Infanzia, l’Italia disuguale ipoteca il futuro

Francesca Leonardi per Save the Children - "Fiocchi in ospedale" - Roma, Ao San Camillo

Francesca Leonardi per Save the Children – “Fiocchi in ospedale” – Roma, Ao San Camillo

L’Italia delle disuguaglianze territoriali, educative ed economiche fa male a tutti, ma ad alcuni di più: ai bambini certamente, e alle bambine e alle ragazze in modo drammatico. Perché i divari, esacerbati dalla pandemia, si amplificano l’un l’altro in un circolo vizioso, con il risultato di mettere a dura prova i diritti di milioni di persone ancora prima che vengano al mondo. Un’ipoteca sul futuro della comunità.

Di “lotteria della nascita” parla esplicitamente Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia, nella prefazione alla XIII edizione dell’Atlante dell’infanzia (a rischio) in Italia 2022, curato da Cristiana Pulcinelli e Diletta Pistono e presentato a Roma mercoledì 16 novembre. Una miniera di dati, mappe, schede, storie e grafici ordinati in sette capitoli, dedicati rispettivamente ai determinanti sociali della salute, alle tre fasce d’età (0-2, 3-10 e 11-17), ai piccoli migranti, ai disabili e infine al nostro sistema sanitario, con le sue luci e le sue ombre.

Layout 1Il titolo dell’Atlante è una domanda: “Come stai?”. “Quella che molti ragazzi e ragazze avrebbero voluto sentirsi rivolgere durante la pandemia e che ancora oggi non viene loro rivolta dagli adulti”, ha spiegato Claudio Tesauro, presidente di Save the Children Italia. “La fotografia che il volume restituisce è chiara: abbiamo bisogno di più pediatri, di più asili nido, di più spazi per i giochi, di un’educazione che aiuti nello sviluppo psicosociale. La mancata assistenza nella capacità di crescita delle persone è un forte disincentivo per le coppie a mettere al mondo figli”.

Chi nasce al Sud ha 4 anni di aspettativa di vita in meno

Dimmi dove nasci e ti dirò chi sarai. La prima evidenza di ingiustizia è geografica: la speranza di vita alla nascita nel 2021 si attesta a 82,4 anni, ma ci sono 3,7 anni di differenza tra l’aspettativa di vita di chi nasce a Caltanissetta (80,2) e di chi nasce a Firenze (83,9). Se si guarda all’aspettativa di vita in buona salute, l’ultimo rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile evidenzia una differenza anche maggiore: ci sono oltre 12 anni di differenza tra chi nasce nella provincia di Bolzano (67,2 anni) e chi nasce in Calabria (54,4 anni). Tra le bambine la forbice è ancora più ampia: 15 anni in meno in Calabria rispetto al Trentino.

L’Italia ha per fortuna tassi di mortalità neonatale e infantile tra i più bassi del mondo, ma le disuguaglianze colpiscono anche qui. Prima della pandemia, secondo gli ultimi dati disponibili, il tasso di mortalità infantile nel primo anno di vita era di 1,45 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era più che doppio in Sicilia (3,34) e triplo in Calabria (4,42). Un bambino su cinque nuovi nati ha la mamma di origine straniera, ma tra chi muore entro un anno di vita quelli con madre non italiana sono due su cinque. Ancora, un bimbo del Sud che si ammalava nel 2019 aveva una probabilità di dover migrare in altre regioni per curarsi del 70% in più rispetto a un bambino del Centro o del Nord Italia.

