In Italia un minore su 15 ha avuto esperienze di lavoro

In Italia 336 mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni (6,8%, quasi 1 minore su 15) hanno avuto esperienze di lavoro. La stima è di Save the Children, che con il report “Non è un gioco” prova a tracciare il quadro del coinvolgimento di ragazzi e ragazze in attività lavorative prima dell’età consentita per legge (16 anni).

Quando si parla di lavoro minorile, è fin troppo facile immaginare scenari e Paesi lontani, che non riguardano direttamente la realtà italiana. È vero che in Italia la legge stabilisce la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 16 anni, avendo assolto l’obbligo scolastico che corrisponde a un totale di 10 anni. Eppure già nel 2013 Save the Children testimoniava che i minorenni tra i 7 e i 15 anni che avevano sperimentato un lavoro prima dell’età legale consentita nel Paese erano circa 340.000. Quasi il 7% della popolazione di riferimento.

Una seconda ricerca condotta nel 2014 in collaborazione con il Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità, aveva poi evidenziato che il 66% degli adolescenti coinvolti nel circuito penale aveva svolto attività lavorative prima dei 16 anni.

A quasi 10 anni di distanza, Save the Children diffonde i dati di una nuova indagine sul lavoro minorile in Italia, svelando il rapporto diretto tra questo fenomeno e la dispersione scolastica: il 27,8% dei 14-15enni che dichiarano di aver avuto un’esperienza di lavoro, è stato coinvolto in attività lavorative svolte in maniera continuativa in orario scolastico, oppure in orari notturni o, ancora, percepite dagli stessi intervistati come dannosi per il proprio benessere psicofisico. Si tratta di circa 58.000 adolescenti. Quasi 1 su 3 (29,9%) lavora nei giorni di scuola; tra questi il 4,9% salta le lezioni per lavorare. La percentuale di minori bocciata durante la scuola secondaria di I o di II grado è quasi doppia tra chi ha lavorato prima dei 16 anni rispetto a chi non ha mai lavorato. Più che doppia la percentuale di minori con esperienze lavorative prima dell’età legale consentita che hanno interrotto temporaneamente la scuola secondaria di I o II grado, rispetto ai pari senza esperienze lavorative.

“Non è un gioco”

La ricerca “Non è un gioco”, è un’indagine quantitativa condotta da Save the Children in collaborazione con la Fondazione di Vittorio su un campione rappresentativo: tra dicembre 2022 e febbraio 2023 sono stati compilati 2080 questionari da ragazze e ragazzi di età compresa tra 14 e i 15 anni in 72 scuole campione. La maggioranza dei minori che dichiara di aver lavorato ha iniziato dopo i 13 anni (53,8%), il 6,6% prima degli 11 anni.

Circa due terzi dei minorenni che hanno sperimentato forme di lavoro sono di genere maschile (65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio. Tra i motivi che li spingono a intraprendere percorsi di lavoro, ci sono l’avere soldi per sé (56,3%), la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori (32,6%); non trascurabile è la quota di chi afferma di lavorare per il piacere di farlo (38,5%).

I settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Ma emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Nel periodo in cui lavorano, più della metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.

Il livello di istruzione dei genitori, in particolare della madre, è significativamente associato al lavoro minorile. La percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare o media è più alta tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro, un dato che deve far riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione.

Perché i minori lavorano?

In parallelo alla ricerca, sono state realizzate indagini a livello territoriale, tramite interviste singole o di gruppo e video reportage, un insieme di casi e storie che restituiscono la grande eterogeneità delle situazioni legate al fenomeno. “Lavoravo no-stop, dalla mattina alla sera, facevo tre orette di sonno poi di nuovo mattina-sera. Fisicamente ero proprio sfinita. Non mi riuscivo a reggere in piedi”, racconta Emma, 17 anni, una delle testimoni del video reportage diffuso da Save the Children.

Tra i racconti di minorenni che combinano la frequenza scolastica con l’attività lavorativa, che in qualche caso è del tutto residuale, non motivata da una necessità economica, vi sono altri casi in cui è il lavoro ad avere la meglio sui percorsi scolastici e/o formativi. Gli intervistati raccontano situazioni di seria urgenza economica e percorsi educativi segnati da insuccessi, senso di estraneità, sfiducia e abbandono.

Di certo anche il sistema dell’istruzione deve riconoscere la propria responsabilità: se è vero infatti che la dispersione scolastica è aumentata a seguito della pandemia, è anche vero che questa ha fatto emergere la difficoltà del sistema italiano nel mettere in campo interventi tempestivi, che interessino la didattica in chiave realmente innovativa.

Prevenire e contrastare il lavoro minorile

Save the Children ha raccolto anche voci di persone impegnate a conoscere il fenomeno e lavorare per prevenirlo e contrastarlo. Tra le proposte emerse, per l’Organizzazione è necessario che l’Istituto Nazionale di Statistica realizzi un’indagine sistematica e periodica sul lavoro minorile in Italia, che tenga conto anche del recente fenomeno del lavoro online; che venga elaborato da parte dei Comuni un Programma Operativo di prevenzione e contrasto del lavoro minorile e della dispersione scolastica che coinvolga tutti gli attori del territorio.

È necessario assicurare anche la formazione del personale preposto all’identificazione e all’assistenza dei minorenni esposti al lavoro minorile; andrebbero introdotte misure di contrasto alla povertà delle famiglie con figli minori, con una presa in carico personalizzata; andrebbe promossa, all’interno dei percorsi di educazione civica a partire dalla scuola secondaria di I grado, la formazione di studenti e studentesse sui diritti e la legislazione che regolano il lavoro in Italia.

Una particolare attenzione andrebbe posta poi sugli studenti in difficili condizioni economiche, diffondendo informazioni chiare e tempestive su tutti i servizi e le opportunità messe a disposizione per garantire il diritto allo studio, dalle borse di studio agli sgravi fiscali.

Di tutti questi temi, parlerà anche il podcast “Non è un gioco” realizzato in partnership con Will Media, in cui in ogni puntata la giornalista Silvia Boccardi, a partire dalle testimonianze dirette di ragazzi e ragazze, avvierà un dialogo aperto con gli esperti di Save the Children e vari ospiti.

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