«“Hai mai diffuso foto intime di qualcuno senza il suo consenso o inviato le tue anche se non richieste?” Sì. Non l’ho fatto, ma l’ho subito». A parlare è Sonia, oggi ha 20 anni ma quando ha scoperto l’Online Teen Dating Violence, la violenza di genere via social, di anni ne aveva 16. E oggi, alla campagna #lohaimaifatto di Save The Children risponderebbe così.
«È partita come una sfida: ognuna di noi doveva inviare una foto nella chat di gruppo. Una giuria avrebbe scelto la migliore. Le foto all’inizio erano buffe, poi sono diventate sensuali e ammiccanti, sempre di più. Quando è stato il mio turno, ho scelto di saltare il giro. Una, due, tre volte. Poi, non mi sono più potuta tirare indietro. Sarei stata derisa da tutti. Così l’ho fatto: ho tolto la maglietta e ho inviato quella foto. Ed è iniziato uno dei periodi più bui di tutta la mia vita».
Online Teen Dating Violence
Sì perché quelle foto, a sua insaputa, passano da una chat “chiusa” a vari gruppi social, fino ad arrivare a un’app di incontri. «Mi sono ritrovata in un gioco più grande di me, non eravamo più tra amiche, chiunque aveva accesso alle mie foto. Alcune ragazze erano lusingate, io avevo paura, mi sentivo inappropriata, ma non sapevo come dirlo e a chi dirlo» continua Sonia. Fino a che le richieste sono state troppo pressanti ed è arrivato il punto di rottura. «Ho fatto in modo che mia madre trovasse il cellulare, libero, senza filtri. Non c’è stato bisogno di aggiungere nulla. La bolla è esplosa».
Così, è diventata una questione «da grandi»: la scuola, il consultorio, le forze dell’ordine, la Polizia Postale, gli psicologi. Le risposte sono state le stesse: «Di storie così siamo invasi».
I dati tra i giovani
Basta guardare al progetto DATE (Developing Approaches and Tools to End Online Teen Dating Violence), finanziato nell’ambito del programma Rights, Equality and Citizenship della Commissione Europea e coordinato da Save the Children Italia ed Edizioni Centro Studi Erickson. Dall’ultimo report realizzato su questo tema, coinvolgendo quasi 1.000 ragazzi e ragazze tra i 14 e i 25 anni in Italia, emerge che il 42% dei partecipanti ha avuto un’amica/o che ha vissuto una forma di violenza online nella relazione, soprattutto rispetto alla sfera del controllo personale.
Tra i comportamenti più frequenti ci sono la creazione di un profilo social fake per controllare il/la partner (73%), le telefonate/invio di messaggi insistenti per sapere dove si trova e con chi è (62%), il controllo degli spostamenti e delle persone con cui si trova (57%), l’impedire al/alla partner di accettare delle persone tra le amicizie sui social (56,2%), ma anche il fare pressioni affinché il/la partner invii sue foto sessualmente esplicite (55%) o minacciare la diffusione di informazioni, foto o video imbarazzanti (40%).
In questo contesto, è fondamentale il ruolo dei coetanei. Più di 7 ragazze/i su 10, infatti, si rivolgerebbero ad amici/e se fossero vittime di violenza on-line, mentre la fiducia nei confronti dei genitori o di fratelli e sorelle si attesta rispettivamente al 33% e al 30%. Solo il 25% si rivolgerebbe alle forze di polizia, appena il 7% agli insegnanti. Per questo, l’obiettivo del progetto DATE è quello di aprire un confronto tra il mondo degli adulti e delle/degli adolescenti di età compresa tra i 14 e i 22 anni, sensibilizzando e fornendo strumenti per riconoscere la dinamica, prevenirla e contrastarla. Nonostante la rilevanza di questo fenomeno, infatti, se ne parla poco. Eppure, quando la violenza sessuale e di genere diventa digitale, l’impatto è esponenziale. Non esistono più confini né temporali né spaziali e questo amplifica il danno per la vittima. È sempre ricattabile, è sempre sotto scacco.
La campagna di Save The Children
Parte per questo la campagna di sensibilizzazione “Lo hai mai fatto?” contro la violenza di genere online tra adolescenti, ideata e realizzata dalle ragazze e dai ragazzi del Movimento Giovani per Save the Children.
«Un’azione concreta che rende protagonisti ragazze e ragazzi affinchè possano riconoscere la violenza insita in alcuni comportamenti che possono altrimenti apparire “normali” o tipici del mondo online, ma non lo sono affatto – chiarisce Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children Italia -. Non solo: è necessario che gli adulti così come gli adolescenti acquisiscano piena consapevolezza di questi comportamenti, senza minimizzarli. Per questo, bisognerebbe integrare nei programmi scolastici l’educazione all’affettività e una formazione specifica per docenti e studenti sull’utilizzo responsabile ed etico degli strumenti digitali anche nelle relazioni di coppia. E ogni scuola dovrebbe coinvolgere le classi nella costruzione di procedure interne per proteggersi dalla violenza di genere, sia nel mondo reale che in quello online».
Dunque, il primo passo è rispondere – con coscienza – alle domande scomode della campagna #lohaimaifatto: “Hai mai diffuso foto intime di qualcuno senza il suo consenso o inviato le tue anche se non richieste?” “Hai mai creato un profilo social falso, usato la geolocalizzazione per controllare il/la tuo/a partner?” “Hai mai impedito contatti social al tuo/a partner o minacciato di diffondere le sue foto intime?” Con la speranza che la potenza di Instagram, Facebook e Tik Tok amplifichi il messaggio, accelerando a una spirale virtuosa. Per Sonia e per tutte quelle che come lei si sono sentite in gabbia. Una gabbia digitale, ma pur sempre una gabbia.
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