Dal 2008 povertà minorile quadruplicata

Dalla crisi economica globale del 2007-2008 la povertà minorile – la condizione che impedisce di sostenere le spese minime per condurre una vita accettabile – è cresciuta di quattro volte: nel 2021 colpiva un under 18 su 7 (il 14,2% del totale). I più esposti sono i figli di genitori stranieri, quelli che vivono al Sud (nel Meridione i minori in povertà assoluta salgono al 16%) e quelli che hanno famiglie numerose. La deprivazione sociale ed economica impatta direttamente sulla salute, nonostante l’Italia sia dotata di un Servizio sanitario nazionale basato sui princìpi dell’universalità e dell’uguaglianza. Perché la sanità non è tutto: sul nostro benessere e sulla nostra qualità della vita influiscono l’ambiente, il contesto sociale, l’educazione, i mezzi economici.

“La natalità presenta un andamento inverso rispetto alla povertà”, ha ricordato Raffaella Milano, direttrice programmi Italia-Europa di Save the Children. “Nascono molti meno bambini e quelli che nascono sono sempre più poveri. Il rischio povertà delle famiglie aumenta tantissimo alla nascita di un figlio”. Non esattamente un assist alla natalità, soprattutto considerato il peso dei primi mille giorni di vita sul benessere fisico e psichico, ormai ampiamente dimostrato da tutta la letteratura scientifica. Le carenze nella cosiddetta “early childhood” – si legge nell’Atlante – “sono in grado di scavare solchi difficili da colmare, solchi che spesso si consolidano e approfondiscono negli anni”.

Consultori e asili nido presìdi fondamentali

Da qui l’importanza di riattivare la rete dei consultori, che si sono ridotti del 6% dal 2014 al 2020 e presentano anch’essi una grande disparità territoriale, lasciando meno presidiate proprio le regioni del Mezzogiorno che ne avrebbero più bisogno. Da qui pure la centralità degli asili nido, la cui frequenza – secondo un recente report della Commissione europea – può garantire migliori risultati scolastici, occupazionali, economici, di salute e di benessere, così come minor incidenza di devianza e di dipendenza dai sussidi. Come se agissero da potenti “riequilibratori” in caso di situazioni familiari difficili.

L’Italia non ha mai raggiunto il vecchio obiettivo di Barcellona del 2002 (almeno il 33% di bambini sotto i 2 anni che in ogni Paese dell’Unione dovrebbero frequentare un servizio educativo per la prima infanzia) e, inchiodata com’è al 13,7%, è lontanissima dal nuovo target del 50% da centrare entro il 2030. Save the Children spera che questo sia l’anno della svolta, grazie alla spinta del Pnrr e alla norma della legge di bilancio 2022 che ha definito “livello essenziale delle prestazioni” (Lep), da raggiungere gradualmente fino al 2027, la frequenza di un asilo nido o un servizio integrativo in ogni Comune da parte di almeno 33 bambini di 0-2 anni su cento.

Disagio mentale, è allarme. E le bambine stanno peggio

Tra il 2019 e il 2021, in nove regioni italiane oggetto di monitoraggio da parte della Società italiana di pediatria, i ricoveri per patologia neuropsichiatrica infantile sono cresciuti del 39,5% (prime due cause, psicosi e disturbi del comportamento alimentare), mentre in tutto il Paese si contano solo 394 posti letto in degenza in questi reparti. Ci sono regioni che non ne hanno neanche uno, come Calabria, Molise, Umbria e Valle d’Aosta, in Lombardia sono 100. “Molto grave”, denuncia Save the Children, l’assenza o la carenza di strutture semiresidenziali, centri diurni, strutture per gli interventi intensivi a domicilio, tutta la rete coordinata di cura che dovrebbe evitare il ricovero.

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“L’onda lunga della pandemia non è ancora finita: a ottobre abbiamo visto il record di ricoveri e dimissioni”, ha affermato Stefano Vicari, professore presso la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile dell’Unità operativa di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. “Nel 2011 gli accessi in pronto soccorso per disturbi psichiatrici erano stati 152, nel 2018 e nel 2019 hanno superato quota mille, nel 2021 sono stati ben 1.850. Sono cresciuti di undici volte. La pandemia ha fatto da detonatore di una vecchia emergenza”.

