“Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno.”
Jacques Lacan
Dovremmo essere andati già oltre, ma la verità è che ancora si alzano polveroni di polemica quando una donna, raggiunta una posizione di potere, sceglie di autorappresentarsi al maschile oppure al femminile. Il fatto che questa scelta sia possibile, poi, fa riflettere su quanto sia radicato il sistema di pensiero che assegna al maschile i ruoli decisionali, le posizioni forti, le competenze hard, e al femminile tutto ciò che avanza. È il riverbero della secolare antinomia sesso forte vs sesso debole, alla base di molte delle discriminazioni che subiscono le donne, dentro e fuori i contesti professionali.
Utilizzare il linguaggio in modo sessista, anche se fatto inconsapevolmente, esprime una mentalità, dei comportamenti sociali, dei principi culturali e dei pregiudizi che derivano dal sessismo o che sono, in tutto o in parte, influenzati da quest’ultimo. È necessario che se ne prenda coscienza e che l’attenzione al linguaggio, e al modo in cui esso disegna e colora la nostra società, diventi prioritaria. Va precisata, però, l’importante differenza tra linguaggio e lingua: il sessismo non è dentro le parole (lingua), ma è il modo in cui usiamo le parole che può essere sessista, perché riflette i nostri pensieri e le nostre scelte (linguaggio). La lingua, insomma, non può essere considerata intrinsecamente sessista, anche perchè (e questa è la buona notizia) l’italiano contiene gli strumenti linguistici necessari a un uso non sessista e, nei casi in cui queste soluzioni ancora non esistano, non è da escludere che si trovino nel tempo a seguito di un’evoluzione della lingua e della società.
“Centinaia di studi hanno setacciato il linguaggio giuridico, medico, educativo, mediatico, sportivo, politico, accademico, istituzionale alla ricerca di usi linguistici inadeguati a rappresentare il genere femminile, e ne hanno sottolineato la funzione discriminante ed esclusiva” scrive Cecilia Robustelli su Atlante Treccani. “Conoscere la funzione del linguaggio per la costruzione dell’identità di genere e acquisire le competenze che ne permettono un uso responsabile e consapevole si rivela indispensabile anche per la formazione di una cittadinanza democratica”.
Curare il linguaggio e il modo che abbiamo di esercitarlo è dunque il primo passo per curare gli stereotipi e la violenza che ne deriva. Ma questo traguardo può essere raggiunto solo se iniziamo a prendere coscienza di tutte quelle sfumature linguistiche che sembrano innocue ma non lo sono.
Come definiamo donne e uomini?
Per comprendere meglio il grado di diffusione tra le nuove generazioni del linguaggio sessista, WeWorld ha condotto un sondaggio interpellando i suoi centri e progetti educativi sparsi per l’Italia. Il sondaggio online è stato realizzato tra gennaio e febbraio 2023 su un campione di 151 bambini/e e ragazzi/e tra gli 8 e i 19 anni.
La ricerca “Parole di parità”, diffusa in occasione dell’8 marzo per riflettere sullo stato attuale delle discriminazioni verso le donne, prevedeva anche domande aperte che chiedevano a intervistate e intervistati di indicare tre parole per definire gli uomini e le donne. Per definire le donne, bambine e ragazze hanno optato per caratteristiche come forza, coraggio, intraprendenza, responsabilità e intelligenza. Tra le bambine ricorre l’associazione con la figura della madre, la famiglia e la cura della casa, tra le ragazze più grandi, invece, sono state citate parole relative alla sfera dei diritti o delle discriminazioni: lotta, lavoro, emancipazione.
Tra i maschi l’associazione donna-madre o donna-casa è più trasversale: ricorrono parole come mamma, madre, cucina, casalinga, figli, e associazioni con l’aspetto fisico (bellezza, trucchi, profumo). Tra i bambini, vengono citati i capelli lunghi come tratto distintivo che distingue le femmine dai maschi. Emergono anche due parole che sottendono forme di sessismo benevolo, espressioni che mirano a idealizzare le donne, come “da proteggere”, o “multitasking”.
Per descrivere, invece, gli uomini, bambine e ragazze usano molti termini associati al mondo del lavoro fuori casa, in misura maggiore rispetto a quanto riportato per le donne. Ricorre anche l’associazione uomo-padre, ma è meno frequente di quella donna-madre. Trasversale alle diverse fasce d’età è l’associazione con la prestanza fisica, lo sport e la forza. Emergono poi diverse caratteristiche negative: gli uomini vengono descritti come bugiardi, arroganti, e spesso associati all’aggressività.
Persistono, nell’immaginario collettivo delle nuove generazioni, gli stereotipi di genere in casa e famiglia: il 14% dei maschi intervistati pensa che un uomo che si prende cura della casa e dei figli/e sia un mammo, contro il 4% delle femmine; 1 intervistato/a su 5 definisce “donna con le palle” una donna forte e capace nel suo lavoro. Tra i maschi, è il 29% a utilizzare questa espressione contro il 13% delle femmine.
Interessante anche il passaggio che chiede di associare un nome di professione epiceno (ovvero quei nomi che hanno un’unica forma al maschile e al femminile e che vengono identificati dall’articolo) a un uomo, a una donna o a entrambi. Più di 6 intervistati/e su 10 credono che quello del vigile del fuoco sia un mestiere prettamente maschile; solo il 3% dei ragazzi e il 4% delle ragazze associa la parola “Presidente” a una donna, contro il 43% e il 51% agli uomini. Al contrario, la professione dell’insegnante è associata per il 38% alle donne e il 2% agli uomini. Poco meno di 2 intervistati/e su 10 declinano sempre le professioni al femminile; il 26% dei maschi non declina mai le professioni al femminile, contro l’8% delle femmine.
Il linguaggio cambia con la realtà
Curioso il dato relativo alla professione dell’astronauta: il 20% delle femmine contro il 9% dei maschi lo associa solo alle donne. Le campagne Stem attivate per attrarre i talenti femminili nelle professioni scientifiche e tecnologiche hanno avuto sicuramente effetto, anche considerando che secondo i dati del Ministero per gli ultimi 3 anni accademici, è pressochè costante l’aumento delle immatricolazioni femminili nei corsi da laurea Stem. Per non parlare dell’effetto boost dell’osservare una vera astronauta in azione in azione: come non pensare al moltiplicarsi delle apparizioni di Samantha Cristoforetti, una delle donne che sta contribuendo a forgiare l’immaginario dei bambini e delle bambine.
Ed è così dunque, il linguaggio cambia assecondando il cambiamento della realtà, e allo stesso tempo la realtà è modificata dall’uso del linguaggio. Nessuno dei due sistemi può considerarsi immutevole o cristallizzato, così come la lingua stessa. Ma l’educazione alla parità di genere non può essere addebitata alla sensibilità individuale o ai passaggi televisivi di potenziali role model. Servono azioni collettive e di sistema, percorsi curriculari obbligatori, dalla prima infanzia fino al terzo ordine di scuola, per alunni, alunne e personale scolastico. Solo così si può accelerare un cambiamento che, sotto la superficie, freme più che mai.
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