Iran, i 100 giorni di proteste e gli stupri per piegare le donne

Migliaia di iraniani sono scesi in piazza ieri sera per celebrare il centesimo giorno di proteste a livello nazionale, chiedendo ancora una volta la caduta della teocrazia al potere. Le proteste sono iniziate dopo la morte della giovane Mahsa Amini, che era stata arrestata per non aver rispettato il codice di abbigliamento islamico, il 16 settembre. Proteste che non si sono mai fermate nonostante le decise e sanguinose repressioni ordinate dal governo.

Le proteste degli universitari

“Stupro in prigione: è menzionato nel Corano?”

La libreria dopo l’incendio

E’ uno degli slogan gridati dai manifestanti in strada in diverse città come Teheran, Karaj, Bandar Abbas, Isfahan e Mashhad. Molte le persone che poi si sono affacciate dalle finestre per partecipare con altri slogan a sostegno di quanti sfilavano per le strade. Secondo le notizie riportate dalla stampa internazionale, poi, in diverse università gli studenti hanno organizzato raduni e proteste contro l’espulsione di alcuni compagni per la loro partecipazione alle manifestazioni. Nella Noushirvan University di Babol, gli studenti hanno condannato l’incendio della libreria Città del Libro, dopo che le autorità avevano impedito ad alcuni manifestanti di rifugiarsi lì.

La polizia ha anche chiuso il grande centro commerciale e di intrattenimento di Mehr-o-Mah, con 700 dipendenti e situato vicino a Qom, per aver permesso alle donne senza velo di visitare i negozi.

Lo stupro come arma di repressione

Nuove terribili denunce di abusi contro i manifestanti arrivano dall’Iran, dove una donna arrestata sarebbe stata appesa ad un gancio e abusata sessualmente. A raccontarlo, in una lettera alla Bbc, è Narges Mohammadi, attivista per i diritti umani condannata nel 2011 per “diffusione di propaganda” e attualmente nel carcere di Evin a Teheran a scontare la propria pena. Nello stesso carcere sono state portate molte delle manifestanti arrestate negli ultimi mesi e Mohammadi ha avuto modo di incontrarle, come racconta nella sua lettera.

Racconta poi in particolare che una nota attivista arrestata le ha mostrato cicatrici e segni sul proprio corpo, risultato del “trattamento” ricevuto da parte delle forze di sicurezza, che l’hanno legata mani e piedi ad un gancio sopra la sua testa nel veicolo che l’ha portata in prigione e abusata sessualmente.

Un’altra donna arrestata per strada è stata portata su una moto da due agenti di sicurezza – uno davanti e uno dietro – ed è stata ripetutamente aggredita.

Mohammadi, vicedirettrice del Centro per i difensori dei diritti umani fondato dalla premio Nobel per la pace iraniana Shirin Ebadi, compare quest’anno nella lista della Bbc delle donne influenti e d’ispirazione per tutto il mondo. Nella sua lettera l’attivista iraniana afferma che anche se denunciare abusi può portare all’intimidazione delle famiglie delle donne detenute, ritiene che sia necessario denunciare ciò che sta accadendo, al fine di cercare di porre fine a tutto ciò: “Non rivelare questi crimini contribuirebbe al perpetuare dell’applicazione di questi metodi repressivi contro le donne”.

“In assenza di potenti organizzazioni civili indipendenti, l’attenzione e il sostegno dei media e delle organizzazioni internazionali per i diritti umani e dell’opinione pubblica globale è essenziale“, ha affermato Mohammadi, concludendo la sua lettera esprimendo la convinzione che le “donne coraggiose, resilienti, vivaci e piene di speranza” dell’Iran avrebbero ottenuto la vittoria: “Vittoria significa instaurare la democrazia, la pace e i diritti umani e porre fine alla tirannia. Non ci tireremo indietro“.

La proposta di mutilazioni

Un influente gruppo clericale iraniano, di area molto intransigente, ha chiesto che oltre alle esecuzioni siano usate contro i manifestanti punizioni come tagliare loro le dita delle mani e dei piedi. Lo riporta il portale Iran International, precisando che l‘Associazione degli insegnanti di Qom ha esortato le autorità a proseguire con le esecuzioni capitali ma a utilizzare anche la punizione dell’amputazione per dissuadere chiunque intenda unirsi alle proteste scatenate dopo la morte a metà settembre di Mahsa Amini.

L’associazione (Jame’e Moddaresin-e Howzeh Elmiye-ye Qom) ha suggerito che chiunque “istighi alla paura nella società” – presumibilmente partecipando a proteste antigovernative -sia considerato un belligerante (mohareb), che nelle leggi iraniane basate sulla Sharia è punibile con la morte, la crocifissione, la recisione degli arti e/o l’esilio.

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