Perché i ricoveri in psichiatria di bambini e giovanissimi erano già in aumento, soprattutto per autolesionismo e ideazione suicidaria, ma soltanto per quest’ultima causa nei due anni del Covid gli accessi sono volati del 75%. “L’età media si sta abbassando e sono le bambine e le ragazze a pagare il prezzo più alto”, ha detto Vicari. Complice la caduta libera dei due elementi che determinano il benessere mentale: la capacità di controllare le proprie emozioni (lo stress generato dal coronavirus non ha aiutato) e la qualità delle relazioni, a cui l’isolamento e i lockdown hanno assestato colpi durissimi.

Inquinamento e sedentarietà nemici dei bambini

Ambiente, abitare, alimentazione e attività fisica sono fattori che fanno la differenza per il benessere dei più piccoli, in particolare nella fase della vita in cui si sviluppa l’autonomia. I dati non sono confortanti: si stima che in Italia l’8,4% dei bambini tra i 6 e i 7 anni soffra di asma, e l’inquinamento potrebbe essere la causa scatenante. L’81,9% dei minorenni vive in zone con una concentrazione di polveri sottili superiore al valore limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Gli spazi verdi nelle città scarseggiano e i bambini finiscono per passare molto tempo in casa, esponendosi ad altre fonti di inquinamento: tabacco, processi di combustione, prodotti per la pulizia e l’igiene. L’abitazione è un altro tallone d’Achille: nel 2021 il 42,9% dei bambini e degli adolescenti viveva in case sovraffollate. Il 7,9% delle famiglie non riusciva a riscaldare l’ambiente. Istat ha calcolato che nel 2020 il 12% dei nuclei con un figlio minorenne viveva in abitazioni danneggiate, il 16% lamentava problemi di umidità.

Giuliano Del Gatto per Save the Children -Apertura Spazio Futuro di Torre Maura

Giuliano Del Gatto per Save the Children -Apertura Spazio Futuro di Torre Maura

Cattiva alimentazione e sedentarietà sono un altro mix micidiale. I bambini in sovrappeso o obesi tra i 3 e i 10 anni sono aumentati al 34,5%, ma a colpire sono soprattutto le percentuali di chi non pratica mai sport: il 24,7% di chi ha tra i 3 e i 17 anni, con picchi superiori al 40% in Campania e in Sicilia. Nel Mezzogiorno solo un bambino su tre pratica uno sport in maniera continuativa.

Pediatri cercansi: ne mancano 1.400

Per contrastare le disuguaglianze, il ruolo dell’assistenza sanitaria territoriale è cruciale. Il Covid ce lo ha insegnato. Eppure il numero dei pediatri di libera scelta oggi in Italia è insufficiente a garantire assistenza a tutti i bambini: dovrebbe esserci uno specialista ogni 800 bambini da 0 a 14 anni, ne mancano all’appello circa 1.400. Il motivo è presto detto: i pensionamenti continuano a superare i nuovi ingressi. Gli effetti dannosi di questa carenza sono molteplici: l’eccessivo ricorso al pronto soccorso, già congestionato, il depauperamento della quantità e della qualità delle prestazioni rivolte all’infanzia, la scarsa attenzione alla prevenzione.

Save the Children confida nelle “Case della Comunità”, previste e finanziate dal Pnrr: centri che siano in grado di offrire le prestazioni pediatriche di base e di raccordarsi con le scuole, i servizi sociali e le strutture educative e ricreative territoriali. “Potrebbero diventare il fulcro di una nuova rete integrata con i servizi sociali ed educativi, sostenuta dal rilancio dei consultori e dei servizi per la salute minorile, da costruire con la partecipazione dei cittadini”, ha evidenziato Raffaella Milano. Ma alla base deve esserci un investimento di lungo termine per eliminare le disparità di accesso ai servizi. “Se si cambia l’inizio della storia, si può cambiare tutta la storia”.

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