Avere una laurea aumenta la probabilità di occupazione, e non di poco (figura 1), ma anche se questa probabilità è andata crescendo nel corso dell’ultimo decennio[1], i dati mostrano che nel passaggio tra la scuola e il lavoro ci sono ampi spazi di miglioramento anche per i giovani più istruiti. Alcuni neolaureati,[2] infatti, sono ancora disoccupati tre anni dopo il conseguimento del titolo, e in Italia sono molti di più rispetto agli altri Paesi europei (figura 2).
Figura 1. Tasso di occupazione dei giovani in età 15-34 anni per titolo di studio (a 1-3 anni dal conseguimento del titolo), 2021.
La relazione diretta tra scolarità e prospettive di lavoro è evidenziata nella figura 1. Il tasso di occupazione passa infatti da un esiguo 6,6% per gli individui che non hanno neppure un diploma al 47,2% per i diplomati e al 67,5% per i laureati. La stessa relazione diretta vale anche per l’insieme dei Paesi europei, ma per ogni titolo di studio il tasso di occupazione medio dei Paesi dell’Unione è nettamente superiore a quello del nostro Paese (rispettivamente 31,8%, 70,2% e 84,9%). Per contro, tre anni dopo aver concluso il percorso formativo, un neolaureato su quattro è ancora senza lavoro, in Italia, a fronte di uno su dieci (o poco più) della media europea. Solo la Spagna e la Grecia sono in condizioni peggiori (rispettivamente 25,9% e 33,7%), mentre in Germania e nei Paesi Bassi il tasso di disoccupazione dei neolaureati scende al 5% (Figura 2).
Figura 2. Tasso di disoccupazione dei neolaureati a 1-3 anni dal conseguimento del titolo, 2021.
Fonte: ns. el. su dati Eurostat
È da notare il fatto che il tasso di disoccupazione è qui calcolato come rapporto tra i neolaureati che sono attivamente alla ricerca di una occupazione e le forze di lavoro, cioè l’insieme dei neolaureati occupati o in cerca di occupazione; non entrano quindi in questa statistica gli individui che sono impegnati in percorsi di formazione, anche se retribuiti, che di conseguenza non compaiono né al numeratore né al denominatore di questo rapporto. Le persone in formazione sono invece comprese nel denominatore del tasso di occupazione, che essendo costituito dal totale dei neolaureati include anche gli individui inattivi, cioè coloro che non sono occupati ma non stanno neppure cercando attivamente lavoro.
Chi sono i più disoccupati?
Per esplorare le differenze delle prospettive occupazionali dei laureati nelle diverse discipline accademiche possiamo fare ricorso ai dati Almalaurea. A differenza dei dati Eurostat, in questo caso sono inclusi tra gli occupati tutti coloro che dichiarano di svolgere un’attività purché remunerata, compresi i percorsi formativi retribuiti, al fine di non penalizzare i gruppi disciplinari nei quali sono largamente diffuse le attività di tirocinio, praticantato, dottorato e specializzazione.
Questi dati mostrano che, a un anno dalla laurea, le prospettive occupazionali sono notevolmente differenziate a seconda del gruppo disciplinare considerato: il tasso di disoccupazione è decisamente basso tra i laureati dei gruppi di informatica, ingegneria industriale e dell’informazione e medico-sanitario e farmaceutico; risulta invece particolarmente elevato nei gruppi di arte e design, psicologico, e letterario-umanistico (Figura 3)[3].
Figura 3. Tasso di disoccupazione per gruppo disciplinare 1 anno dopo il conseguimento del titolo, 2021
Chi guadagna meno fra gli occupati?
Anche la graduatoria delle retribuzioni, a un anno di distanza dalla laurea, appare fortemente correlata con quella delle probabilità di occupazione (figura 4). I compensi maggiori si osservano infatti nei gruppi disciplinari con i tassi di disoccupazione minori: i laureati dei gruppi medico-sanitario e Farmaceutico a ciclo unico, informatica e tecnologie ICT, e Ingegneria industriale e dell’informazione guadagnano mediamente più di 1.500 euro al mese, mentre i laureati dei gruppi psicologico, giuridico a ciclo unico, e arte e design si attestano intorno ai 1.000 euro.
Figura 4. Retribuzione media mensile netta per gruppo disciplinare 1 anno dopo il conseguimento del titolo, 2021
Quali gli atenai con i risultati migliori?
