Il tempo della comunicazione è tempo di cura, anche in azienda

Se mi prendo cura di te, si presuppone che tu abbia la mia attenzione. Tuttavia, la cura implica qualcosa in più: necessita di interessamento e riguardo nel tempo. È un concetto che indica un processo più che un’azione e che ha squisitamente a che fare con l’aprirsi all’altra persona.

Aver cura significa avere a che fare. L’attenzione, anche diligente, può essere una registrazione squisitamente meccanica e chiusa, come un occuparsi. La cura invece non solo si interessa, ma partecipa.

Si legge sul sito del progetto Una parola al giorno, che si occupa di far riscoprire termini poco conosciuti o quotidianamente usati, ma di cui si ignora etimologia e significato profondo.

Intesa in questi termini, la cura ci appare subito come qualcosa di stratificato e complesso, che ci restituisce la difficoltà che spesso si ha nell’applicarla. Richiede infatti tempo e devozione, due aspetti che frequentemente mancano nella relazione con l’altro.

Prendersi cura assume poi plurime forme: è facile che sovvenga alla mente la cura materna o genitoriale, l’attività di caregiving, l’attenzione che si pone nei confronti di persone, attività o anche oggetti a cui si tiene e così via. In questo insieme, manca però spesso l’atto di comunicare.

Eppure, il tempo della comunicazione è tempo di cura. Un concetto estremamente potente, sancito dalla legge 219/2017 relativa alle norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. E, ancor prima, presente nell’articolo 20 del Codice di deontologia medica.

All’interno della pratica medica – ma anche di quella psicologica – la cura del paziente comincia infatti dalla prima parola che si scambia con lui. Tuttavia, la chiarezza espositiva, l’utilizzo di domande e l’ascolto attivo, sono esempi di buone prassi che spesso vengono sottovalutate. Non solo in ospedali e studi privati.

Anche nelle aziende, infatti, la comunicazione spesso è manchevole, ambigua, se non confusa. Secondo recenti stime, l’86% delle persone ritiene che la mancanza di collaborazione e comunicazione efficaci sia la principale causa di errori.
Nei contesti organizzativi – in quanto scenari relazionali – il tempo di comunicazione dovrebbe dunque essere inteso come tempo di cura e, dunque, favorito e promosso.

Negli ultimi anni viene posta moltissima enfasi sul People Caring, dimenticando però che il primo passo per azioni virtuose in tal senso dovrebbe essere quello di garantire il giusto tempo e il giusto spazio all’ascolto, al dialogo e al feedback. Se un manager investe parte della sua giornata a parlare con le sue persone, significa che si sta dedicando a loro, che si sta prendendo cura di loro. In definitiva: che sta svolgendo il suo lavoro. Invece, molto spesso il tempo di comunicazione viene interpretato come tempo perso, sacrificabile sull’altare dell’operatività, delle urgenze, delle richieste provenienti dall’esterno.

Se tuttavia la pratica medica ci insegna che non può esserci cura – e quindi anche successo nella terapia – senza il giusto spazio dato alla comunicazione, dovremmo interrogarci. A livello organizzativo, può infatti esistere reale e duratura efficacia nella performance senza adeguato tempo per la relazione?

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com