sembrano esistere grosse differenze a livello strutturale. Al momento l’idea condivisa è che cervelli “maschili” o “femminili” siano molto rari, e che invece ogni cervello sia un mosaico di caratteristiche. Ogni cervello è unico, e le differenze tra individui dello stesso sesso sono così importanti che finiscono per prevalere su quelle tra sessi diversi. Ovviamente differenze più sottili possono esistere tra maschi e femmine a livello di assetto neuro-ormonale, per esempio.

C’è stata una ricerca che ha fatto scalpore perché ha evidenziato un diverso funzionamento dei neuroni nel cervello maschile e femminile: giusto o sbagliato? E’ stata poi confermata o smentita?

Le teorie sulle differenze emisferiche tra uomini e donne, per esempio nel linguaggio, risalgono ad almeno trent’anni fa. Forse però uno dei lavori scientifici che più ha influenzato l’opinione pubblica è uno studio del 2014 che utilizzava una tecnica avanzata il tensor diffusion imaging (trattografia) per analizzare le connessioni nel cervello. In questo studio i ricercatori hanno riportato che gli uomini hanno più connessioni all’interno dello stesso emisfero cerebrale, connessioni che vanno dalla parte posteriore a quella anteriore del cervello. Le donne invece mostravano una connettività più sviluppata tra i due emisferi cerebrali.

Gli autori concludono che i maschi hanno maggiormente attivi i circuiti che collegano direttamente la percezione all’azione mentre i circuiti nelle femmine sarebbero tali da facilitare l’integrazione tra il ragionamento e l’elaborazione intuitiva delle informazioni. Gli autori concludono dicendo che “ la complementarità comportamentale tra i due sessi è basta su substrati neuronali”. Questi dati non sono stati confermati da studi più recenti, condotti su numeri maggiori di soggetti, e soprattutto di diverse età. Anche le meta-analisi basate sulle conclusioni di tutti gli esperimenti pubblicati nella letteratura scientifica, che analizzano migliaia di uomini e donne, mostrano che non esiste una differenza statistica significativa tra i cervelli dei due sessi.

Nell’immaginario collettivo ci sono predisposizioni di genere verso alcuni sport, alcuni ruoli e anche attitudini: l’uomo più asserivo, là donne più diplomatica per esempio. Cosa c’è di vero?

Questo non ci stupisce: il nostro cervello è estremamente plastico, cioè si modifica in relazione agli stimoli esterni. Si parla di plasticità cerebrale. Inoltre, la maggior parte delle connessioni cerebrali (le sinapsi) si formano dopo la nascita, mentre il processo di rifinitura dei circuiti cerebrali si protrae addirittura fino oltre i 20 anni di età. L’ambiente quindi contribuisce alla costruzione dell’architettura cerebrale, e ha un ruolo molto importante per lo sviluppo neuro-psicologico.

E’ pertanto ovvio che il cervello risenta dell’influenza esercitata da famiglia, istruzione, cultura e società, soprattutto nei primi 10-15 anni di vita, quando il cervello è ancora in fase di formazione. Gina Rippon, docente all’Aston University di Birmingham, è tra le più importanti sostenitrici del concetto che le differenze di comportamento sono causate dal fatto che la società bombarda il cervello con stereotipi, e definisce “neuro-sessismo” la volontà di trovare differenze biologiche nei cervelli dei due sessi, tali da spiegare le differenze comportamentali.

Alla luce di quanto ci hai raccontato, non esistono quindi stili di leadership maschili o femminili, corretto?

Su questo non sarei del tutto sicura. Anche se ormai siamo abbastanza certi che non esistano differenze rilevanti nella struttura dei cervelli maschili e femminili, molti aspetti sono diversi tra i due sessi: gli ormoni, per esempio, e il sistema immunitario. Inoltre, anche in conseguenza di educazione e cultura, come abbiamo detto prima, i comportamenti finiscono per essere in parte diversi. Queste differenze possono anche manifestarsi in diversi stili di leadership. Per quella che è la mia esperienza, molte donne leader (anche se ovviamente non tutte) tendono a potenziare e valorizzare il lavoro di squadra, la trasparenza e il confronto positivo. Ritengo che questo sia un grande valore aggiunto che non deve essere perso.

Se chiariamo che non ci sono differenze di genere nel funzionamento del cervello, ci possiamo anche finalmente liberare di una serie infinita di stereotipi. Ma quanto pesano i condizionamenti sociali che ci fanno credere che ci siamo?

Dobbiamo liberarci di questi stereotipi. Dati raccolti negli anni 90 hanno mostrato che i ragazzi ottenevano risultati migliori in matematica rispetto alle ragazze, ma lo stesso sondaggio più recentemente ha mostrato che le ragazze ottenevano lo stesso risultato dei ragazzi. Lo sviluppo dell’istruzione scientifica, la crescente diversità dei campi scientifici e il parziale superamento di alcuni stereotipi stanno cambiando lo scenario.

Le ragazze ottengono buoni risultati nei test di matematica, e in alcuni stati del nord Europa le ragazze superano i ragazzi. Non è più accettabile sostenere le differenze biologiche tra i sessi per giustificare la diversa distribuzione di uomini e donne nella società. Piuttosto invece, continuiamo a studiare i cervelli maschili e femminili per comprendere meglio perché alcune patologie come l’autismo o la schizofrenia, siano prevalenti nei maschi mentre la malattia di Alzheimer sia più frequente nelle donne, e non per trovare una base biologica a assurdi stereotipi di genere.

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