Le prospettive occupazionali sono profondamente diverse non solo a seconda dell’ambito disciplinare ma anche a seconda della sede di conferimento del titolo di studio[4]. Nei percorsi di laurea magistrale si registrano infatti tassi di disoccupazione inferiori al 5% per i laureati della LIUC (2,5%), delle università di Bolzano (3,3%) e di Brescia (3,5%), e dei Politecnici di Bari (4%) e di Torino (4,4%). Questi valori però quintuplicano negli atenei di Sassari (25,9%), Enna Kore (26,9%), Messina (27,3%) e Napoli L’Orientale (27,5%). Nei percorsi a ciclo unico le prospettive occupazionali peggiori si riscontrano nelle università del Salento (30,6%) e di Roma LUMSA (25%), mentre i tassi di disoccupazione di Milano S. Raffaele (0,8%), di Bolzano (1,7%) e di Brescia (1,7%) sono già bassissimi dopo un solo anno dal conseguimento del titolo.
Anche le differenze nella retribuzione sono piuttosto consistenti: per i laureati del biennio magistrale si passa da una media mensile al di sotto dei 1.100 euro per le sedi di Napoli Benincasa (976), Roma LUMSA (1000), Napoli L’Orientale (1012), Roma Foro Italico (1021), Macerata (1051), Enna Kore (1089) e Roma UNINT (1093), alle retribuzioni che superano i 1.500 euro dei laureati del Policlinico di Torino (1.547) e dell’Università di Bolzano (1.693). Nei percorsi a ciclo unico restano sotto i 1.100 euro i laureati del Politecnico di Bari (890) e delle Università del Salento (891), Reggio Calabria Mediterranea (894), Trento (1006), Teramo (1038), e Roma Tre (1070), a fronte di retribuzioni che superano i 1.700 euro di Milano S. Raffaele (1763), Foggia (1768), Insubria (1784), Marche Politecnica (1803), e Brescia (1825).
I laureati in Psicologia
A titolo di esempio prendiamo in esame adesso, più specificamente, i laureati magistrali del gruppo psicologico, il più sfavorito dal punto di vista delle prospettive occupazionali, con un tasso di disoccupazione maggiore del 25% e una retribuzione media di soli 900 euro al mese. I dati mostrano che anche nell’ambito della stessa disciplina le prospettive occupazionali sono molto diverse a seconda della sede universitaria considerata. Ad esempio, il tasso di disoccupazione si attesta all’11,5% per i laureati dell’università di Trento, un livello tutto sommato accettabile ad un solo anno dal conseguimento del titolo, ma si moltiplica per quattro (45,5%) per i laureati dell’Università di Messina. Similmente, nelle Università di Milano Bicocca e di Padova il tasso di disoccupazione dei laureati in Psicologia è inferiore al 20% (rispettivamente 15,9% e 18,8%), ma raggiunge un livello più che doppio nelle sedi di Palermo (41,4%) e di Bari (41,7%).
Anche la retribuzione dei laureati in Psicologia varia notevolmente a seconda della sede universitaria: Trento guida la classifica con una retribuzione mensile di 1.232 euro, seguita da Parma (1.052) e da Bergamo (1.047), ma in tutte le altre sedi la retribuzione non raggiunge i 1.000 euro e scende sotto gli 800 euro nelle Università di Bari (781), Roma LUMSA (768), Messina (755) e Bologna (746), per toccare il minimo nell’Università di Chieti e Pescara con 696 euro al mese.
In sintesi, anche se è vero che i laureati del gruppo di ingegneria industriale e dell’informazione guadagnano mediamente più di 1.500 euro al mese, mentre i laureati del gruppo psicologico ne guadagnano solo 900, è anche vero che un laureato in psicologia dell’università di Trento guadagna di più, e non di meno, di un laureato in ingegneria industriale e dell’informazione dell’università della Tuscia (rispettivamente 1.232 euro contro 1.090), e la sua probabilità di essere disoccupato è minore, e non maggiore, rispetto a quella di un laureato in ingegneria industriale e dell’informazione dell’Università di Catanzaro (rispettivamente 11,5% contro 15,8%).
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[1] – In Italia il tasso di occupazione dei neolaureati è passato da 64% del 2012 al 68% del 2021, e in Europa dall’81% all’85%. Il tasso di occupazione è dato dal rapporto tra individui occupati e totale individui con lo stesso titolo di studio e della stessa classe d’età.
[2] – Nei dati qui presentati i neolaureati sono definiti come persone che hanno completato con successo il livello di istruzione più elevato 1, 2 o 3 anni prima dell’indagine, e che non hanno ricevuto alcuna istruzione o formazione (formale o non formale) nelle quattro settimane precedenti l’indagine.
[3] – Alcuni gruppi compaiono due volte perché offrono sia percorsi magistrali biennali sia a ciclo unico (c.u.).
[4] – Sono esclusi gli atenei con meno di 100 intervistati.
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